Green pass sul luogo di lavoro? Non è anticostituzionale. Quello rafforzato invece sì
Negli ultimi mesi abbiamo avuto modo di discutere ampiamente su come la salute dei cittadini non riguardi solo l’interesse dei singoli ma più in generale l'interesse pubblico. In questo senso abbiamo ribadito come la Costituzione sia un documento scritto a tutela dei diritti del singolo, ma anche e soprattutto, per regolamentare i principi della convivenza comune. Si legga in tal senso l’articolo 4 della Costituzione che stabilisce come il lavoro sia un diritto, ma anche e soprattutto un dovere dei cittadini.
In altre parole, la Costituzione e più in generale il nostro impianto legislativo producono diritti, ma anche una serie di obblighi e limitazioni delle libertà, che regolamentano la convivenza comune.
In un periodo pandemico eccezionale come quello del COVID che si avvicina ai sei milioni di decessi a livello globale, era legittimo e giustificato attendersi delle restrizioni temporanee delle libertà personali nell'interesse della salute pubblica.
Tale circostanza è espressamente prevista anche dalla costituzione all'articolo 32, che dispone come trattamenti sanitari obbligatori possano essere decisi dalla legge.
Il presupposto delle limitazioni delle libertà individuali va sempre ricercato nel superiore interesse della collettività e in questo caso più specificatamente della salute pubblica.
In ambito del lavoro, sino al 15 febbraio 2022, era previsto che tutti i lavoratori per accedere al posto di lavoro dovessero avere il Green Pass ordinario. Quest’ultimo, al netto delle esenzioni, si ottiene nelle seguenti situazioni: se il lavoratore è vaccinato, se il lavoratore è guarito, oppure se effettua il tampone.
Nel caso di soggetti guariti oppure vaccinati, le ricerche confermano rispettivamente che la possibilità di contrarre un nuovo virus è inferiore e che in caso di contagio la durata della malattia è più breve. Nel caso di tampone il dipendente è in grado di certificare che per un periodo limitato non ha contratto il COVID. Appare quindi di tutta evidenza come l’adozione del green pass ordinario è ampiamente giustificata dal fatto di limitare la possibilità di contagio all’interno del medesimo luogo di lavoro.
Nel caso di Green Pass rafforzato lo scenario cambia. Al netto delle esenzioni, il lavoratore ottiene il Green Pass rafforzato esclusivamente in due ipotesi: se è vaccinato, oppure se è guarito. Non è data quindi al soggetto la possibilità di provare in forma alternativa con il tampone che non è un rischio per gli altri lavoratori.
La stessa legge istitutiva del Green Pass rafforzato ovvero il Decreto-Legge 7 gennaio 2022 prevede nelle sue premesse e nell’art. 1, che la disposizione viene emessa per “il contenimento della diffusione del virus” e “al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza”
In realtà nonostante il dichiarato intento di tutela collettiva, la norma malcela l’evidente ragione sanzionatoria individuale, non fornendo la possibilità al lavoratore ultracinquantenne di provare attraverso un tampone di non essere positivo al COVID e di conseguenza di non rappresentare un rischio per gli altri lavoratori.
L'effettiva ragione della disposizione legislativa è perfettamente in linea con l’intento sanzionatorio della multa 100 € prevista dalla normativa vigente per gli ultracinquantenni che rifiutano di vaccinarsi.
Il problema è determinato dal fatto che, se anche la legge può decidere di imporre delle sanzioni amministrative per una violazione, non può certamente comprimere un diritto fondamentale come quello del lavoro, che è oltretutto garantito dal primo articolo della Costituzione.
Appare superfluo a questo punto evidenziare altre discrasie del Decreto-Legge 7 gennaio 2022 che confermano la tesi puramente sanzionatoria del Green Pass rafforzato, tra cui l'obbligo di tale misura anche per coloro che svolgono smart working (la logica di tale disposizione appare oscura), oppure la non esclusione dal lavoro delle persone esentate dal vaccino che, pur incolpevolmente, rappresenterebbero comunque un rischio per i colleghi.
Dobbiamo rilevare come questa misura purtroppo metta in difficoltà tutte le parti sociali: i lavoratori e i datori di lavoro.
I lavoratori perchè rendendosi conto della insostenibilità della norma, stanno presentando ricorsi per vedersi riconosciute le retribuzioni e i contributi trattenuti dal datore di lavoro, oltre a richiedere il risarcimento dei danni.
I datori di lavoro perchè sono costretti a rispettare le indicazioni del Decreto-Legge sospendendo i lavoratori ultracinquantenni sprovvisti del Green Pass rinforzato, con il rischio che se tale misura venisse successivamente dichiarata illegittima dai Tribunali, dovrebbero riconoscere le somme trattenute al lavoratore. Questa ipotesi aprirebbe peraltro la porta a possibili richieste di manleva da parte del datore di lavoro nei confronti dello Stato, ovvero a successive richieste di risarcimento per le somme che il datore fosse successivamente obbligato a restituire al lavoratore.
La misura del Green Pass rafforzato è operativa dal 15 febbraio sino al 15 giugno 2022. Riteniamo che tale misura sia un enorme errore, sia dal punto di vista giuridico e sia logico e auspichiamo quindi che il governo provveda al più presto a revocare l’obbligo di Green Pass rafforzato per l'accesso sui luoghi di lavoro.
Avv. Cristiano Cominotto
Presidente di A.L. Assistenza Legale