Re di Twitter e influencer, quando D'Annunzio era meglio di Fedez
Un documentario Rai firmato Guerri propone la figura del poeta interpretata dai ventenni. Abile comunicatore, creatore di mode, sostenitore dei diritti civili: questo era il genio più sicuro di ogni internauta moderno
«Tanto è l’ardore che il sogno eguagliò l’atto #primovolo». «Conservare intiera la libertà fin nell’ebrezza #freedom». «Io modesto? È il solo difetto che mi onoro di non avere #modesto». C’è più di un esperimento sociale, c’è quasi l’eco del contemporaneo che risuona tra Twitter e il multiverso, nella ridda di pensieri dannunziani che invade i social.
Una ridda di tuono che è pure la traccia su cui viene costruito, fotogramma dopo fotogramma, su Rai Tre D’Annunzio, l’uomo che inventò sé stesso documentario (prodotto da Ince Media e Filippo Cellini con Rai Documentari e Luce Cinecittà, per la regia di Francesca Pirani e Stefano Viali) che Giordano Bruno Guerri consegna alla Generazione Z. L’assunto è pura trasgressione: il Vate fu il primo influencer della storia e sarebbe amato dai giovani. «Non si lasciava mai fotografare; sceglieva lui il fotografo e, personalmente, la posa giusta, l'immagine da servire al pubblico: pensoso, audace, sensuale. Ha anticipato pure gli influencer, anche se per lui sarebbe più adatto il termine opinion maker. Aveva, soprattutto a cavallo del '900, la capacità di incidere sulle mode: tutti gli uomini lo imitavano nei giorni di festa, si facevano crescere il pizzo come lui», dice Guerri dall’alto della sua magnifica Presidenza del Vittoriale degl’Italiani.
«Ricorda un po’ Fedez, anche se gli influencer sono il ritratto dell’insicurezza, D’Annunzio era l’esatto opposto», aggiunge una studentessa. Ed è vera l’una e l’altra affermazione. Il documentario è inedito e ricco di filmati d’epoca, di estratti dall’Istituto Luce, di brani teatrali che variano dall’epico all’erotico: da qui ecco emergere la figura di D’Annunzio maneggiata dai ventenni d’oggi. I quali ventenni, tutti rigorosamente in mascherina antiCovid e instagrammati, accostano il poeta ora a Sandro Pertini per «l’idea che aveva del paese unito»; ora ai Maneskin mentre esportano l’italianità nel mondo verso un pubblico che «ha bisogno di emozioni estetiche e sentimenti eccessivi», afferma sempre Guerri. E ora evoca, perfino, la Thumberg perché D’Annunzio «ha cercato di smuovere le masse come farebbe oggi Greta»; e qui ecco l’immagine del futuro Vate che esce ignudo dalle acque pescaresi. E, nel suo storico “contatto panico con la natura” si rivela lo slancio ecologista, per i tempi molto più incisivo di mille manifestazioni di Greenpeace. Il film si arrampica tra modernità antiche e presenti. E del Vate proietta colpi di genio che lo renderebbero, oggi, un attualissimo spin doctor e un mago della comunicazione, facendolo passare –direbbe Arbasino- direttamente dalla fase della “giovane promessa” a quella del “Venerato Maestro”, saltando quella del “solito stronzo”.
Chiedo a Guerri come si comporterebbe il nostro idolo, “insofferente a qualunque giogo”, di fronte alla cancel culture che sta avvolgendo nelle sue spire una generazione di giovani inermi. Risponde: «Questa cosa del politicamente corretto e della cancel culture la riterrebbe orrenda oltre che antiestetica. Se pensi all'idea di cancellare il Natale, ti torna in mente che D’Annunzio che non festeggiava né il Natale né altre feste, ma aveva nella Prioria al Vittoriale una collezione di oggetti - cristiani, induisti, buddistiche gli davano il senso del sacro. Se gli avessero detto di non festeggiare il Natale avrebbe agghindato con palle di vetro tutti i cipressi del Vittoriale. E, bada bene, sono 217». Bado bene. Il Vate è stato il progenitore di Bezos e Elon Musk.
Fu copywriter prima dei copywriters inventando slogan per la Rinascente, Saiwa, Unicum; definì, su richiesta del senatore Agnelli il sesso dell’“automobile” che è “femminile perché ha la grazia di una seduttrice. Ha inoltre una virtù ignota alle donne, una perfetta obbedienza». Fu precursore dei diritti civili a Fiume trasformata da «città olocausto a città di vita» dove l’omosessualità è pratica “quasi normale” e dove in una perenne stagione di festa si attende che il Comandante dia istruzioni su come conquistare l’Italia. Lì inventò la Lega dei popoli oppressi e anticipò il terzomondismo e il concetto di “paese non allineato. Fu sostenitore del diritto al salario minimo, del risarcimento in caso di errore giudiziario (cosa avrebbe fatto per i referendum sulla giustizia?), del diritto alla pensione di vecchiaia, della «proprietà privata ammessa a condizione che sia condizionata alle necessità del bene comune». Il documentario finisce col Vate che si allontana sul Garda in motoscafo, a ritmo di rock. Osservandone la velocità –tipica del web e del futurismo- ti accorgi che il tempo e la vita hanno sempre fame…