La condanna di Pelazza: se sono le Iene a commettere reato
L'ex carabiniere condannato per violenza privata mette in discussione la degenerazione del "metodo Iene": dai grandi scoop al ditino alzato
Luigi Pelazza, lo sbirro coi baffoni, è stato per anni -come alcuni suoi colleghi de Le Iene- uno dei più arditi ed efficaci inchiestisti italiani (nel 2002 si specializzò nella ricerca dei truffatori italiani scappati con la cassa all’estero). Sicché oggi spiazza assai che lo stesso Pelazza, ex carabiniere, venga condannato a 2 mesi di carcere dal Tribunale di Milano, laddove il pm Francesco Cajani, di mesi di reclusione, ne aveva chiesti addirittura 9. La condanna è stata convertita, su richiesta della Iena, in una pena pecuniaria di 15mila euro e sospesa.
Ma l’accusa, parliamoci chiaro, è seria: violenza privata nei confronti della collega Guia Soncini. Gli atti sono spietati. Riportano che Pelazza e il suo cameraman, Osvaldo Verdi, il 19 settembre 2015 “dopo essersi introdotti indebitamente”, fingendosi dei corrieri, nello stabile della donna, “con violenza esercitata in modo idoneo a privare coattivamente della libertà di determinazione e di azione della parte offesa, le impedivano di accedere alla palazzina e con analoga violenza le impedivano di fare rientro nella propria abitazione, costringendola a tollerare la loro presenza con una serie insistente di domande alle quali la parte offesa dichiarava da subito di non voler rispondere”. La Iena avrebbe intimorito Soncini per strapparle un’intervista in relazione ad un’inchiesta da cui lei sarebbe risultata assolta. All’Agi l’avvocato di Soncini, Davide Steccanella parla di “una sentenza importante” perché stabilisce “che non sempre il ‘metodo Iene’ è scusato dal pure legittimo diritto di cronaca. In questo caso si era trattato di un vero e proprio agguato nel cortile interno di un palazzo privato, impedendo alla mia cliente di fare rientro in casa propria fino all’arrivo delle forze dell’ordine per confezionare un servizio a effetto”. Ora, Pelazza si è giustificato affermando, di fatto, che le donne non si toccano neanche con un fiore. Però è stato condannato anche a una provvisionale di 2mila euro alla parte civile alla quale dovrà poi liquidare una somma che sarà stabilita dal giudice civile “per i danni materiali e non”. E la nuda cronaca finisce qui.
Quel che interessa davvero, però, è il risvolto penale ed etico del “metodo” degli inviati di Italiauno. Una modalità che, dal ’97 ad oggi, s’è trasformata da forma di giornalismo guascone (con più di un merito, a dire il vero), via via, nel rituale dell’intervista coatta e della telecamera alla selvaggia ricerca d’audience. A parte Pelazza su cui comunque, già, nel 2010 era aleggiato il sospetto di aver taroccato un servizio sulla criminalità in Perù per il quale le autorità sudamericane aprirono un’inchiesta, qui si parla delle Iene in blocco. A differenza degli inviati di Striscia la notizia protetti ancora -nel bene o nel male- dallo scudo dell’ironia invincibile di Antonio Ricci, gli omologhi in abito scuro tendono sempre più prendersi sul serio, a mescolare i fatti con le loro tesi, a anticipare giudizi “morali” sfarinati sotto il peso di sentenze successive. Ma i cadaveri mediatici che lasciano sulla loro scia non sono comunque un bello spettacolo. E il brutto è che, dietro i cadaveri si stagliano fake news. Il sostegno a Stamina, la terapia-truffa di Vannoni che mise alla gogna il serio scienziato Paolo Bianco; l’attacco a Burioni sospettato di parlare di Covid per interessi economici occulti; il trappolone all’elicotterista di Panarea Lorenzo Vielmo sputtanato perché le sue pale avrebbero impedito la riproduzione del rarissimo “Falco Eleonora”; l’onda lunga del caso Weinstein sotto cui si tentò di affogare il regista Fausto Brizzi accusato di molestie sessuali e poi scagionato; le minacce nucleari nei laboratori del Gran Sasso; il fenomeno dell’istigazione al suicidio giovanile del Blue Whale. Sono solo alcuni dei più noti “scoop” delle Iene trafitti successivamente da i giudizi di tribunale e dalla realtà. I servizi col ditino alzato e il microfono alla gola sono diventati un metodo, oggi punito dalla legge. Peccato, perché i ragazzi di Davide Parenti, senza l’ansia da share, sono stati un esempio per la categoria…
Luigi Pelazza, lo sbirro coi baffoni, è stato per anni -come alcuni suoi colleghi de Le Iene- uno dei più arditi ed efficaci inchiestisti italiani (nel 2002 si specializzò nella ricerca dei truffatori italiani scappati con la cassa all’estero). Sicché oggi spiazza assai che lo stesso Pelazza, ex carabiniere, venga condannato a 2 mesi di carcere dal Tribunale di Milano, laddove il pm Francesco Cajani, di mesi di reclusione, ne aveva chiesti addirittura 9. La condanna è stata convertita, su richiesta della Iena, in una pena pecuniaria di 15mila euro e sospesa.
Ma l’accusa, parliamoci chiaro, è seria: violenza privata nei confronti della collega Guia Soncini. Gli atti sono spietati. Riportano che Pelazza e il suo cameraman, Osvaldo Verdi, il 19 settembre 2015 “dopo essersi introdotti indebitamente”, fingendosi dei corrieri, nello stabile della donna, “con violenza esercitata in modo idoneo a privare coattivamente della libertà di determinazione e di azione della parte offesa, le impedivano di accedere alla palazzina e con analoga violenza le impedivano di fare rientro nella propria abitazione, costringendola a tollerare la loro presenza con una serie insistente di domande alle quali la parte offesa dichiarava da subito di non voler rispondere”. La Iena avrebbe intimorito Soncini per strapparle un’intervista in relazione ad un’inchiesta da cui lei sarebbe risultata assolta. All’Agi l’avvocato di Soncini, Davide Steccanella parla di “una sentenza importante” perché stabilisce “che non sempre il ‘metodo Iene’ è scusato dal pure legittimo diritto di cronaca. In questo caso si era trattato di un vero e proprio agguato nel cortile interno di un palazzo privato, impedendo alla mia cliente di fare rientro in casa propria fino all’arrivo delle forze dell’ordine per confezionare un servizio a effetto”. Ora, Pelazza si è giustificato affermando, di fatto, che le donne non si toccano neanche con un fiore. Però è stato condannato anche a una provvisionale di 2mila euro alla parte civile alla quale dovrà poi liquidare una somma che sarà stabilita dal giudice civile “per i danni materiali e non”. E la nuda cronaca finisce qui.
Quel che interessa davvero, però, è il risvolto penale ed etico del “metodo” degli inviati di Italiauno. Una modalità che, dal ’97 ad oggi, s’è trasformata da forma di giornalismo guascone (con più di un merito, a dire il vero), via via, nel rituale dell’intervista coatta e della telecamera alla selvaggia ricerca d’audience. A parte Pelazza su cui comunque, già, nel 2010 era aleggiato il sospetto di aver taroccato un servizio sulla criminalità in Perù per il quale le autorità sudamericane aprirono un’inchiesta, qui si parla delle Iene in blocco. A differenza degli inviati di Striscia la notizia protetti ancora -nel bene o nel male- dallo scudo dell’ironia invincibile di Antonio Ricci, gli omologhi in abito scuro tendono sempre più prendersi sul serio, a mescolare i fatti con le loro tesi, a anticipare giudizi “morali” sfarinati sotto il peso di sentenze successive. Ma i cadaveri mediatici che lasciano sulla loro scia non sono comunque un bello spettacolo. E il brutto è che, dietro i cadaveri si stagliano fake news. Il sostegno a Stamina, la terapia-truffa di Vannoni che mise alla gogna il serio scienziato Paolo Bianco; l’attacco a Burioni sospettato di parlare di Covid per interessi economici occulti; il trappolone all’elicotterista di Panarea Lorenzo Vielmo sputtanato perché le sue pale avrebbero impedito la riproduzione del rarissimo “Falco Eleonora”; l’onda lunga del caso Weinstein sotto cui si tentò di affogare il regista Fausto Brizzi accusato di molestie sessuali e poi scagionato; le minacce nucleari nei laboratori del Gran Sasso; il fenomeno dell’istigazione al suicidio giovanile del Blue Whale. Sono solo alcuni dei più noti “scoop” delle Iene trafitti successivamente da i giudizi di tribunale e dalla realtà. I servizi col ditino alzato e il microfono alla gola sono diventati un metodo, oggi punito dalla legge. Peccato, perché i ragazzi di Davide Parenti, senza l’ansia da share, sono stati un esempio per la categoria…