Donald Trump, il guerriero solitario sempre più vicino alla rielezione
Ricordiamoci gli attacchi in politica estera a Trump, prima del novembre del 2016, non solo dei politici Democratici ma soprattutto di quei quartieri dell’intelligence, della diplomazia e dell’esercito coccolati dal New York Times e dal NeverTrumpismo. E’ un pazzo, ci portera’ in guerra, distruggera’ il mondo, non dategli il bottone nucleare. Quattro anni dopo, il “pazzo” puo’ vantare di essere il presidente piu’ fautore e realizzatore di vera pace della storia USA recente, tanto che e’ stato nominato due volte per il Premio Nobel della Pace in tre giorni nell’ultima settimana. La prima volta mercoledi’ dal deputato norvegese Christian Tybring-Gjedde per essere stato il broker della storica pace tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti firmata un mese fa. La seconda dal membro del parlamento svedese Magnus Jacobsson per aver portato alla pace, una settimana fa, due storici nemici in Europa, la Serbia e il Kosovo, paese a maggioranza musulmana che ha contestualmente riconosciuto Israele. Sempre venerdi’, dopo le due nomination, e’ “scoppiata” poi una terza pace, ancora in Medio Oriente: con un tweet, il presidente USA ha annunciato che anche il Bahrein e Israele si sono accordati per una pace piena, scambieranno ambasciatori e stabiliranno voli diretti tra le due capitali. Nel mondo arabo, c’erano stati finora due accordi di pace di Israele con due nazioni della Lega Araba: nel 1979 con l’Egitto, presidente Jimmy Carter, e nel 1994 con la Giordania, presidente Bill Clinton. Ci sono voluti 26 anni perche’, ai due successi di due presidenti Democratici, riuscisse alla Casa Bianca, stavolta Repubblicana, di realizzare in 30 giorni due accordi storici che raddoppiano a quattro il numero dei governi arabi che hanno riconosciuto Israele.
L’accordo del Bahrein non poteva andare in porto se l’Arabia Saudita non avesse dato il suo tacito ok, e quindi e’ ipotizzabile un allargamento del fronte dei paesi arabi che non considerano piu’ Israele un nemico. Non l’Arabia stessa, che per ragioni di politica interna e per ospitare il luogo sacro della Mecca non e’ ancora matura al passo oggettivamente anti-palestinese di riconoscere Israele, ma probabilmente l’Oman. E poi forse il Marocco, e il Sudan. Insomma, l’azione politico-diplomatica condotta da Trump e dal genero Jared Kushner sta dando frutti che nessuno poteva ipotizzare 4 anni fa. Eppure qualche segnale c’era stato, visibile per tutti ma non preso sul serio dai soloni della diplomazia internazionale, che per disprezzo congenito non potevano dare alcun credito agli sforzi di Trump. A gennaio, alla Casa Bianca, con a fianco il premier israeliano Bibi Netanyahu, il presidente presento’ il suo piano di pace tra Israele e i palestinesi, che e’ stato fondamentale per il disgelo tra Gerusalemme e le capitali arabe piu’ preoccupate dalla minaccia iraniana e stufe della leadership di Hamas e della Autorita’ Palestinese, succuba di Teheran e ostinata nella difesa della linea terroristica.
“Prima dell’ufficializzazione nel gennaio 2020 a Washington, il piano economico di pace in Medio Oriente era stato presentato dal Governo Usa nel giugno 2019 a Manama, nel Bahrein, sotto il titolo ‘La pace per la prosperità: una nuova visione per il popolo palestinese’”, ho scritto nel mio libro “Il Guerriero Solitario - Trump e la Mission Impossible” (Mind Edizioni). “Trump, per preparare il terreno all’intera proposta, aveva coinvolto diversi Governi arabi della regione in un disegno più ampio di assistenza ai palestinesi, anche in funzione anti-Iran. L’Arabia Saudita e altri Stati sunniti hanno migliorato, da tempo, le relazioni diplomatiche con Israele in parallelo con la crescente ostilità verso Teheran, che vuole la bomba atomica e fomenta la destabilizzazione in Yemen, Iraq, Siria e Libano usando i gruppi islamici controllati, come gli Huthi e gli Hezbollah. Questa nuova alleanza anti-Iran è essenziale nella strategia di isolamento di Hamas e dei suoi padrini e finanziatori iraniani, con l’obiettivo finale della pace tra Israele e Palestina. Gli Stati Uniti sono convinti che la firma e l’implementazione dell’accordo ‘avrà un impatto significativo sulle prospettive economiche nella regione’. Con la prospettiva di oltre 50 miliardi di dollari in nuovi investimenti in 10 anni, il piano Peace to Prosperity rappresenta lo sforzo internazionale più largo e ambizioso a favore del popolo palestinese.
Il fine è riscrivere un futuro per la Cisgiordania e Gaza, ‘non definito da avversità e sconfitte, bensì da opportunità e dignità’. La pace, nella visione della Casa Bianca, ‘scatenerà il potenziale economico del popolo palestinese’. Un risultato positivo ottenuto da Trump”, scrivevo nel libro, “ è che, per la prima volta nella storia, all’uscita pubblica di un piano firmato da un presidente americano vari leader di Paesi arabi e islamici, tra cui l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, l’Oman, il Bahrein, hanno fatto pressioni sulla dirigenza palestinese di Abbas, affinché accettasse di considerarlo una piattaforma per una seria trattativa con Israele. In passato, c’era unanimità nei Governi del Medio Oriente nel chiedere due condizioni per ogni accordo: il ritiro delle forze armate israeliane dalla terra palestinese e la creazione di uno Stato indipendente palestinese con la sua capitale a Gerusalemme Est. Questi due punti sono compresi nel piano di Trump, anche se il ritiro annunciato sarà materia da perfezionare nei dettagli territoriali. Anni di rigida opposizione palestinese hanno via via frustrato questi leader ‘possibilisti’, che ormai non vedono più i propri interessi allineati all’intransigenza di un Abbas alleato ad Hamas e subordinato a Teheran. Adesso, per loro, l’accettazione della ‘visione’ di Trump come base seria di ripartenza dei colloqui è un punto di non ritorno.” Sono questi leader, che avevo definito “possibilisti”, ad aver dato a Trump le clamorose vittorie diplomatico-politiche alle quali assistiamo in queste settimane.