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Gangs of London, la brutta copia di uno Scorsese inferocito

La peggior rissa da pub delle storia della televisione

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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 Gangs of London Foto:  Gangs of London
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C’è una scena nella serie tv Gangs of London (Sky Atlantic e Now Tv, lunedì prime time) in cui la telecamera impazzita si scatena in una coreografia sanguinaria: e cioè su una rissa accesa in un pub londinese da tale Elliot Finch catalogato come delinquentello di colore di basso rango ma rivelatosi, in realtà, un massacratore a metà fra 007 e Bruce Lee.

Il suddetto Elliot afferra un posacarte appuntito e sgozza, appena varcata la soglia del pub, un mafioso irlandese; poi spezza il braccio ad un altro seccatore armato di coltello a serramanico; e poi bucherella colli, polpacci e bicipiti di un’altra mezza dozzina di colleghi non prima di aver lasciato attraverso i loro volti tumefatti strisciate di sangue su un muro già fetente di suo. Il Guardian l’ha chiamata “la rissa che guarda dall’alto in basso ogni altra scazzottata cinematografica in un pub”: praticamente una pirotecnia di brutalità che nemmeno Quentin Tarantino -o Guy Rutchie- ai tempi d’oro. E, se si considera che la serie suddetta inizia il primo dei suoi dieci episodi sull’inquadratura di un uomo appeso a testa ingiù da un tetto che viene cosparso di benzina e a cui viene dato fuoco come al fantoccio della Befana il 6 gennaio; be’ direi che non siamo esattamente di fronte ad un morbido giallo classico inglese. Anzi. “Alcuni dicono che il nostro mondo sia brutale, io dico che è grandioso” confida al figlio Sean il boss irlandese Finn Wallace, punto di snodo dei peggiori traffici illegali sull’argine del Tamigi. E sarà proprio Sean ad attingere a piene mani in questa cataratta di violenza, a rifiutare ogni compromesso con la malavita avversaria per vendicare il padre (“Tutto rimane fermo finché non avrò scoperto che l’ha ucciso”). E da lì inseguimenti, scontri sanguinari, atmosfere tra Gomorra e Gotham City, mafiosi russi e capoclan irlandesi, funerali in chiese di lusso tra le cui panche si annidano i misteriosi mandanti dell’omicidio. Il tutto cadenzato da battute noir striate di rosso tipo: “Alcuni dicono che il nostro mondo sia brutale, io dico che è grandioso”. Ora, Gangs of London ha incantato la critica britannica che ne ha fatto il “thriller dell’anno”, e sicuramente la dose di adrenalina che ne farcisce le sequenze è notevole. Eppure, per ora, non emerge nulla di nuovo. Se voglio vedere uno Scorsese inferocito, preferisco l’originale…

 

 

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