Brunetta, tra le lacrime in tv: la rivoluzione silenziosa e l'evoluzione fragorosa
Brunetta a Raitre rivela le violenze verbali subite a causa dell'altezza. Ma, represso il suo fastidioso caratteraccio, sotto Draghi, il prof s'è dimostrato un ministro sorprendente...
Quando il solitamente irrequieto Renato Brunetta venne rinominato, con un sussurro, del suo amico e autorevole collega Mario Draghi, ministro della Pubblica Amministrazione, qualcuno parlò di “provocazione”. Nel ritorno fiero e vendicativo dell'economista –nato a Venezia, classe ’50, già capogruppo alla Camera- nei gangli stessi dello Stato ci credevano solo pochi fedelissimi. Sembra passata una vita, da allora. Oggi Brunetta ha lasciato con grande coerenza Forza Italia; e pure si è beccato la fidanzatina del Berlusca, la Fascina, che con inelegante ferocia lo ha chiamato traditore citando Il giudice di DeAndrè ("Un nano è una carogna di sicuro /perché ha il cuore troppo vicio al buco a del culo") ; e davanti a Lucia annunziata a Mezz'ora in più su Raitre Brunetta ha rivelato il suo tormento da perenne body shaming. Renato, con lo sguardo affogato nelle lacrime ha ricordato tutte le volte che veniva bistrattato, offeso, violentato verbalmente per la sua statura. E, lì, mentre la telecamera indugiava sul suo volto carico di tristezza, be', ho capito lo scatto evolutivo dell'uomo e del politico.
I giudizi di merito su di Brunetta,prima, erano equamente distribuiti. C’è chi lo individuava come uno degli artefici di una rivoluzione liberale di stampo berlusconiano mai davvero accesasi; e chi, ritenendone la protervia una caratteristica invincibile, pensava che l’uomo dovesse ritirarsi a scrivere libri e a vendere modellini di gondola a piazza San Marco come da tradizione di famiglia. D’altronde, allora, osservando Brunetta che roteava l’indice al cielo, strizzava gli occhi, parlava, inveiva, polemizzava in col tono nevrotico delle commedie di Louis De Funes anni 60; be’, uno realizzava che indubbiamente i politici simpatici fossero diversi. Brunetta si era autocandidato al Nobel per l’economia; faceva a pezzi i precari; ringhiava come un orsetto ghiottone verso chi non la pensava come lui; dava dei killer e mitragliava querele verso i giornalisti che ne rimarcavano le contraddizioni politiche e io ne so qualcosa. A Venezia, dopo si era candidato, con scarso successo, a sindaco lo chiamavano “Spanna Montata”. E ho detto tutto. Poi, però, è accaduto un evento innaturale, quasi magico. Brunetta, richiamato dal premier in quota Forza Italia (era, al di là del caratteraccio, uno dei migliori in circolazione), appena insediatosi nel ministero più vischioso d’Italia ha smesso di usare toni da Braveheart; ha cercato il dialogo articolato con i dipendenti; ha fiaccato i sindacati con la gentilezza; ha esaltato i sindaci (per esempio il Pd Nardella) “sul ridimensionamento della riforma della mobilità tra enti pubblici”.
E sul lavoro ha prodotto le dichiarazioni più di buonsenso che io abbia ascoltato negli ultimi anni: “Occorre intelligenza. Il blocco dei licenziamenti è stata cosa buona e giusta durante la pandemia ma non in un’economia di mercato. Ora siamo nella fase della transizione dobbiamo tutelare i lavoratori ma anche dare spazio alla crescita. Questo si fa con un grande patto come quello che fece Ciampi nel ’93 che possa mettere insieme prospettive, garanzie e crescita. Le risorse ci sono, sarebbe una follia in una prospettiva di questo genere avere conflitto. Per quel che riguarda il lavoro pubblico questo accordo per l’innovazione e la coesione l’ho già fatto. Questo è il momento di un grande accordo, il ministro Orlando e Draghi lo sanno benissimo. Siamo al boom economico e occupazionale, al netto di alcuni settori che erano in crisi già prima della pandemia”. E i dati gli hanno dato ragione.
In più, tomo tomo cacchio cacchio –nell’ambito di una strategia che trova terminale la sua nuova portavoce Manuela Perrone- il ministro ha bloccato i concorsoni campani in cui i partecipanti avrebbe voluto essere bizzarramente assunti senza prove e solo per titoli con palese violazione della Costituzione; e ha confezionato una riforma della PA basata sui titoli e sulla competenza, cosa rarissima per un comparto che vantava un personale in genere sottostaffato, anzianotto e poco competente. Tra l’altro, nell’assumere 24mila nuovi dipendenti pubblici per ottenere i fondi del Recovery europeo (“Avviso ai naviganti: no reform, no money”, afferma il ministro) Brunetta ha applicato criteri da azienda privata, com’è giusto: assunzioni a termine per ipertecnici anche attraverso Linkedin e colloqui; e stabilizzazione soltanto per i più meritevoli ossia coloro i quali riescano ad ottenere gli obbiettivi di risultato prestabiliti. Una modalità assai americana che ha lasciato di stucco i fancazzisti e i raccomandati. Certo, il metodo si deve ancora rodare.
Ma che la rivoluzione la stesse facendo Brunetta, trovando la forza, in un inedito silenzio zen; be’, spiazza e spazza via molti pregiudizi. La caduta di Draghi ha fatto franare tutto. Ma, insomma (lo dico da querelato dal Brunetta) , signor ministro. Chapeau per la coerenza e -come si dice- per il lavoro svolto...