Se l'Italia fosse davvero razzista, la Egonu non sarebbe la Egonu
L'atleta: «So che se il mio bimbo sarà di pelle nera affronterà lo schifo che ho vissuto io» Ma è proprio in questo Paese che la sua famiglia ha trovato accoglienza e lei il successo
Aveva ventitrè anni Jesse Owens nero dell’Alabama, quando alle Olimpiadi del ‘36 divenne il lampo nel cielo oscuro della Berlino nazista, vincendo quattro medaglie d’oro in un oceano di teste ariane sotto choc. Aveva 24 Jackie Robinson, primo nero della Major League americana di baseball, quando veniva preso a pallate dai lanciatori anche della sua squadra; e, vincendo tutto s’infilò nei libri di storia come il «più grande sportivo americano di sempre». Paola Egonu padovana di genitori nigeriani ha la loro stessa età ma un approccio alla vita più catastrofico.
Paola è probabilmente la più grande pallavolista che l’Italia abbia mai prodotto, vanta una classe agonistica innaturale quanto il palmarès. Ed è ovvio che la sua intervista-provocazione a Vanity Fair, rimbalzata su tutti i ntg e rotocalchi, astutamente uscita a margine del Festival di Sanremo di cui è una delle conduttrici, stia sollevando sdegno e solidarietà di fan e lettori.
Paola, richiesta di commento su una sua eventuale gravidanza si è pregiata di rispondere, di non volerlo, un figlio in Italia: «Se mio figlio sarà di pelle nera, vivrà tutto lo schifo che ho vissuto io. Se dovesse essere di pelle mista, peggio ancora: lo faranno sentire troppo nero per i bianchi e troppo bianco per i neri. Vale la pena, dunque, far nascere un bambino e condannarlo all'infelicità?».
Che è, ovviamente, una domanda retorica.
IL TRAUMA E LA MAESTRA Vale sempre la pena, L’insicurezza sociale di Paola, campionessa dal sorriso carsico, è inversamente proporzionale alla sua altezza (1,93!). Nell’intervista la ragazza racconta il trauma della maestra che alle elementari le impedì di andare in bagno portandola a farsela sotto (e accaduto anche a mio figlio, bianco e biondo, ma finora nessun trauma); per poi darle, con cattiveria della «puzzona, fai schifo» rovinando il suo rapporto con le toilette. E poi, Paola spiega che gli italiani sono inevitabilmente razzisti: «Capita che mia mamma chieda un caffè al bar e che glielo servano freddo, che in banca lascino entrare la sua amica bianca ma non lei».
O parla delle reazioni feroci nei corridoi scolastici: «Alle medie una ragazzina continuava a prendermi in giro perché ero nera. Un giorno l'ho afferrata per i capelli e le ho urlato: “Dillo un’altra volta e ti metto le mani addosso, non ho paura di te”». E, per inciso, Paola ha fatto benissimo: io consiglio sempre ai figli in difficoltà, di assestare ai bulli una testata secca sul setto nasale.
Dopo, però, Egonu carica il racconto. Narra degli estremi sacrifici sportivi a cui è sottoposta, non pensando che c’è pure chi –bianco come un cencio- fa la colf, sta in coda alla Caritas o lavora in miniera. E c’è perfino una discriminazione estetica: «Sono cresciuta in un contesto in cui lo standard di bellezza presupponeva l'essere bianca. Io ero sempre la più alta, ero nera, con questi ricci che odiavo» continua lei «a un certo punto mi sono rasata a zero. Peccato che poi venivo presa in giro perché non avevo i capelli. La vita era uno schifo. Io mi sentivo uno schifo». Certo, osservate dalla visuale dell’adolescente cresciuta in una famiglia di migranti nel profondo nord, le denunce sono comprensibili, e stringono il cuore. Come quando Paola evocò, tra le lacrime, l’episodio in cui un branco di tifosi sbagliati le urlarono di non esser degna di vestire la maglia azzurra. Dolore su dolore. A cui s’aggiunge anche la morte delle sua prima allenatrice Fabiola Bellù. Insomma, sfighe sempre all’orizzonte.
Noi tifosi capiamo tutto. E la abbracciamo dell’abbraccio eterno di quando vinse il suo primo scudetto, o il titolo di miglior giocatrice del continente. Epperò vorremo anche sgravarla di tutto questo dolore. Sottolineando qualche piccolo dettaglio che ne ridimensioni il dramma. Innanzitutto Egonu fa un’intervista a Vanity Fair, una delle riviste più fighette e patinate del mondo; e concede interviste a quotidiani come il Corriere della sera dall’età di 17/18 anni. E le sue speculazioni non riguardano la tecnica del bagher, il cambiopalla o la classifica dei play off. Sono opinioni richiestele in quanto opinion leader, in grado di modificare carichi pubblicitari ed etica delle aziende. Paola, meno di Fiona May (che prima di diventyare una star tv denunciò anche lei epoisodi di razzismo) ma come Andrew Howe, Fausto Desalu e soprattutto Marcel Jacobs, è un’italiana di seconda generazione perfettamente integrata in Italia; e anche la sua famiglia ha avuto identica accoglienza. E spesso, come lei stessa ammette, per i ragazzini Egonu appare come modello di vita e di sport.
RESPIRO D’ORGOGLIO Pur avendo buttato lacrime e sangue, Egonu non se la passa male. Gli idioti razzisti esistono in ogni dove, cara Paola, basta ignorarli e non farsi sottomettere dalle patetiche minoranze, specie nei social. Quando farai un figlio, instillagli gli stessi respiri di orgoglio, di gioia e di coraggio che ti hanno spinto fin qui. (E se lo fai nascere nel mio Veneto, quei respiri saranno ancor di più i miei...)