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La Storia siamo noi: i diritti a Minoli, il tesoro in fuga

In Rai lo sguardo è a Sanremo, ma viale Mazzini lascia al giornalista l'archivio possente di 1000 ore che rischia di finire alla concorrenza

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Minoli a La Storia siamo noi Foto: Minoli a La Storia siamo noi
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Saranno il Covid, il Recovery, Sanremo, le circostanze avverse e gli interessi obliqui: ma la Rai sta rinunciando a uno dei suoi asset più pregiati, alla sua stessa memoria, e nessuna l’ha avvertita.

Accade, infatti, che uno degli archivi più possenti del servizio pubblico, quello de La Storia siamo noi, rischi di finire nelle mani di un privato -Giovanni Minoli che pure ne è stato dal 2002 il deus ex machina- che potrebbe, teoricamente rivenderlo ai concorrenti La7, Mediaset, Discovery. Più ad alcuni grandi broadcaster americani i quali hanno già inviato i loro avvocati per sondare il terreno. La vicenda risale al contratto con cui la Rai, il 31/5/2010, al pensionando e dirigente Minoli assegnava la direzione delle iniziative per il 150° dell’Unità d’Italia. Minoli ottenne meno di quel che la Rai offriva (ma erano pure sempre 800mila euro); epperò, come clausola, en passant, pose alla Rai la condizione che, qualora la Rai stessa non avesse rinegoziato, i diritti della Storia siamo noi , questi sarebbero passati al giornalista. “Trascorsi i primi 10 anni le parte e/o i loro aventi causa valuteranno eventuali proroghe/estensioni dei suddetti diritti”, recita il comma suddetto. Così, per magia, senza alcuna opzione o diritto di prima scelta da parte di viale Mazzini, la proprietà di una nazione sarebbe passata ad un sol uomo. In Rai, si sa, il concetto del tempo è relativo e legato alle stratificazioni dei governi; sicché, evidentemente all’allora direttore generale Masi non parve vero di liberarsi di Minoli ad una cifra con cui evitò di coinvolgere il cda, e lascio il caso ai suoi successori. Con l’alternarsi dei governi e delle governance, nessuno tra presidenti, direttori generali o amministratori delegati Rai si è più ricordato di quella postilla contrattuale. Finché, il 31 maggio 2020 l’ex direttore di Rai Storia, pare sia diventato proprietario dei programmi. Da qui inizia una negoziazione di Minoli con l’attuale ad Salini, bloccata formalmente a una lettera del 7/8/2020: “…Ciò dovuto, nell’ottica della valorizzazione del proprio archivio, la Rai ribadisce la volontà di addivenire a un accordo per rinnovare i diritti facenti capo al suo assistito secondo condizioni economiche reciprocamente soddisfacenti”, firmato avvocato Francesco Spadafora ufficio legale Rai.

Ora, La Storia siamo noi ideata da Renato Parascandolo nel 1997, sotto la gestione Minoli s’è guadagnata 4 Oscar delle Televisione e soprattutto, nel 2012, l’assegnazione dell’Emmy Award americano come “miglior programma di divulgazione storica nel mondo”. In più, vanta un deposito documentaristico immenso, quasi 1000 ore di trasmissione. Assieme al patrimonio immobiliare e all’archivio delle Teche che spaziano da intrattenimento e informazione, rappresenta uno dei pilastri anche economici della tv di Stato. Considerato che il footage -l’uso dei filmati da mandare in onda- vale per la stessa Rai 1 euro al minuto, 60 mila euro l’ora; e che qui ci sono programmi “ad utilità ripetuta” che sono andati negli ultimi 4 anni su Radio 24, poi 2 a La7 e l’ultimo a Radio1, e che più passa il tempo più acquistano valore; be’, il peso della vicenda può andare ad incidere non solo sulla cassa -60 milioni di euro, ad occhio, ma sulla mission del servizio pubblico. Si parla di programmi destinati alla posterità. La Storia siamo noi sta alla Rai un po’ come l’Istituto Luce allo Stato italiano.

Viale Mazzini è in imbarazzo, ma reagisce. E, dietro nostra interpellanza, pronta arriva la risposta dal settimo piano Rai: “La titolarità dei diritti di utilizzazione economica delle opere nel loro complesso spetta a Rai, unica che può autorizzarne la diffusione, e non a Minoli, il quale può vantare diritti sui soli testi a suo tempo ideati. Ed è sulla base di tali diritti che. Minoli sta (legittimamente) esercitando un potere interdittivo, che impedisce al grande pubblico la visione di opere di Rai, che sono state prodotte con il denaro dei contribuenti”. La vena polemica da parte dei dirigenti del servizio pubblico ci sta: in effetti la clausola di proprietà è un obbrobrio etico e giuridico (ma l’ha controfirmata la Rai, i cui avvocati sono pagati dai contribuenti…). Continua la Rai: “Al momento è in corso una negoziazione volta all’acquisizione da parte di Rai dei diritti di titolarità di Minoli allo scopo di realizzare un nuovo progetto editoriale di durata biennale con il coinvolgimento dello stesso Minoli”. E aggiunge di non volere, al momento, tutto l’archivio in blocco, ma programmi alla bisogna.

Minoli sostiene (vedi art.8 del contratto sulla direzione delle iniziative per il 150° dell’Unità d’Italia: “trascorsi i primi 10 anni le parte e/o i loro aventi causa valuteranno eventuali proroghe/estensioni dei suddetti diritti”) di essere titolare non solo di tutti i diritti ma su tutte le piattaforme e di non essere stato toccato da nessuna trattativa. E ufficialmente non entra in polemica. Ma, con gli amici si lascia scappare che “è come se al Louvre chiudessi la sala Cezanne perché ci sono meno visitatori”. Certo vedere La Storia siamo noi, per dire, alla Bbc, farebbe uno strano effetto…

 

 

 

 

 

 

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