Perché è necessario ricordare il genio di Vittorio Gassman
Il Mattatore è stato il più grande di sempre
Come per i film di Totò e le regie di John Ford, nella hit delle dieci interpretazioni di ogni tempo ce n’è almeno una di Vittorio Gassman, ognuno si scelga la propria.
Bruno Cortona nella spider che spiega l’ansia del vivere al Trintignant del Sorpasso (pensa se quel ruolo fosse stato assegnato ad Alberto Sordi); il soldato Busacca che tenta di corrompere Sordi nella Grande guerra (“L’italiano in fanteria, il romano in fureria”); Brancaleone da Norcia che arringa i suoi dal ronzino, “Imo così sanza una meta…”; il pugile suonato dei Mostri, Peppe er Pantera dei Soliti ignoti, il borghesissimo intellettuale della Terrazza che sbotta contro i suoi sodali, quel branco di privilegiati depressi che fanno persino più schifo dei privilegiati contenti. Sono solo alcuni degli eroi gassmaniani che hanno segnato la mia vita. Il fatto che, a voce unica, le reti Rai, Mediaset e La7 abbiano omaggiato il ricordo del più grande attore italiano di sempre mi riconcilia con la tv. Conservo ancora come un feticcio l’audiocassetta con la mia intervista a Gassman al crepuscolo della sua incredibile esistenza, impegnato nell’Affabulazione di Pasolini, dove recitava per la prima volta col figlio Alessandro. Gassman era un mondo a sé, una spanna sopra tutti, in grado di toccare tutti i registri narrativi; e di traversare generi e ruoli, ma pure di “gassmanizzare” generi e ruoli stessi. Televisivamente aveva fatto mille Canzonissime, recitato mille poesie e mille copioni (l’Adelchi, 1961) ma era conosciuto soprattutto per Il Mattatore del “Canale unico Rai” , ( ’59), autori Guido Rocca, Federico Zardi e Indro Montanelli. Il Mattatore -poi divenuto un film e un sostantivo- era uno spettacolo “misto”, difficilmente classificabile come Gassman stesso: teatro classico, satira politica e di costume, varietà, classificato da Aldo Grasso nella Enciclopedia della tv come antesignano dei “programmi contenitore”. Verrà riproposto da Mediaset nel ‘99 come “Corso accelerato di piccole verità”. Il mio ricordo gassmaniano preferito, però, è il film da lui diretto nel ’56, Kean, genio e sregolatezza, sulla figura di un superbo attore ottocentesco pieno di talento quanto di vizi e di debiti. Il latore di un’idea tracimante, luciferina e al contempo mistica della recitazione. Gassman, non a torto, riteneva di esserne la reincarnazione. Non ce n’è sarà mai un altro così…