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Se Giorgetti diventa oggetto da talk show (suo malgrado)

Le liti con Salvini, l'alleanza con Draghi, Bud Spencer contro Meryl Streep: vita e avventure del ministro dello Sviluppo che, dopo aver fatto di tutto per evitare la tv, diventa una preda da talk show

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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 Giancarlo Giorgetti Foto:  Giancarlo Giorgetti
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Giancalo Giorgetti non è mai stato in televisione come in questo periodo, specie nei tg nel ruolo di  "tempo di notizia", ovvero come citatissimo oggetto di servizi e approfondimenti. La convocazione del Consiglio federale della Lega con Matteo Salvini è stato addirittura l'evento che ha attraversato i talk specie di La7, Rai e Mediaset, neanche fosse la conferenza di Yalta. Poi, allo fine, non è successo niente, Salvini rimane al suo posto; idem Giorgetti che gli aveva consigliato, metaforicamente di lasciare i film western per i film drammatici. 

Epperò, Giancarlo Giorgetti, da  Cazzago Brebbia, nel buio delle sua stanzetta, preferisce le scazzottate di Bud Spencer all’impegno da Oscar di Maryl Streep. Ma non lo può dire. Questa metafora del cinema è appassionante.

Perché il suo ruolo istituzionale da potente ministro dello Sviluppo Economico, di strategico numero due della Lega e di draghiano di ferro,  impone a Giorgetti di consigliare a Salvini il contrario. Caro Matteo, per vincere l’Oscar –e quindi il governo della Nazione- magari come non protagonista in un esecutivo di eletti, devi un po’ essere come la Streep: e niente seccanti alleanze con Orban, i polacchi e i sovranisti; e basta insistere sui No Vax chè ti fotti l’elettorato delle imprese, dei moderati e delle imprese moderate; e non dare l’impressione di camminare in equilibrio sul filo di un paraculissimo “impegno di lotta e di governo”, che è una tattica a lungo andare perdente e, tra l’altro, ai grillini riesce molto meglio. Questi sono i consigli che il mite ma estenuato Giorgetti porge al suo segretario inferocito per essere stato instradato, a sua insaputa, dallo stesso Giorgetti, sulla via di un moderatismo che doveva farlo entrare dalla porta della Cdu e uscire dalla finestra del Ppe. Il piano di una Lega in grisaglia alla conquista d’Italia –e quindi in Europa (oggi con le alleanze promiscue con l’estrema destra i leghisti non toccano palla a Bruxelles) purtroppo per Giorgetti pare rimandato a data da destinarsi. Forse. O forse no. Con Giancarlo, il vero Talleyrand della Lega, non sai mai.

Ma quel che la gente ignora è la straordinaria capacità del ministro di pietrificarsi tipo Il pensatore di Rodin, e aspettare che passi la tempesta e forse anche il prossimo segretario. Giorgetti, classe ‘66, è da sempre la mente più aguzza della Lega, prima ancora che nascesse la Lega e lui militava nel Fronte della Gioventù. Dagli esordi del Carroccio Giorgetti era, tra i barbari padani, quello che aveva studiato. Era il bocconiamo sottile numero due prima di Bossi, poi di Maroni e infine di Salvini. Era il depositario dei segreti, delle strategie e delle ragnatele di rapporti che hanno consentito al Carroccio di radicarsi, nei secoli, nella politica nazionale. Era – e rimane- il ponte dell’arcobaleno tra i vari mondi, dalla Chiesa a Israele, dal Ppe a Confindustria. Giorgetti è quel che è Letta per Berlusconi, Martelli per Craxi, il dottor Watson per Sherlock Holmes. Il grande pubblico oggi lo riconosce dalle poche comparsate in tv; ma in realtà l’uomo ha avuto più ruoli di Andreotti: amministratore di Credieuronord, autore della legge sulla procreazione assistita, due volte sottosegretario, redattore della legge del pareggio di bilancio sotto Monti, dialogatore per l’alleanza economica con la Germania. E così via. Nelle foto-ricordo di Pontida, Giorgetti è sempre l’ultimo, in seconda fila, possibilmente in fondo a destra. Di lui, nel privato, se è possibile, si sa meno che nel pubblico. Si sa che ha una moglie, e che la moglie possiede un maneggio. Punto. Discrezione quasi claustrale.

Eppure, oggi lo danno addirittura possibile premier con Draghi al Colle, o fondatore di una Lega moderata, o acerrimo nemico dell’oltranzismo salviniano. La vera verità è che la Lega è Salvini. E se Salvini dice di volersi alleare con le piante, avremmo tutti gli iscritti avviluppati a mazzi di violette e rododendri. Giorgetti compreso, ma con enormi margini di critica e di manovra. Indipendentemente dalla piega che prenderà la Lega, Giorgetti sarà sempre lì, a consigliare la via che pare più s’attagli alla missione finale del partito (ancora mai raggiunta): “La prossima volta pensiamo a comandare, invece che a governare…”. Al prossimo scazzo, alla prossima telecamera...

 

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