Alessandro Giuli, Maxxi svolta se lui diventasse presidente
La cultura cambia facce Si parte dai grandi musei Dopo Venezi consigliere musicale, Giuli, giornalista intellettuale e volto televisivo diventa presidente al posto della Melandri Nelle scelte una nuova strategia e la fine del senso di inferiorità a destra
Maxxi livori per un maxxi incarico. Ancora non l'hanno nominato, che a sinistra sono già incazzati, di quell'incazzatura insinuante, snob, tipica della rarefazione del potere.
Al netto dell'amicizia che lega questa testata alla sua aguzza firma, la prossima nomina di Alessandro Giuli alla Presidenza del Maxxi di Roma ha un significato profondo. Non è solo il segno d'un doveroso spoil system; ma apre sorrisi, strategie e scenari inediti per quella che a destra è stata, da molti (troppi) anni una desolata landa culturale attraversata molto (troppo) spesso da incompetenza e, al contempo, da sensi di colpa nei confronti delle menti progressiste. Ecco.
La vulgata, sinora, aveva visto il centrodestra fondamentalmente disinteressato alla cultura, «con la cultura non si mangia», diceva un noto ministro, ma non è vero: di cultura ci si può perfino ingozzare. E l'arrivo di Giuli al museo nazionale delle arti del XXI secolo rivela, finalmente una strategia.
Progettato magnificamente da Zaha Hadid, istituzione potente e interdisciplinare, il Maxxi è, dalla sua fondazione nel 2010, scenario e perno di molte dinamiche culturali fra arte, architettura e altre discipline. E la sua presidente Giovanna Melandri, già ministra della Cultura e dirigentissima del Pd, oltre ad avergli dato, nel 2012 epoca del suo insediamento, una matrice identitaria ne ha fatto una bocca di fuoco di estro e creatività. Certo, come scrive Luca Beatrice, Melandri ha sempre interpretato il ruolo con un certo nerbo e - diciamo- una striatura di autocrazia. «Donna sola al comando, del Maxxi quasi non si conoscono i direttori - prima Carlos Basualdo, poi Hou Hanru e Bartolomeo Pietromarchi chi li ha mai visti - il nome che esce è sempre quello della presidente, che decide la linea, le mostre, gli eventi, parla con la stampa e con la politica. Melandri ha aperto uno spin off del museo a L'Aquila, è riuscita a cambiare lo statuto attribuendosi uno stipendio, laddove i presidenti delle istituzioni non sono pagati, ha ottenuto dai precedenti governi l'aumento di finanziamenti, insomma una che al palazzo è bene accolta e si sa muovere», scrive Beatrice.
L'USO POLITICO
E ha ragione. Per anni alla Melandri, appunto, è stato lasciato esercitare l'uso politico della cultura. Per decenni il centrodestra al comando, aveva concesso la gestione del nostro immenso patrimonio culturale - per alcuni il 70% del mondo - agli avversari. E quando, putacaso, capitava di vincere le elezioni, la tendenza era di piazzare ai vertici del settore i trombati di secondo piano che al ministero avevano lo standing del turista passato di lì per caso. Ricordo con terrore i mandati da ministro al Mic di Galan o del poeta Bondi, tanto per dire; brave persone per carità, ma che entravano nel ruolo con la perizia d'un meccanico frigorista. Atti d'inspiegabile masochismo.
La nomina di Giuli - e prima ancora quella di Gennaro Sangiuliano al dicastero da cui ha nominato Giuli- ora fa saltare gli schemi. Prima c'era un destra culturale negletta, rinchiusa nei suoi simboli, schiacciata dal peso della sua stessa inadeguatezza.
Adesso, almeno all'apparenza, qui s' erge la destra che si appropria finalmente della consapevolezza che la cultura sia la clausola essenziale, la pietra fondante, il centro del patto fra l'Italia e il suo sistema produttivo. Per dirla sempre con Beatrice «senza egemonia cultura non si dà egemonia politica». E queste nuove nomine rientrano tutte in una nuova strategia del potere, un'inedita grammatica dei ruoli. Che già era trapelata nella convention milanese di Fratelli d'Italia dell'aprile scorso, ed è riemersa in una frase che Giampaolo Rossi aveva pronunciato a Libero: «Ciò che dovrebbe animare un futuro governo di destra non può essere la logica del "non faremo prigionieri" (che qualcuno in passato ha coltivato), ma quella del "liberiamo chi è prigioniero". Questo in campo culturale non si traduce nel sostituire l'egemonia della sinistra con un'altra egemonia uguale e contrapposta, ma nell'abbattere ogni pretesa egemonica e fare respirare la cultura di questa nazione. Se il nuovo governo conservatore saprà fare questo, potrà sviluppare il valore della nostra industria culturale, darà un contributo fondamentale a un nuovo rinascimento italiano». Non è solo un pensiero onesto, è una piattaforma programmatica.
APERTI AL DIALOGO
ra, la Maxxi nomina di Alessandro Giuli, romano, laureato in filosofia, già condirettore del Foglio, intellettuale riconosciuto e presenza fissa dei talk televisivi (da Otto e mezzo a DiMartedì dove si batte leoninamente, ma è stato anche conduttore nel palinsesto di Rai2, il suo ultimo programma è stato Vitalia), può essere -come quella di Beatrice Venezi a consigliere del ministero per la Musica- il punto di svolta. Certo, Alessandro mancherà di esperienza manageriale, o di un specifico curriculum artistico, e dovrà aspettarsi di essere attaccato per questo. Ma il mestiere s' impara (Jack Lang era prof di diritto, come Sangiuliano); e la sua scelta indica l'orgoglio di una destra competente forte delle sue radici culturali che intende rivendicarle e aprirsi al dialogo con l'altro. È un buon inizio. Ma, occhio: di menti alate e libere da questa parte ne abbiamo a bizzeffe (Marcello Veneziani, Pietrangelo Buttafuoco, Giordano Bruno Guerri, Nazzareno Carusi, per fare nomi importanti): vediamo di non sprecarle nei soliti, ridicoli giochini di potere....