Dottori in corsia, l'umanità dei piccoli pazienti
Il miracolo di Raitre: raccontare le speranze, i sogni, le malattie, le guarigioni (perfino, con rispetto, la morte) dei bambini nel microcosmo dell'ospedale romano Bambin Gesù
Michelle è una romantica diciottenne che si dibatte in questioni di cuore, nel senso che, dal suo abisso cardiocircolatorio, è in paziente attesa di un cuore nuovo da sei mesi. Laura, invece, vive da tempo, e sorride, col rene che le ha donato la sua mamma. Figli.
Aveva ragione Francis Bacon: i figli sono ostaggi dati alla sorte. E ti sale un groppo alla gola, a osservare i figli tccati da un avverso destino:, ossia tutta l’umanità –compresa quella di Michelle e Laura- che popola le corsie dell’ ospedale pediatrico Bambin Gesù. Dove è, appunto, ambientata la serie Dottori in corsia, alla sesta stagione della terza serata di Raitre. Il programma sta macinando audience, in molto costante e inatteso. La puntata scorsa, andata in onda il 19 febbraio, ha registrato una share del 4,48%, con picchi di 5,6%. È stato il miglior esordio del programma dal 2021, segnando un incremento del 38% di share sulla prima puntata. E, giusto per cadere nel tecnico, si tratta anche del miglior risultato in seconda serata dopo Raiuno. “Ottima la permanenza, di ben 41%, così come sono molto buoni gli ascolti anche in due target decisivi: la puntata ha infatti registrato picchi tra le donne 25-34 all’8,6% di share e tra i laureati al 7,4% di share”, fanno sapere orgogliosamente dalla produzione Stand by me, e dalle parti della conduttrice Eleonora Daniele che accompagna –come in una favola di Giambattista Basile- grandi medici e piccoli pazienti nel percorso della malattia, costellato da passione, intimità e speranze di guarigione. Dottori in corsia è un programma per anime alate e uomini di buona volontà.
Di puntata in puntata, di emozione in emozione, narra di un drappello di ragazzini indomiti, ognuno con una storia degna di essere raccontata. Mi spiega la produttrice e ideatrice Simona Ercolani, che il programma «ha aperto le finestre su un mondo che era nascosto. Aprendole, abbiamo visto sì il dolore, ma anche la possibilità delle cure cui tutti abbiamo diritto: non tutti, purtroppo, possono essere guariti, ma non per questo non devono essere curati. E questo lo sanno bene al Bambino Gesù dove è infinita la dedizione anche verso i pazienti affetti da malattie rare che non interessano a nessuno perché colpiscono solo pochi bambini e, dunque, non sono remunerative». E, in effetti, la Ercolani ha ragione.
Il Bambin Gesù è il più connotato dei non-luoghi. I suoi corridoi esalano empatia, familiarità, tendenza ad allenarsi a trasformare i dolori in sorrisi. E le sue storie ti marchiano l’immaginario. Come quella del piccolo paziente malato di tumore che sembrava guarito, ma che all’improvviso è stato strappato allla famiglia da una ricaduta, “lui voleva fare il ballerino, ha fatto con noi il suo ultimo ballo sulla terra e noi lo vogliamo immaginare mentre continua a ballare in cielo», ricorda Ercolani; e lo ricorda con in testa l’immagine del piccolo che ha appena fatto in tempo a finire le riprese, prima di morire. Da qui, ecco il grande feuilleton dell’ospedale, visto come un falò di racconti e di coscienza civica, con i protagonisti che transitano accanto al fuoco: Giulia con un’importante scoliosi passata attraverso mille operazioni che non le hanno spezzato il sogno di ballare; Karim che s'è ritrovato col cuore e il rene piazzati dalla parte sbagliata; Elena soffrente di una lancinante malformazione al piede che finirà con l’amputazione dell'arto; Mattia che può finalmente risolvere il problema della mancanza dell’orecchio destro; Giulia che grazie all'aiuto di una mascherina riesce a respirare nel sonno. Storie ora commosse, ora strazianti, sempre di grande profondità narrativa.
Eppoi c’è il problema, “alla Herzog” o “alla Bergman” di come raccontare la morte. Sono rari i programmi tv che riescono ad affrontare l’argomento con equilibrio e senza terrore; ricordo, per esempio, una bellissima puntata dell’Infedele di Gad Lerner su La7, una ventina d’anni fa. Dottori in corsia ripercorre quel rispetto dell'intimità: e ci riesce con garbo e delicatezza. Gli “ostaggi alla sorte” sono l’immagine di un'umanità tutt'altro che perduta...