Funari, un docufilm per la leggenda del giornalaio d'Italia
Croupier, cabarettista, soprattutto rivoluzionario della tv: Gianfranco viene omaggiato con una pellicola e un Premio, vinto da David Parenzo, Gessica Massaro e Lercio
L’ultima immagine di Gianfranco Funari, il tribuno invincibile, risale al suo funerale il 12 luglio del 2008, nella Chiesa di San Marco a Milano: una bara immersa nei fiori, sul coperchio il suo cappello Stetson e il bastone, come il mantello e la spada di Zorro; un pubblico immenso fatta di gente comune; nemmeno un politico o uno straccio di vip sugli inginocchiatoi. Meglio. Gianfranco, compiaciuto, si sarebbe acceso una Marlboro in quei lunghi primi piani che sapeva reggere con astuzia, e avrebbe sorriso.
Ed è proprio dalla scena di un finto Gianfranco, sfocato in una cripta di fumo, assiso su un tavolo da gioco eppoi sdraiato sul divano dinnanzi al suo Telegatto citando l’articolo 21 della Costituzione sulla libertà d’espressione applicata alla tv, che si apre Funari Funari Funari. Ovverosia, il docufilm di Marco Falorni e Andrea Frassoni diretto da Dario Ghezzi che Sky Documentary ha prodotto e manderà in onda il 23 marzo. Il film è presentato in anteprima nazionale a Viareggio a chiusura della prima edizione del Premio Gianfranco Funari- il giornalaio dell’anno voluta dalla Fondazione Carnevale presiedutada maialina Marcucci; e il suddetto premio consegnato dalla figlia Carlotta a “colui o colei che, attraverso la parola, lo scritto e qualsiasi mezzo di diffusione, ha manifestato liberamente il suo pensiero e si è contraddistinto per il suo spirito indipendente e per la sua voglia di fare informazione aperta a tutti”. Nella fattispecie i vincitori sono David Parenzo per la radio e la tv (che di Funari, per stile ed efficacia, in effetti era stato discepolo sulle t locali), Gessica Costanzo per le sue inchieste sul giornale Valseriana News e le testimonianze raccolte nel suo libro legate ai lati nascosti della pandemia, e il Lercio, testata satirica che tratta la politica in modo squisitamente funariano. Fin qui la nuda cronaca. Poi la cronaca cede il posto alla nostalgia per il più grande Masaniello che abbia calcato la tv. Funari oggi avrebbe compiuto 90 anni e, conoscendolo, non gli sarebbe piaciuto. Per uno che, dai tempi dell’avventura da croupier nelle navi agli impegni da cabarettista, attore, cantante (“Io non canto, faccio finta” era il titolo di un suo album) fino alle continue dirette tv, aveva l’argento vivo addosso; be’, la vecchiaia rappresentava un Moloch feroce. Di Funari si è detto tutto.
Nel film gli amici o i leali avversari intervistati ne descrivono il carattere. Aldo Grasso dice: “Ha sdoganato la gente comune in tv, quando la porta si è aperta ci si sono infilati tutti”. Paolo Bonolis nota che “quando guardi Gianfranco Funari ti aspetti sempre l’inaspettabile”. Piero Chiambretti, unico presente al suo funerale, afferma: “La televisione ricercava i pazzi come lui, per fermali e arrestarli”. Massimo Bernardini analizza: “Credeva di avere dietro tutto il popolo, ed è un errore madornale, ma a differenza dei funaridi, dei suoi emuli, lui ci ha sempre messo la faccia”. Vittorio Sgarbi ricorda: Funari è l’unico con cui non è mai riuscito a litigare e che “ha anticipato i reality; c’era una telecamera, ma era come se non ci fosse”. Dopodichè, ecco i ricordi, a zaffate, delle due mogli Rossana Seghezzi e Morena Zapparoli; la vita sulle navi; i primi passi da cabarettista nei programmi di Raffaele Pisu; il suo cult Abboccaperta inizialmente bocciato dalla Rai col dirigentone Bruno Voglino che tentennava: “Lei si sbaglia, la gente in tv non parlerà mai”, ma Gianfranco la fece parlare mettendole le telecamere non davanti ma dietro, e fu un cataclisma di ascolti e di stipendio (600 milioni di lire). Eppoi, ancora, il passaggio ai mezzogiorni Fininvest; l’apprezzamento del Berlusca per quel registro da giornalaio affabulatore che aveva cambiato il lessico della tv; e l’introduzione dei politici in tv intervistati dal popolo (memorabile l’interrogatorio all’allora ministro della Sanità de Lorenzo).
La vita di Funari, si alterna con spezzoni di documentari, titoli di giornale, testimonianze, che raccontano gli zenith e i nadir di Gianfranco e dell’Italia: dal terrorismo alle elezioni, da Tangentopoli all’avvento della Lega. Funari aveva il cuore della gggente come bussola. Gli è sempre andata bene, salvo gli ultimi anni, nei programmi della barba bianca -tipo la Commedia Divina poi diventato Vietato Funari- dove s’immaginava morto come in un romanzo di Mark Twain. Manca, nel film, parte della cronaca degli ultimi anni: l’esperienza come direttore dell’Indipendente dove faceva le riunioni di redazione in accappatoio; le impennate d’orgoglio sulle tv locali; la sua trasformazione (che non gli garbava) in ospite portascolti; e il progetto di un paio di biografie -una dovevo scriverla io- dove non avrebbe risparmiato nessuno.
Invece il fumo, il tempo e gli sforzi fisici non hanno risparmiato lui. Quando se ne andò scrissi che per lui era valida, sulla lapide, l’epigrafe di Califano, “Non escluderei il ritorno”. In qualche modo l’ha rispettata…