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Macché censura, Saviano è vittima di sé stesso

Prima a sinistra andavano in cerca di fascisti e facevano cacciare i “nemici” Ora si stupiscono perché il codice etico viene fatto valere pure per loro

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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 Roberto Saviano e Roberto Sergio Foto:  Roberto Saviano e Roberto Sergio
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C’è Roberto e Roberto. In Roberto Sergio, amministratore delegato della Rai, convivono: la corpulenza del servizio pubblico, l’astuzia della vecchia Dc e il rigore del manager che danza tra esigenze contrattuali e svolgimento di una funzione pubblica esercitata con «disciplina e onore»: roba forse polverosa, ma prevista dalla Costituzione all’articolo 54.
Sergio ha, di fatto, re-imposto alla tv di Stato un perduto «codice etico» a interpretare estensivamente i doveri dei dipendenti pubblici. Può piacere o non piacere, ma così è.
Sicché quando l’altro Roberto, il Saviano, scrittore ormai dedito all’affaticata caccia ai fascisti immaginari, ha continuato a ribadire e, soprattutto, a rivendicare gli insulti verso «Salvini ministro della mala vita»; be’, ovvio che, alla fine, pure il doroteo Roberto, il Sergio, si sia incazzato. Sollecitato da una levata di scudi del centrodestra (sollecitato a sua volta da Libero), l’ad della Rai ha dunque cancellato dal palinsesto di Raitre la trasmissione di Saviano, Insider, faccia a faccia col crimine. Il motivo è di una banalità tecnico-aziendale e «non politica» ha affermato Sergio al Messaggero, «abbiamo trovato un’azienda demoralizzata e preoccupata. Il rapporto con la politica? La Rai non può esimersi, è importante che la politica non la condizioni». Per Sergio la Rai non è un insieme di programmi, è una postura istituzionale. Sicché, dopo il precedente della soppressione del programma di Filippo Facci per un articolo su Libero considerato sessista attorno al caso LaRussa jr, l’ad della Rai non poteva evitare di far fuori Saviano.
 

IL SOLITO EMBOLO Al quale Saviano è ovviamente partito il solito embolo.
E, con usuale propensione martirologica, lo scrittore ci ha dato dentro, elargendo espressioni del tipo: «Facci ha attaccato una persona inerme per difendere il potere. Io ho attaccato il potere. Non vedo molti punti di contatto» (e qui emerge un paradosso: se Facci difende il potere, perché allora l’hanno fatto fuori?); o «hanno elaborato un codice etico che risponde ai desiderata di Salvini» (quest’ossessione di Salvini non è più Freud, ma Lacan, bisognerebbe mettergli alle costole lo psicologo Massimo Recalcati); o «la decisione è politica». Ma la decisione non è affatto politica.
O meglio, è politica solo nella misura in cui la politica, nelle sue profonde contraddizioni, continui ad aleggiare attorno alle decisioni del settimo piano di Viale Mazzini. A cotè, il solito tappeto sgualcito di dichiarazioni- slogan dall’opposizione. La Schlein spara: «Il governo Meloni riesce ad attaccare Don Ciotti da sempre impegnato nel contrasto alla criminalità organizzata e cancellare quattro puntate di Insider (già registrate) contro le mafie di Roberto Saviano come vendetta perché è saltata la striscia di Facci», senza specificare che chi ha fatto saltare Facci è lo stesso ad che ha cancellato Saviano. L’ad che ha pure mantenuto in palinsesto tutti i programmi dei conduttori di sinistra assegnandone perfino qualcuna ai 5 Stelle.
Michela Murgia rincara la dose: «Nessuno era così ingenuo da pensare che avrebbero mai dato una trasmissione nuova a Saviano col nuovo corso fascista in Rai». Nicola Fratoianni ringhia: «È un continuo di decisioni che andranno ad affondare la maggiore industria culturale del Paese, ad insultare milioni di telespettatori del nostro Paese». Ma il sinistro Fratoianni non articola su quali siano le decisioni che precipiterebbero nell’apocalisse una Rai strappata per i capelli alla morte clinica di piani industriali inesistenti, palinsesti lasciati al destino, contratti di servizio mai confermati. Cioè: dall’opposizione prima sollecitano la cacciata di Facci per un «reato d’opinione». Poi, però, toccati i loro per lo stesso motivo, invocano l’epurazione e persino la volontà di «cancellare programmi sull’antimafia»; con l’ex magistrato grillo Cafiero de Raho, a chiedere l’intervento proprio della Commissione Antimafia. Cose così, di un surralismo spiazzante e, finanche, fascinoso.

DEGNITÀ DI STATO La vera verità è che questa Rai non riesce a produrre i bei martiri di una volta. Non si riescono più a creare i Luttazzi e i Santoro; gli editti bulgari appartengono alla storia. Lo stesso Facci non è felice della cacciata di Saviano perchè «sono due voci in meno». E qui due sono le scuole di pensiero. Per la prima ogni opinione, anche la più inopportuna, in Rai non dev’essere soggetta a regole. Perla seconda le regole sono la cifra di un modello culturale. Sergio ha scelto la seconda. La dignità e la degnità del servizio pubblico. Se ha fatto bene si vedrà, ma è una scelta da rispettare.

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