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Se Berlino il rapinatore lascia Bella Ciao per Al Bano e Romina

la serie Netlflix è sempre adrenalinica, ma al furto con scasso aggiunge l'elemento melò che rende il protagonista un romantico psicopatico...

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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La serie "Berlino" Foto: La serie "Berlino"
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«Felicità es una copa de vino con un sándwich/felicità è un bicchiere di vino con panino, la felicità...».
Quando, in coda al fibrillato Berlino, spin-off de La Casa di carta, il protagonista Pedro Alonso canta in spagnolo e balla, assieme al suo complice/stratega da rapina Tristàn Ulloa, nella hall di un superhotel parigino la mitica canzonetta sanremese, dopo aver rapinato 44 milioni di euro in gioielli da un caveau blindato; be’, a quel punto, i cuori degli spettatori più attempati si gonfiano di orgoglio patriottardo. Dopo Bella ciao, ecco esalare Al Bano e Romina Power. Siamo allo scatto evolutivo.
Eppure Berlino, tra le serie Netflix più viste di questo scorcio d’inizio anno, riverbera di caciara italiana. A parte Alonso che canta («È stato così emozionante che mi sono messo a piangere»), la serie vanta, per esempio la trama di Sette uomini d’oro film di Marco Vicario del ’65; un realismo tutt’altro che magico che sa di commedia monicelliana; e dialoghi scoppiettanti che strizzano l’occhiolino all’immenso pubblico che La casa di carta ha accumulato dalla nostre parti. Per dirla tutta, Berlino è la Casa di carta che si è fatta di peyote. Solo che al posto del “professore” della serie originale qui c’è il fratello Andrés de Fonollosa che è un romantico psicopatico che si muove nel prequel. Lo sviluppo della trama è simile in entrambe. E gira attorno a un colpo alla Diabolik, con monili antichi molti collier- che vengono astutamente sottratti a una rinomata casa d’aste di Parigi, da Berlino nei suoi anni d’oro e da una delle tre bande che ha capitanato nella sua vita. Co-protagonista è la “mente” del colpo: Damián, un accademico separato da poco dalla moglie (che l’ha tradito e che egli stesso tradisce in un bungalow della provincia francese). Altri comprimari sono: una secchiona asso dei computer che bazzica realtà virtuali prima di conoscere sul posto di lavoro l’anima gemella; ossia un belloccio carico di muscoli disegnato sulla tradizione dei guasconi hollywoodiani. Poi ecco apparire un ragazzetto macerato dal riformatorio il quale si accoppia con la bellona del gruppo preda anch’essa di crisi amorose. Ed ecco, nella magia del prequel apparire - e qui lavorare insieme le “inspectore” di polizia Raquel Murillo e Alice Sierra - che conosceremo ne La casa di carta come feroci avversarie.

La differenza col rigore splendidamente criminale della banda del Professore sta nei toni e nella forma d’un’avventura tendente più al romanzo e alla telenovela. Berlino il pazzo amoroso, è infiammato dalla passione per la moglie della sua vittima, il custode dei gioielli. E, tra una tattica per scardinare il caveau (come da tradizione: tunnel sotterrano, stavolta usando escavatrice e fiamma ossidrica tra i pertugi di un ossario consacrato nei sotterranei di una chiesa) e una notte di sesso consumata in agriturismo, Berlino devia dai suoi cattivi propositi rapineschi. E opta per altri propositi peggiori: la creazione di prove per mandar in galera il rivale d’amore. «Ambizioso e affascinante, Berlino avrebbe potuto essere di ispirazione per un prodotto più vivace, ma gli autori si sono focalizzati più sulle sue relazioni con le donne e la sua umanità più riconoscibile. Forse una strada troppo semplice che non ha soddisfatto i fan del personaggio», scrive Letizia Rogolino su Elle nel più attagliato ritratto dello stesso Berlino. Crimine e melò, noir e commedia s’intrecciano in un tessuto narrativo che ricorda il genere giallo-rosa del cinema americano degli anni 40. Ne esce un racconto che è un ibrido curioso. Per alcuni delude le aspettative, e il discorso si chiude lì, sulla memoria postuma di Berlino (morirà eroicamente nella prima edizione della Casa di carta). Per altri, la botta d’ironia segna un nuovo percorso della trama che porterà al sequel del prequel. Secondo la stampa specializzata, si riscontrano tra le inquadrature delle “briciole” degli indizi «lasciate dagli sceneggiatori nei primi otto episodi di Berlino che, come nella fiaba di Pollicino, sembrano indicare la direzione del rinnovo». Rimane il ritmo adrenalinico che imprimono gli autori Esther Martinez Lobato e Alex Pina: inseguimenti in moto, perquisizioni di finte ceneri di finti morti nei camper, stanze d’albergo con cannocchiale a richiamare hithcockiane finestre sul cortile. Diciamo che, nonostante Al Bano e Romina in sottofondo, non ci si annoia... 

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