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La sindrome sinistra de "La Terrazza" di Scola: "O come me o contro di me"

La Cortellesi con le favole woke, ma anche il film di Castellitto, la tv pop: perché l'intellighenzia italiana vive ancora nel complesso culturale dei radical chic del film....

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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 Cortellesi alla Luiss Foto:  Cortellesi alla Luiss
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Tutto parte da Mario/Vittorio Gassman, «compagno che non sa stare in compagnia», senatore comunista nell’era del riflusso - ideologico ma pure un po’ gastrico - che chiede a che ora è la rivoluzione, e se bisogna venire «già mangiati».

Il senatore si muove nervosamente nel film La Terrazza di Ettore Scola, anno 1980, il salotto radical chic delle menti invincibili. E lì, in quell’orticello invalicabile per chi non possiede la tessera del Pci, Mario si rivolge ai suoi commensali, un elegantissimo branco di stereotipi (lo sceneggiatore depresso, la giornalista femminista, il funzionario Rai anoressico...). Ne ascolta i sermoni, ne osserva i soliti gesti arabescati e sbotta: «Non se ne può più del dolente erudito, il quale, si capisce, ce le ha solo lui le idee giuste e però, poverino, lui, egli, egli è afflitto, è impedito da mille meccanismi ostili perché altrimenti, eh, altrimenti figuriamoci, chissà come metterebbe tutte le cose a posto, egli, lui, questo inesorabile...; fatemelo dire perché sennò schiatto... questo implacabile stronzo!». Mario s’inarca in una invettiva che è l’esatta fotografia, a sinistra, del rivoluzionario che non ce l’ha fatta. E, probabilmente, una reazione simile alla sua è scappata a coloro i quali, da destra, l’altro giorno, ascoltavano i commenti alla lectio magistralis sul sessismo nelle favole («mentre il potere salvifico è affidato al Principe Azzurro, Biancaneve faceva la colf ai sette nani...
») che Paola Cortellesi ha tenuto all’inaugurazione dell’anno accademico della Luiss, più volte riproposta alla televisione.

QUESTIONE DI EGEMONIA Lo stesso sussulto di Mario il senatore comunista poteva venire pure a chi, nel contempo, esterrefatto, sgranava le critiche o – nel migliore dei casi - il disinteresse per Enea opera seconda nonché impeccabile ritratto della gioventù borghese romana di Pietro Castellitto, che oggi affolla le sale e turba le coscienze. O si poteva scuotere l’animo di colui che, prima ancora, al Salone di Torino, aveva ascoltato Michele Serra affermare che «l’avanzata della cultura della destra è un’autoproclamazione di in un campo politico che ha delle grosse difficoltà culturali. Partono molto svantaggiati. La cultura non è il loro ramo, non lo è stato fino a ora». E poi, rivendicando il ruolo di loro «intellettuali», Serra si domandava «cosa abbia fatto la destra per conquistare un'egemonia culturale». E, in questo caso Serra, senza volerlo, assumeva le fattezze di altri due eroi della Terrazza: Bruno/Stefano Satta Flores il critico cinematografico disilluso e Enrico /Jean Lous Trintignant, lo sceneggiatore disperato: anch’essi, come Michele, aggrovigliati in una generica idea sartriana della militanza culturale.
Ecco, in quel caso, quelle uscite, quelle inquadrature, erano il frutto dell’ineffabile sceneggiatura di Age & Scarpelli e del genio registico di Ettore Scola che volle caricaturare il suo stesso ambiente romano, altezzoso, salottiero, copia sbiadita dei salotti newyorkesi alla Leonard Bernstein. La terrazza. Un luogo metafisico del «noi contro gli altri»: un’oasi di pensieri forti in cui un drappello di signori di mezz’età, da una loggia pariolina, s’illudeva di decidere i destini intellettuali del mondo. Ecco, pare non sia cambiato nulla dai tempi della Terrazza. La Cortellesi- bravissima- dapprima registicamente vista come brutto anatroccolo dalle Commissioni cinematografiche di sinistra che l’avevano bocciata, dopo il successo di C’è ancora domani, è stata riammessa nei consessi radical, stavolta nel ruolo di maître à penser (oddio, meglio lei che altri).

DA CALVINO A BOLDRINI E chissenefrega se Paoletta, nella sua prolusione universitaria sulle fiabe woke abbia evocato i pensieri potenti di Laura Boldrini e di Monica Cirinnà, ma abbia eluso le citazioni sull’archetipo fiabesco di Propp, di Bettelheim o perfino di Calvino che indicava la favolistica come il catalogo dei destini dei popoli. E Calvino non era esattamente di destra. Sicché, la sindrome della Terrazza resta il testardo brivido snob di superiorità; lo zefiro ideologico che carezza sempre le stesse facce e attraversa sempre gli stessi territori, dai Parioli a Roma Nord, fino a Capalbio. Mai una capatina a Coccia di Morto, come avrebbe voluto la Cortellesi dei tempi indimenticati di Come un gatto in tangenziale. Sicché, cari conservatori - sembrano dire i complessati eroi di Scola - la destra incolta va discussa, combattuta, al limite isolata. Sicché, la nomina ministeriale di Sergio Castellitto (che, tra l’altro, non si capisce da che parte stia, ma certo non è di destra) a Presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia diventa, in fondo, un buon motivo per snobbare l’opera del figlio Pietro. E l’insediamento di Alessandro Giuli al Maxxi o di Pietrangelo Buttafuoco alla Biennale sarà un gesto intellettuale ma emana fragranza d’olio di ricino. E la mostra su Tolkien risulta solo un omaggio alle letture adolescenziali della Meloni; e Marinetti e i futuristi erano fasci e non hanno alcun domicilio culturale; e Gabriele D’Annunzio è troppo patriarcale e maschio alfa. E, tanto per parlare di editori: be’, con quelli non schierati a sinistra - da Newton Compton a Bietti, da Ares a Settecolori- urge mantenere le distanze, niente accredito colto, niente di più che un «Buongiorno buonasera», meglio sbagliare con Sarte che aver ragione con Aron, eccetera. Eppure il mondo è cambiato, l’Italia è cambiata. E il disincanto del borghese così snob e romanocentrico raccontato da Scola rimane ad agitarsi nella Terrazza abitata da spettri. Nel film il dirigente televisivo Sergio/Serge Reggiani ricorda a Luigi/Marcello Mastroianni, il giornalista): «In realtà sai benissimo che lo sviscerato amore che portavi a te stesso, non è più contraccambiato». Per l’appunto... 

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