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Addio a De Masi tra l'ozio creativo, Grillo, Olivetti (e i talk show)

Avversario e galantuomo, grade ironia da piccolo schermo, era stato l'ispiratore del reddito di cittadinanza ma aveva studiato Le "Comunità" del genio di Ivrea

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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 Domenico De Masi Foto:  Domenico De Masi
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«Bisogna esser leggeri come una rondine, non come una piuma», perché, a differenza dell’effimera levità delle piume, le rondini sono capaci di volare. Ecco, nell’aforisma di Paul Valery che campeggiava dal suo sito web, nella levità come missione di vita, stava l’essenza di Domenico De Masi scomparso a 85 anni per malattia improvvisa e invasiva, spiazzando fan, amici e avversari.
Per chi l’aveva conosciuto oltre le formidabili apparizioni tv (era un animale dal talk show, specie a La7 e Rainews) e gli sfoghi accademici, Mimmo De Masi, fine intellettuale e tra i più stimati sociologi del lavoro a livello internazionale, era un galantuomo napoletano vecchio stampo.
Battuta fulminante, aperto al dialogo e animato da spirito sociale, De Masi si poneva a metà strada fra Che Guevara, un monaco benedettino e un eroe di Eduardo Scarpetta. Se lo si guardava dal lato delle idee, la sua figura e i suoi pensieri erano l’esatto contrario dei nostri.
Docente negli annidi piombo e poi Preside della facoltà di Sociologia della Comunicazione alla Sapienza di Roma, un occhio ossessivo verso tutte le diseguaglianze e verso la poetica -tutta da discutere- del «lavoro agile», De Masi oramai in pensione, da Ravello, si adoperava per illuminare la Scuola di Cittadinanza del Fatto Quotidiano di cui era assiduo collaboratore. Era stato, in pratica, l’ispiratore del reddito di cittadinanza e il nume tutelare del Movimento Cinque Stelle del quale aveva seguito ascese, scissioni e declini (Grillo: «Era un amico»). In più, era sodale del Presidente brasiliano Lula con cui aveva lavorato da Brasilia a Sao Paulo, adattando per quel governo una particolare teoria dei processi lavorativi elaborata –dopo la laurea in giurisprudenza- nel dottorato in sociologia del lavoro che aveva conseguito con Alain Touraine a Parigi.
Soprattutto, durante il Covid, De Masi divenne il propugnatore di uno smart working che doveva rendere produttive sia l’operatività dei lavoratori da casa, sia quella degli stessi datori di lavoro. In teoria. Era, codesto, il terminale del suo concetto filosofico più famoso: quell’ «ozio creativo» trattato nel best seller Una semplice rivoluzione. Lavoro, ozio, creatività: nuove rotte per una società smarrita. Un «ozio» inteso come «unione di lavoro con cui produciamo ricchezza, di studio con cui produciamo sapere e di gioco con cui produciamo allegria.
L’insieme di queste tre cose dà origine a quelle che possiamo chiamare ozio creativo», diceva.
Una visione affascinate (ma poco realizzabile) i cui germi si ritrovano nei suoi primi annidi carriera all’Università Federico II di Napoli; e, nel contempo, presso il centro studi Nord e Sud diretto da Giuseppe Galasso, dove svolgeva una ricerca sui gruppi informali e sui sindacati presso l’Italisider di Bagnoli. Pochi ricordano che, prima di flettere orgogliosamente a sinistra, De Masi era stato alla corte di Adriano Olivetti, nel cui concetto di “Comunità” e di welfare solidale era stato forgiato. Allo stato embrionale, la sua concezione di «doppia dialettica di classe» che divideva la classe imprenditoriale tra “illuminata” e “subalterna e conservatrice” non era affatto malaccio, perché attingeva alle fondamenta stessa dell’Italia del boom industriale. Poi, via via sempre con simpatia incoercibile, le sue teorie divennero sempre più estreme. Ricordo che una volta, in un talk show, preconizzò l’ascesa del Pil e la risalita della produzione industriale attraverso un taglio brutale delle ore di lavoro. Preso dalle analisi previsionali e dallo studio dei modelli (in quel caso espressi dal suo cult-book, Mappa Mundi - Modelli di vita per una società senza orientamento, Rizzoli) il prof si era dimenticato del Maelstrom del nostro debito pubblico e dei dati terrificanti delle nostra occupazione. A chi –come il sottoscritto- glielo fece notare con una battuta ridefinì la sua teoria fondamentale: lavorare meno per lavorare tutti per lavorare meglio. Rispettabile, ma opinabile. De Masi ha lasciato il vuoto dei grandi avversari muniti di rispetto e senso dell’onore...

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