Se il Generale Dalla Chiesa batte il Grande Fratello
Orgoglio patriottico, senso del dovere, servizio pubblico e ottimi attori dietro il grande successo della produzione tv sul meraviglioso carabiniere. Storie di italiani al di sopra delle media.
Ci sono «gli alamari cuciti sulla pelle», come diceva il Generale. E c’è il boom d’ascolti della leggenda di Carlo Alberto Dalla Chiesa, ad intarsiare l’orgoglio dei palinsesti. (Specie al tempo della cattura di Matteo Messina Denaro)
Senza essere necessariamente figli, nipoti, fratelli dell’Arma (molti noi, compreso il sottoscritto, lo sono), be’, trapela qualcosa di spiazzante, di patriottico, quasi la voglia di memoria condivisa, nel fatto che la prima puntata de Il Nostro Generale vita e miracoli investigativi di Dalla Chiesa (da riguardare su Rai Play) abbia vinto la serata e battuto Il Grande Fratello Vip . L’audience, a volte, possiede una sua grazia eversiva: la fiction su Raiuno ha registrato 3.957.000 spettatori arrivando al 19.9% di share, il reality di Canale 5 ha interessato 2.682.000 spettatori share del 20.1%. Mentre, in sovrapposizione, la prima ha fatto 620mila spettatori in più, 19.98% contro 16.81%, punte di 4.5 milioni e quasi 50% di permanenza.
TUMULTI DEL CUORE E la curva d’ascolti ha segnato il suo picco sull’inseguimento finale al brigatista Renato Curcio da parte dei due carabinieri in borghese, con tanto d’inquadratura a riverbero nostalgico dal retrovisore della 124 Fiat in corsa. Direi quasi una citazione dei poliziotteschi con Maurizio Merli negli anni 70. E proprio nel 1973 parte la storia del Generale, comandante della Legione di Palermo, che viene trasferito a Torino per fronteggiare l’escalation di violenze e propaganda appiccata dalle Brigate Rosse.
E nella città della Mole il militare –dopo un’accurata ricerca tra giovani selezionati, senza famiglia, affetti e pronti al sacrificio- imbranca, neanche fosse Aldo l’Apache di Bastardi senza gloria di Tarantino, quello che diventerà uno dei migliori nuclei antiterrorismo della storia del Paese. «Sono il vostro generale...» si presenta ai suoi uomini schierati in un capannone, compresa la Minnie dalla buoncostume simbolo di tutte le donne che il capo avrebbe voluto avere nel suo mucchio selvaggio. La miniserie in quattro puntate segue il tumulto del cuore, non tradisce il ricordo di Dalla Chiesa e soprattutto –cosa rara- non cede all’agiografia. Tra tutti gli attori, il protagonista Sergio Castellitto è un gigante d’umanità vibrata con i propri ragazzi, costruisce una ragnatela di strategie che disegnano la lotta alla mafia come quella al terrorismo. Nei pranzi in famiglia l’uomo si sostiene alla prima moglie Dora alla quale offre caffè e fedeltà; al matrimonio della figlia sembra Spencer Tracy nel Padre della sposa, riottoso con lacrimuccia; non si toglie mai quella livida divisa in panno, slim ante litteram, che mi ricorda quella di mio padre, e probabilmente non se la toglie proprio per via degli alamari cuciti sulla pelle.
Nei dialoghi serrati, i personaggi della serie hanno una rara profondità di racconto, specie l’immaginario Nicola, pugliese, un volenteroso dotato di acume investigativo, di timidezza e di madre in ospedale, nonché voce narrante della storia. Per non dire del Trucido, campano, musicista, a cui è affidata gestione del pentito Patrizio Peci; o di “Frate Mitra”, l’infiltrato; o del capitano Sechi primo ufficiale del generale, infaticabile e controllato, l’unico gli tiene educatamente testa («Posso dire di non esser d’accordo, generale?», «Può pensarlo!»). Ora, di film su Dalla Chiesa se ne sono stati girati più d’uno, il più iconico resta Cento giorni a Palermo di Ferrara, dell’84, con un indimenticabile Lino Ventura. Ma questa fiction, diretta da Lucio Pellegrini e Andrea Jublin e prodotta dalla Stand By Me di Simona Ercolani ha due visuali inedite: distilla gli eventi dallo sguardo di ragazzi del nucleo - uomini invisibili e piccoli grani eroi sotto traccia- e si propone come edutainment (educational+ intrattenimento) anche a un pubblico giovane che nel mito della lealtà e del rispetto di Dalla Chiesa non è mai davvero inciampato.
COME DICE RITA Se proprio si deve fare un appunto, potremmo discutere sulla scelta di una fotografia volutamente invecchiata, o su qualche inquadratura troppo compiaciuta. Ma sono gusti individuali, questioni di lana caprina.
Agli spettatori è stata donata la storia di un italiano al di sopra della media. Che poi è la vera missione del servizio pubblico. «Questa fiction sprigiona amore passione», ne commenta la visione la figlia maggiore del generale. E Rita ha ragione. Sprigiona amore, passione e ascolti spiazzanti, aggiungerei. Ci sarà un motivo...