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Uomini contro caporali, la Storia secondo Totò

Il libro dello storico Gentile sull'Italia del principe della risata

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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 Totò e Peppino nella scena della "Lettera" Foto:  Totò e Peppino nella scena della "Lettera"
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L’umanità- diceva il principe Antonio de Curtis in arte Totò-  si divide fondamentalmente in due categorie, gli uomini e i caporali.

Gli uomini sono quelli che hanno schiena dritta a tratti, un’innocenza perduta nello sguardo, l’affanno quotidiano di chi deve portare la pagnotta a casa. I caporali, invece, sono “coloro che, muniti di un’autorità immeritata e forti di una disciplina che impone ai sottoposti l’obbedienza senza discussione esercitano i loro meschini poterei con un atteggiamento da piccoli Ezzelini da Romano”. Secondo un personale sistema metrico decimale, al Principe la distinzione serviva “per misurare la statura morale degli uomini” perché “a qualunque ceto essi appartengano, di qualunque nazione essi siano, ci faccia caso: hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi, pensano tutti alla stessa maniera”. E se, nel film omonimo di Camillo Mastrocinque (anno 1955, sceneggiato dallo stesso Totò) i caporali avevano tutti il volto aggrottato di Paolo Stoppa, nel pregevole libello di Emilio Gentile, Caporali tanti, uomini pochissimi. La storia secondo Totò (Laterza, pagg. 192, euro 14), diventano il filtro antropologico per leggere la storia che passa dalla farsa/tragedia marxista a satira totoista. Emilio Gentile, molisano, docente alla Sapienza è uno storico di fama internazionale. L’idea di un libro di tal guisa nasce dalla sua anziana madre che storpiò, leggendo sul tavolo un suo saggio, La via italiana al totalitarismo: “ La via italiana al totòlarismo? Hai scritto un libro su Totò?”; “No, mamma, è sullo stato e il regime fascista”. E lei:  “Un altro libro sul fascismo! Figlio mio perché non fai una cosa diversa e scrivi un libro su Totò?”. Assentendo pure il padre, Gentile, da appassionato del Principe, si trovò subito materiale fresco tra le mani.

 

Il professore, allora, considerò che Totò, da sempre, spernacchiava il flusso delle Storia attraverso la parodia di avvenimenti e personaggi; e spiegando che “la pernacchia ha tanti scopi: deride, protesta, esplode con un grido di dolore, è sommessa come un respiro, rassegnata come un lamento”. Era passato, Totò, col cinema, il teatro e la rivista, dall’Egitto dei faraoni alla Grande Guerra, dal fascismo alla Seconda Guerra Mondiale, dalla Guerra Fredda, dal boom economico ai primi governi di centrosinistra. Sussurrava, Antonio de Curtis: “Non si può ridere della Storia”, ma faceva l’opposto nei panni del suo alter ego, l’ibrido perfetto fra Chaplin, Grock e Pulcinella. Il prof Gentile si accorse che nei suoi film (spesso censurati, sempre criticati per essere recuperati postumi) da 250 milioni di spettatori laddove la popolazione italiana era di 47 milioni, per incassi attuali di 90 milioni di euro, Totò aveva attraversato la storia con una vena assai più feroce di quanto si fossero accorti i suoi detrattori. Nel suo primo Fermo con le mani, Totò rappresentava il Duce alla finestra con la maschera antigas. E se nel ‘40 attraversava in tournée l’Etiopia e l’Africa Orientale italiana su invito del governo fascista, nel 42 cominciò a “fare la mia resistenza, nel mio piccolo” servendosi della satira teatrale, con Voluminedide  (’42)  L’Orlando curioso, Che ti sei messo in testa (44). Nella parte di Pinocchio nel Paese dei balocchi sfotteva i totalitarismi, appunto (“Qui le teste son di legno/che è proibito avere ingegno”); e mentre Mussolini che aveva mandato 62mila soldati in Russia e Hitler si incontravano a Salisburgo, lui spingeva la prima attrice della sua compagnia, Anna Magnani, ad inneggiare alla libertà. Il critico cinematografico

Vincenzo Talarico nel ’44 così scriveva dell’imitazione di Hitler da parte del Principe: “Rifare il verso al Duce e anche al Fuehrer, è già troppo facile, è un gioco da bambini. Vedete così, il suo Hitler. L’allucinazione, la follia, l’isterismo, il cupo misogenismo, la leggendaria agitazione nervosa, i tic, gli sguardi perduti, nella faccia di Totò nel giuoco diabolico dei suoi occhi”.

Ma l’anarchia artistica di Totò era a tutto tondo. Subì un’aggressione di partigiani un tantino integralisti in un camerino del Teatro La Pergola di Firenze. Democrazia Cristiana regnante nel primo governo De Gasperi nel ’48, Totò si accanì contro la censura ispirata alla Chiesa di Pio XII intransigente contro le esibizioni sessuali; e sia in Fifa e arena che in Totò Le Mokò sparò battute del tipo: ““Faccio il democratico cristiano, censuro la mia anima…”, “Questa è una casbah di tolleranza, con l’aria che tira va a finire che la chiuderanno…”. Nel ’49, a causa della famosissima scena del vagone letto dove massacrava i deputati nella figura dell’ “Onorevole Trombetta”, un senatore napoletano si rivolse perfino a Scelba e De Gasperi per “espressioni ingiuriose verso il Parlamento da parte di un guitto”. Ma quello stesso guitto, nel ’50, sfidò a duello Oscar Luigi Scalfaro che aveva dato pubblicamente della svergognata ad una signora dalle spalle nude; e Scalfaro rifiutò per “il sentimento cristiano gli impediva di fare duelli”.

Totò, convinto che “la storia non si ripete ma peggiora”, prese per i fondelli la Guerra Fredda (Totò e Peppino divisi a Berlino), e gli anni del boom (fantastico nelle parodie tv anti-capelloni) e i primi governi di centrosinistra (Totò e Carolina e Totò e i re di Roma con la famosa battuta “E poi dice che uno non si butta a sinistra”). Divise i politologi e gli storici nelle classificazione di un immaginifico “Totoismo di destra” che faceva riferimento al suo cotè aristocratico, monarchico e fintamente classista; e in "Totoismo di sinistra" che s’appigliava alla sua infanzia popolare e all’antifascismo talora esilarante. Come nel film I due colonnelli , anno ’62, quando vestito da ufficiale dell’esercito al commander SS che gli diceva di “avere carta bianca”, il Principe gridava: “ E ci si pulisca il culo, con la carta bianca!”, l’unica formidabile parolaccia che mai sentimmo pronunciargli. Se in fondo al cuore abbiamo scelto di rimanere uomini -e non caporali-  lo dobbiamo alla sua allegra malinconia…

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