"Odio il Natale": ovvero Pilar, la stella sopra l'albero
Nella serie Netflix la Fogliati (grande scoperta) cerca un fidanzato per le Feste: la storia diverte, lei funziona. E la Lux Vide si butta sul mercato seriale degli adolescenti (che non è affatto male)...
"Prendete una trentenne teneramente corrosiva stile Fleabag, roba a metà tra la Monica Vitti degli anni 70 e la Shirley MacLaine delle commedie con Jack Lemmon; rendetela una single invincibile suo malgrado; e scaricatela, in bicicletta, tra le calli, i ponti e i canali veneziane nel ricordo di una serie ambientata a Oslo; infine, puntatele contro il faro dell'ironia e del sorriso.
Elì, osservando Pilar Fogliati nel ruolo dell'infermiera Gianna in Odio il Natale vaporosa serie di successo, be', vi accorgerete che è davvero nata una stella.
Odio il Natale che sta spopolando su Netflix (se la batte tra primo e secondo posto con Mercoledì Addams) è una commedia romantica astuta quanto la serie norvegese a cui s' ispira, Natale con uno sconosciuto, ma ambientata tra Chioggia e Venezia. Tratta di un'infermiera troppo perfetta al punto da rischiare lo zitellaggio; la quale, onde evitare di essere stritolata tra le rampogne e gli sbuffi d'una famiglia tradizionale si butta nella caccia coatta al fidanzato da portare a casa a Natale come il cotechino sotto l'albero o il Gesù Bambino - perduto e ritrovato - in una gondola ancorata sul canal Grande, con tutto il suo bel carico di metafore.
GIOSTRA DI MOROSI La ragazza ha dunque 24 giorni di tempo per arrivare al 24 dicembre sera, a braccetto di un moroso, uno qualunque, vero o falso che sia.
Attorno a Gianna, così chiamata per affezione verso l'allegra e malinconica canzone di Rino Gaetano, si muovono personaggi e stereotipi: le amiche alla Sex and The City che cannano fidanzati e le amiche vergini che si mettono insieme con addetti alla pulizia muti e abilissimi nell'origami; i genitori di Gianna, modelli della buona società veneta ma con rispettivi amanti che si muovono in un'ipocrisia assai medioborghese; drogati e anziane viveur perduti in una corsia d'ospedale alla ricerca di redenzione; e poi i fidanzati, gli amanti e aspiranti tali della Gianna.
Che, poi, i fidanzati, gli amanti e gli aspiranti tali meritano una classificazione a parte, nel rispetto totale del politically correct. Ed ecco quindi sfilare davanti alle telecamere: il pescatore mammone e un po' autistico; il disabile in carrozzella miliardario intasato di Prosecco e alla guida di un idrovolante; il toy boy che fa il liceo linguistico (Nicolas Maupas, l'attor giovane che spopola dappertutto); la collega lesbica che bacia inevitabilmente Gianna in gondoleta; e il dottorino che dichiara il proprio amore tra un intervento in sala operatoria e l'altro. Uomini e presepi come piovesse, insomma. Più che un glaciale ritrovo norvegese, finisce che la cena in famiglia, qui, si trasforma in una sorta di Natale in casa Cupiello cadenzato dagli ammicchi e dalle battute molto americane di Love Actually, film peraltro citatisssimo oltremisura. Dialoghi scoppiettanti, regia ritmica, attori - tutti - in palla.
Pilar Fogliati, la Gianna, inebriante, sexy e comica nei monologhi davanti al camino, danza sul copione una spanna sopra a tutti. E onestamente la ragazza, dopo l'esordio al cinema con Forever Young di Fausto Brizzi e le apparizioni generaliste in Un passo dal cielo o Cuori (o al timone di un Extra Factor con Achille Lauro), il suo primo ruolo da protagonista se lo merita tutto.
INCOERENZA LINGUISTICA Se c'è da fare un appunto è la solita storia dell'incongruenza linguistica: i genitori di Gianna parlano con accento veneto, lei e le sue amiche con cadenza romana. Un rebus lessicale che neanche Umberto Eco o Tullio De Mauro. E le soluzioni al suddetto mistero sono 2: o i genitori hanno abbandonato la Gianna da piccola in un collegio di Trastevere assieme alle amiche; e tutte sono poi evase dietro riscatto pagato dalla Lux Vide che ha prodotto la fiction per pura bontà d'animo dopo l'abbandono del suo Don Matteo. Oppure sarebbe il caso di adeguare, almeno in famiglia i registri linguistici (o tutti veneti, o tutti romani trapiantati) della fiction stessa.
Ma la vera chiave di volta di Odio il Natale è un'altra. La nuova strategia della Lux Vide targata Fremantle - ma sempre gestita da Matilde e Luca Bernabei - è quella di differenziare il proprio pubblico da quello «maturo» di Raiuno. Così, chez Tinny Andreatta capo delle produzioni italiane Netflix, la casa di produzione più grande d'Italia pesca oggi anche da un pubblico adolescente. Trattasi di bacini d'utenza diversi, per le solite, efficacissime, spremute di cuore sotto l'albero. Il che non è detto che sia un male...