Quegli inediti che Sciascia scrisse per il cinema
Non solo cinema, ma anche politica, letteratura, satira e possenti inchieste: perché il genio deve essere scoperto
Immaginate, nell’Italia dei primi anni 60, una livida aula giudiziaria, dove si accenda la furia di una vedova dell’onorata società.
Serafina Battaglia, tutta di nerovestita, con lo sguardo puntato verso un orizzonte immaginario, scandisce le parole di una “vindice inflessibilità”; e punta il dito come la canna d’un fucile, e accusa, di fronte a lei, il capomafia che le ha ammazzato marito e figlio: “Loro sono venuti meno alla legge dell'onore. E perciò anch'io mi sento sciolta”. Ed ecco che Serafina squarcia il velo dell’omertà. Ecco che si scandisce il regolamento di conti mafioso, in un monologo da tragedia greca, quasi con l’indicazione di un’inquadratura in campo lungo.
Una tragedia che è cronaca vera, d’accordo. Ma pure un soggetto cinematografico, uno dei tre formidabili testi che Leonardo Sciascia, realizzando un’antica vocazione - diventare regista o sceneggiatore -, scrisse per il grande schermo, e che sono sinora rimasti inediti. Quei testi adesso escono raccolti in Questo non è un racconto -Scritti per il cinema e sul cinema in libreria e sulla pagina Facebook di Adelphi (pp 224, euro 13), e sul canale Youtube delle Fondazione Sciascia; e rappresentano il modo migliore per festeggiare i 100 anni dalla nascita dello scrittore, saggista, drammaturgo, il maggior spirito libero e libertario del Novecento. La passione di Sciascia per il cinema era nata alla fine degli anni Venti nel «piccolo, delizioso teatro» di Racalmuto trasformato in cinematografo, e in seguito venne alimentata, tra il 1958 e il 1989 da acute riflessioni “affidate ai rari scritti pure qui radunati: sull’erotismo nel cinema, sulla nascita dello star system, sul periglioso rapporto tra opere letterarie e riduzioni cinematografiche”, racconta la sinossi dei testi venuti alla luce. Che sono sì storie, “nonché splendidi ritratti: come quelli di Ivan Mosjoukine, dal volto ‘affilato, spiritato, di nevrotica malinconia’, di Erich von Stroheim, ‘l'ufficiale austriaco che ha dietro di sé il crollo di un impero’, o ancora di Gary Cooper, ‘eroe della grande e libera America’ - vertiginosamente somigliante al sergente americano che nell'estate 1943 avanzava al centro della strada ‘fulminata di sole’ di un paese della Sicilia”. La giornata sciasciana che prosegue attraverso mille celebrazioni per la penisola, si chiude con un documentario di Sky Arte, il film Leonardo Sciascia. Scrittore alieno, scritto da Marco Ciriello e diretto da Simona Siri, voce narrante di Gioele Dix. Suddiviso in quattro capitoli, i cui titoli – Sicilia, Politica, Religione, Giallo – riassumono il mondo dello scrittore, l’opera ne ricostruisce la biografia, l’impegno letterario e quello politico. Una cosa bella densa, insomma.
Ora, a parlare del maestro (in tutti i sensi, era diplomato alle magistrali, e se ne vantava) di Racalmuto, della sua vita imprevedibile che sapeva della zolfara in cui aveva lavorato il nonno, be’, si rischia di affondare nel banale. Sciascia è il nostro Borges, un cervello da intellettuale incastonato nell’anima d’un artista. Di Sciascia, potremmo discettare, per ore, delle sue lucide analisi influenzate dal relativismo conoscitivo di Pirandello; del suo estro nello scuotere la realtà fatta di ipocrisie “anche a costo di fraintenderla” e della sua eterna lezione di una nazione riflessa nello sguardo offuscato della sua Sicilia (“Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l'Italia, ed è già, oltre Roma” scriveva nel 60 nel Giorno delle civetta). Sciascia è, da sempre, un fiume dai mille rivoli, una batteria di tuoni sotto la pioggia della Repubblica. Di lui, si può affermare e ribadire tutto: le poesie e i saggi notati e recensiti da Pasolini; i racconti scritti a Roma e i romanzi a Caltanissetta; l’inchiesta sul Caso Moro e la sua entrata in Parlamento, prima col Pci e dopo, deluso, con la pattuglia irregolare dei Radicali di Pannella; le dure prese di posizione sui “professionisti dell’antimafia” ma anche sulle torture ai brigatisti dopo il sequestro del generale Dozier. Peraltro, riguardo alle sue sofferte scelte politiche -che non giustificano affatto la cooptazione culturale che ne ha fatto la sinistra, perlomeno non del tutto- ha scritto definitivamente Pietrangelo Buttafuoco, in un “ritratto di Sciascia inedito ed inimmaginabile”: “Litiga con Renato Guttuso, titolare del mistero comunista; in tema di terrorismo polemizza con Italo Calvino che è potente idolo della Cultura col C maiuscolo; si butta alle spalle l’esperienza di consigliere comunale del Pci a Palermo, quella di parlamentare radicale al fianco di Marco Pannella e dopo aver votato la lista del Garofano, scrive – ma senza iscriversi al partito – a Bettino Craxi. Col leader del Psi, inviso a tutte le anime belle, Sciascia consuma il trauma definitivo presso il ceto dei colti e sulla questione dolente della giustizia”.
Di Sciascia si possono evocare le critiche d’arte, l’ attività giornalistica specie a L’Ora di Palermo. E la sua satira: l’opera teatrale in quattro parti pubblicata sul Correre della sera e da Einaudi nel 69, Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A.D. era ambientata nelle chiesa di Lipari nel 700 ma in realtà denunciava i rapporti tra Stato-guida dell'ex Urss e gli Stati satelliti. Sciascia venne premiato a Forte dei Marmi , “la satira è il luogo di confine tra la letteratura, il potere e la gente”.
Ma tutto in lui era scandito dal ritmo di una sceneggiatura, drammatizzato, inquadrato da un’immaginaria cinepresa. E riscoprire la sua estrema, inedita, vocazione oggi è l’omaggio supremo...