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Mollica, Staino (ma pure Joyce e Camilleri): la cecità non oscura il talento

Il giornalista Rai porta in scena la sua malattia agli occhi, prima di lui molti autori famosi, a partire dal papà di Montalbano, trasformarono il buio in creatività

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Vincenzo Mollica Foto: Vincenzo Mollica
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Il maestro accolse il giornalista con la voce arrochita dalle troppe sigarette, le dita annerite d’inchiostro e lo sguardo schiacciato da un glaucoma che, nonostante le buone intenzioni, non era mai riuscito a farsi davvero amico.
«Compare caro, ricordati sempre di non perdere la memoria dei colori» ammonì il maestro «i tuoi sogni, vedrai, saranno nitidi, vividi, come in tre dimensioni, le immaginazioni saranno forti, la tua memoria ti restituirà tutto come proiettato come su un grande schermo, con una nitidezza che tu non hai mai conosciuto...». Il sogno come tavolozza del reale, il buio come orizzonte d’immaginario. Ecco. Questo fu, più o meno, il dialogo che il maestro Andrea Camilleri sviluppò, in tarda età, con Vincenzo Mollica - a sua volta maestro di una generazione di cronisti culturali, compresa quella del sottoscritto- sulla comune cecità, le cui avvisaglie da bambini presagì loro un destino di tenebra.
INTUISCO MOLTE STRADE Mollica, scrittore, cinefilo, appassionato di musica e cartoon resta il più grande cronista di spettacoli italiano; e con quell’aria disneyana e la risata eternamente rotonda, ha affrontato- come Camilleri- il tempo e la professione nella consapevolezza che in vecchiaia sarebbe diventato cieco. Ora che cieco lo è del tutto, Vincenzo accoglie la sua malattia nello spettacolo L’arte di non vedere in scena l’11 gennaio all’Auditorium Parco della Musica di Roma e venerdì 15 gennaio al Tam- Teatro Arcimboldi Milano.
Il monologo sarà, al contempo, respiro di vita, esorcismo e omaggio a una vena creativa che mai s’è inaridita. Ma Vincenzo è solo l’ultimo scrittore a cui la cecità non ha rubato il genio. Anzi.
C’è un bel libro Storie di letteratura e cecità - edizioni Wordbridge - firmato da Julián Fuks, uno dei più celebri narratori brasiliani della nuova generazione, che s’immerge nei mondi degli scrittori privati del più fondamentale dei sensi. Jorge Luis Borges, per esempio, ereditò la malattia del padre, una retinite pigmentosa che unita a una forte miopia gli provocò prima una ipovisione e in seguito la cecità completa. Questo esausto e terribile processo durò vent’anni, ma non portò a un rallentamento della sua creatività e del suo ritmo di lavoro; in realtà accese in lui nuove scintille. Borges da L’Aleph in giù, produsse le sue opere migliori sul limite del suo crepuscolo, «Soy ciego y nada, per preveo/ques son mas los caminos», (Son cieco e niente so, ma intuisco/che molte sono le strade), diceva. L’intuizione. La pietra d’inciampo dell’arte.
Come Borges la pensava James Joyce. Quasi sempre fotografato di sbieco e con una benda su un occhio sormontato da pesanti occhiali da miope, il padre dell’Ulisse e del Finnegan’s Wake accumulò iriti, glaucomi e cataratte. Epperò, proprio in quella pupilla devastata dalle malattie, egli elaborò la sua prosa: un’epifania di flussi di coscienza che gli fece guadagnare l’appellativo paradossale di «maestro dello sguardo». Idem per Josè Saramago, mai cieco ma con problemi intermittenti alla vista; e il cui Saggio sulla cecità gli fece guadagnare il Nobel per la Letteratura, laddove la cecità simboleggiava l’incapacità dell’uomo di vedere ciò che gli occhi non mostrano.
Idem per Claude Monet il quale, da artista ormai senza occhi, dipinse un gruppo di murales raffiguranti ninfee per il Musée de l’Orangerie. Idem anche per Joseph Pulitzer, giornalista e editore creatore dell’omonimo premio che perse lo sguardo a 42 anni per distacco della retina, eppure lavorò sino alla pensione. Idem, perfino, per Sergio Staino il quale, negli ultimi anni da guastatore satirico, disegnava a memoria in matita lieve, mentre il figlio lo rimpolpava con la china. L’artista cieco può vivere varie gradazioni di cecità che può variare dal buio assoluto all’ipovedenza alla percezione dell’ombra del mondo. L’artista cieco – specie se lo è diventato “dopo” possiede un’intimità inimmaginabile.
«La luce non gli è indifferente. Né la sua totale assenza gli concede un’oscurità perfetta. Le persone concepiscono un cieco come un individuo imprigionato in un mondo nero, senza sapere che quello è uno dei colori di cui si sente più la mancanza», scrive Fuks. E ha ragione.
La cecità modifica anche il carattere.
Lo stesso Camilleri smussò il suo – duro e impetuoso- una volta imparata «l’umiltà del dipendere dagli altri, dell’affidarsi alla cortesia e alla gentilezza di chi mi circonda». La cecità mette l’ingegno a braccetto con la fantasia. Rivela Vincenzone Mollica in un’intervista al Corriere della sera quando si accorse di aver perso l’occhio sinistro: «Fin da allora ho adottato una tecnica. Ho mandato a memoria tutte le strade, tutte le stanze, tutti gli alberi. Liso, per averli visti. Per verificare chiudevo l’occhio destro e controllavo se la mia memoria aveva immagazzinato tutto. A Sanremo o a Venezia mi bastava uno sguardo per fare una panoramica di luoghi e persone».
NELLA TESTA E, non potendo più scrivere gli articoli a mano, li componeva nella testa, come fosse un foglio bianco: «Voglio sentire, in qualche modo vedere, le lettere che si assemblano: la forma austera della B, il carattere sbarazzino della T». Mollica confessa che vorrebbe essere Mr. Magoo, il vecchietto del cartoon che affrontava l’ipovisione con un’incosciente allegria. In realtà il talento del cieco letterario brilla per la vista di aquila delle Ande e le ali dell’Albatros di Baudelaire, che toccano terra con difficoltà ma non importa perché, in fondo, è il cielo la loro missione... 

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