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Storia di Gian Marco Chioggi, un John Wayne al Tg1

Cronista d'assalto, l'ossessione per lo scoop, l'amicizia con la premier, il giornalismo come artigianato di famiglia:: storia di un giornalista "contro" (che proprio per questo potrebbe avere qualche problemino a viale Mazzini...)

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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 Gian Marco Chiocci Foto:  Gian Marco Chiocci
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Aveva l’anca asimmetrica di un John Wayne, l’occhio di un lupo digiuno di notizie, l’allure di un patrizio umbro fuori sede.

Quando anni fa assunse Gian Marco Chiocci, Vittorio Feltri inciampò in un clamoroso errore di valutazione: «Lo presi in redazione fidandomi del padre Francobaldo, penna raffinatissima. Però il figlio mi sembrava un cowboy, anzi un pistola. Dopo un po’ mi resi conto di che era tutt’altro che un pistola. Si dimostrò un segugio efferato con un formidabile senso dell’inchiesta. Oserei dire un giornalista d’altri tempi…». Oserei confermare.

Finalmente per la sua parte politica, i suoi lettori e ora gli italiani tutti, Chiocci è direttore del Tg1. Classe ’64, figlio d’arte, l’aria macerata del cronista di frontiera, eugubino di nobili natali, quattro figli di varie età di cui tre avuti con la moglie Alessandra Frigo autrice de La7, una passione per la Lazio che lo spinge a commenti e meme funambolici sui social: Chiocci si arrampica oggi, con mano ferma, sulla tolda del più grande telegiornale d’Italia. Fortemente voluto sì da Giorgia Meloni e suggerito dai grandi influencer della destra che conta –Feltri su tutti- Gian Marco per la prima volta connoterà il Tg1 molto più di quanto il Tg1 potrà connotare lui. Il che suppongo sia una novità per il servizio pubblico visto da destra. 

IL DIVANO BLU Certo, Gian non potrà più usare il divanetto blu del Tempo di cui era direttore (e dove s’appisolava il viandante Claudio Lotito) come pensatoio per i titoli o le vignette più cazzone dell’anno. Ricordo, per esempio, l’apertura del quotidiano romano sull’allora sindaca di Roma Raggi che in siccità invitava a non usare il bagno: «Calma e cesso», titolò il direttore. O una copertina nel dicembre 2017 su "Mussolini uomo dell'anno" corredato da un pezzo coltissimo di Marcello Veneziani che denunciava i fantasmi dell’antifascismo facendo saltare le coronarie a sinistra. O tutte le vignette di Federico Palmaroli in arte Osho gettate in pasto a un pubblico mai abituato a ridere troppo. 

Due righe di cronaca per chi non lo conoscesse. Chiocci è più di un «cronista d’assalto»; è letteralmente divorato dall’ossessione per l’inchiesta. Per capirci: è lui quello che, a colpi di scoop e reportage, ha tenuto su quasi da solo l’inchiesta di “Affittopoli” che costrinse Massimo D’Alema a cambiare casa; e la politica a cambiare postura, inginocchiandosi per la vergogna dinnanzi ai propri elettori. Stesso copione, anni dopo, con la famosa inchiesta sulla «casa di Montecarlo» del Tulliani cognato di Gianfranco Fini: è lui il conduttore della mitica «macchina del fango» in grado di stroncare la carriera del leader di Futuro e Libertà e che, in prospettiva, insufflò nella destra sperduta il germe meloniano di Fratelli d’Italia.

Tornando alla carriera del nostro: Chiocci inizia la inizia molto giovane scrivendo sulla Gazzetta di Prato e Firenze; poi passa a Il Tempo sezione d’Abruzzo, poi a Latina e a seguire a Roma, occupandosi prevalentemente di cronaca giudiziaria. Dopo una breve parentesi a L’Informazione nel 1994 diventa, appunto, giornalista del Giornale diretto da Feltri. Nel 2013 eccolo direttore de Il Tempo degli Angelucci, dove il pallino per la giudiziaria gli resta sottopelle («Dopo il cazzeggio, rimaneva ore e ore a studiarsi le carte e gli atti giudiziari, specie delle inchieste che da cronista aveva cominciato lui», ricorda il suo ex vicedirettore Marco Gorra).

 Dal 2018 Chiocci è direttore dell’agenzia Adnkronos, prima di ottenere la direzione del Tg1. Sull’abilità investigativa e sul guizzo giornalistico del nostro nessuno, specie tra gli avversari, è in grado di imbastire critiche sensate.

I CINQUANT’ANNI Era stato indagato per favoreggiamento per aver rivelato all’ex terrorista Nar Salvatore Buzzi, con il quale intratteneva rapporti come cronista-fonte, di un’indagine a carico di Massimo Carminati. Chiocci, che ha sempre escluso di aver avvertito Buzzi, è stato poi assolto: la storia era sempre stata relegata a una paginetta delle migliaia dell’inchiesta Mafia Capitale. Ma, non sussistendo il fatto, lui s’è sempre scosso, con gesto lieve tutto il fango che hanno cercato di scaricargli addosso. Rispettato incredibilmente anche a sinistra e pubblicamente lodato da Giuseppe Conte («è proprio uno bravo») del quale ha  seguito le gesta, Chiocci ha dimostrato la propria trasversalità –raccontano le cronache- alla festa dei 50 anni. 

Laddove, in un allegro casino da baccanale, «in una chiesa sconsacrata di proprietà di famiglia in via dei Coronari, c'era mezza Roma, anche Aldo Biscardi» scrive Concetto Vecchio di Repubblica. Il quale, pur apostrofandolo come «il cronsista dei misteri» non nasconde per Gianma una malcelata invidia. 

Chiocci è l’unica novità di questa tornata di nomine Rai fatte da Roberto Sergio con acume assai meloniano ma in guaina democristiana. Ed è anche l’unico direttore di tiggì scelto dall’esterno grazie a un patto d’acciaio tra Meloni (Chiocci è davvero l’unico per cui la premier s’è spesa), Salvini e Tajani. Ciononostante, l’unico problema sarà il carattere “controcorrente” del nostro costretto nell’iperistituzionalità del Tg1. Non mi stupirei se lì cominciasse a stracciare le scalette e a scuotere le notizie come faceva, da collega senza mordacchia, con le coscienze…

 

 

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