C'è vita su Marte: è Luigi Bignami
La diretta della sonda sul pianeta rosso ha fatto il boom di ascolti su Focus. Merito anche di un bravo giornalista scientifico molto understatement
Come nelle Cronache della normalità aliena dei racconti di Ray Bradbury, i veri marziani ce li avevamo in casa e non lo sapevamo.
I marziani, l’altra sera, erano quella truppa di scienziati esaltati nello Speciale In diretta da Marte - Missione Perseverance - Alla ricerca della Vita sul canale Focus Mediaset; e che hanno fatto un botto d’ascolti (1.102.000 spettatori 4,88% con picchi del 6% di share in una tv tematica che arriva all’1%) attravreso dirette ansiogene e commoventi tra la Nasa, Cologno Monzese e il Pianeta Rosso. All’inizio, i cervelloni erano piantati in uno studio tv spartano molto tv locale anni 80; se ne stavano su tre sediole rosse come il Pianeta su cui discettavano di batteri intelligenti, di fusi orari, di “perforatrici in grado di penetrare fino a 6 cm di profondità”. Erano assistiti da un frammento di meteorite (sempre marziana) risalente probabilmente al mesozoico. Se ne stavano lì, a parlare con passione dell’“ammartaggio” del Rover americano. Ed erano Roberto Orosei dell'INAF l’uomo che ha scoperto i laghi sotterranei del pianeta e Cesare Guaita, esperto esobiologo e, tra loro, a dirigere il traffico dei collegamenti svettava Luigi Bignami. Piccolo inciso. Bignami, è un signore ultrasessantenne che, a vederlo così - calvo, outfit disadorno, giacca grigia senza cravatta- ti sembra lo sportellista di una banca di provincia. Invece è un dottissimo scienziato della Terra, un formidabile divulgatore scientifico (se la batte tranquillamente con Angela e Giacobbo) con la cura del dettaglio, ottimi tempi tv, un’esperienza televisiva in 5 continenti e la pratica di uno che ha lavorato in Africa con l’Eni e la Farnesina. Bignami, appunto, con la sua aggraziata conduzione, è stato il fulcro di questo piccolo evento tv: 120 minuti di diretta per la più la più ambiziosa delle esplorazioni spaziali. E lì, mentre sentivo quasi, in sottofondo, la colonna sonora di Life on Mart di David Bowie, osservavo, nell’ordine: la reazione di gioia delle decine di tecnici Nasa (molti italiani) all’impresa del Mars Helicopter Ingenuity “un vero e proprio drone elicottero attraverso la tenue atmosfera marziana”; l'Ad Vincenzo Giorgio di ALTEC che spiegava le difficoltà di guidare un robot tra le dune fiammeggianti del pianeta; i 7 mitici minuti dell’“entry, Descent, Landing, la fase più breve e intensa della missione” , uno zenith emotivo che zigzagava tra le sonde e i robottini Perseverance e Ingenuity. Poi, a scuotermi, c’è stato anche il collegamento con Monica Lazzarin, monumento al merito accademico, l’astronoma padovana che era stata riammessa al concorso di prof associato, dopo che l’Università le aveva misteriosamente cancellato una parte del curriculum (era una delle mamme delle mitica “sonda Rosetta”). E poi, ecco anche l’intervento della fisica Agnese Mandrino, a mostrare i manoscritti dell’astronomo Giovanni Virginio Schiaparelli, conservati a Brera (Schiaparelli riprodusse i canali che aveva sulla superficie di Marte, la cui scoperta - a fine Ottocento - ebbe eco mondiale: dalla sua pubblicazione nacque la fantascienza moderna).
Infine, avevo mio figlio di 9 anni, accanto a me che ammirava, ipnotizzato. Quando ho appena accennato di voler girare su Netflix mi ha fatto: “Papà, non fare l’ignorante. Guarda quando il veicolo spaziale entra nell'atmosfera: la resistenza prodotta lo rallenta drasticamente, ma l’attrito lo riscalda drammaticamente. Il picco si verifica circa 80 secondi dopo l'ingresso nell'atmosfera, lo scudo termico raggiunge circa 1.300 gradi Celsius”. E lì ci sono finito dentro con tutte le scarpe…