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La lettera inedita di Luzi a De Andrè: "Peccato averti scoperto ora, collega poeta"

In un carteggio pubblicato nel libro Accordi eretici, il grande lirico e intellettuale esalta la poesia di Faber. Che gli risponde: "Tu sei il nostro modello..."

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Fabrizio De Andrè Foto: Fabrizio De Andrè
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Per esser stato uno dei maggiori esponenti della poesia ermetica, Mario Luzi fu, con Fabrizio De Andrè, di un nitore e di una chiarezza invincibili.

“Caro De Andrè sono invecchiato nella quasi totale ignoranza del suo talento e me ne scuso… Lei è davvero uno chansonnier, vale a dire un artista della chanson. La sua poesia, poiché la sua poesia c’è, si manifesta nei modi del canto e non in altro; la sua musica, poiché la sua musica c’è, si accende e si espande nei ritmi della sua canzone e non altrimenti”, scrisse Luzi.

Ed è in questa frase, nel riconoscimento di un talento poetico straordinario (e alla sua altezza) che il drammaturgo, critico letterario e cinematografico e soprattutto poeta fiorentino, mito del 900, esprime l’inaspettata stima verso il canzonettaro genovese Fabrizio De Andrè. Il quale De Andrè risponde con imbarazzata deferenza: “Caro Luzi, la seguo da innumerevoli anni perché è proprio da uomini illuminati come lei che io, e penso molti altri miei colleghi, traiamo insegnamento e suggerimento continui per migliorare, almeno nella forma, i versi delle nostre canzoni”. Il carteggio inedito tra i due è contenuto oggi in Accordi eretici, un saggio (La Nave di Teseo, pp 260 euro 17 presentato a Raitre, a Che tempo che fa) a cura di Bruno Bigoni e Romano Giuffrida che è anche sia un viaggio nell’universo artistico e nell’officina creativa di Faber; sia il tentativo di raccontare i cambiamenti della società italiana, con chiari riferimenti all’opera di Dante, e di E.L. Masters, e a tutto il folklore di cui il repertorio di De Andrè era ricco. Lo scambio di encomi -in cui ognuno recita non senza falsa modestia il ruolo dell’allievo e del maestro- risale al 1997. Luzi era nella piena maturità, aveva già scritto il capolavoro Nel magma nel quale la realtà cittadina e del boom economico trovavano definitivamente cittadinanza poetica; e aveva già vinto il premio Viareggio, assediato da fan nazionali e internazionali. E, in quell’anno, pur essendo per l’ennesima volta in odore di Nobel, se era visto soffiare il premio sotto il naso proprio da un altro portentoso giullare, Dario Fo (non a caso tutto ciò che evocasse lo spettacolo, lo irritava). E, come detto, Luzi non conosceva De Andrè.

Sicché, nei passaggi epistolari, il poeta confessa di essersi buttato alla “ricerca di cassette e registrazioni” per comprenderne la storia.  E da lì, sempre diretto a Faber: “Questa è, appunto, l'altra sua virtù che mi sorprende: l’uso libero, saputo e ingenuo - sulla scorta di antiche filastrocche e ballate - delle battute verbali, delle frasi, dei luoghi linguistici. L'antologia di Spoon River e Cecco Angiolieri sono indicative. Il suo canto è integrale: una compatta espressione nel cui amalgama c'è tutto il suo primo e anche secondo. Insomma, nelle sue canzoni, l'unità tra il testo e la musica che per lo più è innegabile precede o segue il lavoro?”. E aggiunge: “ha prevalso il poeta o il musicista? Bene, proprio il suo a me pare un caso in cui la distinzione non è da proporre, è perfino improbabile per quanto non sia illegittimo”. De Andrè, onorato, afferma di aver voluto costruire “un ponte che riesca a traghettare l'attenzione dei nostri simili dalla lingua comunemente parlata a quella scritta dai grandi poeti e narratori. E una strada difficile…perché l'udito è forse il più ricattabile dei sensi: se così non fosse penso che Ulisse che aveva visto, assaggiato, annusato e in fin dei conti sensorialmente sperimentato tutto, non sarebbe ricorso allo stratagemma della cera a riparo della magia del canto delle sirene”. Da lì la conferma del multiforme ingegno dei poeti…

 

 

 

 

 

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