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Come le persone lavorano e pensano negli altri Paesi

Lucia Esposito
Lucia Esposito

Da grande volevo fare la giornalista e così, diversi anni fa, da Napoli sono arrivata a Milano per uno stage di due mesi. Non sono più tornata. Responsabile Cultura di Libero, accumulatrice seriale e compulsiva di libri e pensieri. Profondamente inquieta, alla ricerca costante di orizzonti in cui ritrovarmi (o perdermi).

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Ci sono un capo americano, un dipendente italiano e uno francese. Il boss convoca una riunione per verificare il lavoro svolto. Dopo qualche convenevole di rito, ecco che il superiore si lancia in elogi sperticati. Non una, ma per ben tre volte si esibisce nell’arte della lode. L’italiano e il francese non credono alle loro orecchie, navigano in un brodo di giuggiole ma, con l’ego gonfio come un palloncino, si perdono la bordata finale del capo ed escono dalla riunione convinti di aver fatto un ottimo lavoro. Non sanno che gli americani usano far precedere le critiche da tre elogi. Se invece il vostro boss è scandinavo scordatevi sia i convenevoli sia il metodo della carota e del bastone, lui vi liquiderà senza preamboli e senza corollari: «Il tuo lavoro è da rifare». Cambiamo situazione. Siete invitati a parlare ad un gruppo di giapponesi. Vi presentate (puntualissimi, ovviamente) ed esponete il vostro pensiero. Al termine chiedete, come d’abitudine, se qualcuno ha delle domande. Vi trovate davanti a sguardi vuoti, bocche sigillate e corpi imbalsamati. Un immobilismo spaventoso che deflagrerà in voi come una critica. Penserete: non ho detto nulla di interessante. La verità è che i giapponesi, formali e composti, non prendono mai l’iniziativa di alzare la mano se non sono invitati individualmente. 
In un mondo del lavoro sempre più globalizzato con la pandemia che ha fermato gli spostamenti ma non ha certo interrotto le relazioni tra Paesi, il saggio di Erin Meyer La mappa delle culture. Come le persone pensano, lavorano e comunicano nei vari Paesi (Roi edizioni, pp. 224, euro 24,00) è uno strumento utile, una guida per evitare gaffe ma anche per capire alcuni comportamenti dei colleghi di altre nazionalità. 
L’autrice insegna all’Insead, una delle business school più prestigiose e dal 2017 è entrata nella classifica dei 50 pensatori più influenti al mondo. I suoi lavori di ricerca su come affrontare le differenze di cultura sono apparsi sulla Harvard Business Review Singapore Business Times Forbes. In questo volume riassume tutte le sue esperienze e, con una serie di esempi, svela quanto e come la provenienza geografica incida - e a volte condizioni e pregiudichi - i rapporti professionali. Meyer mostra come la comprensione di ogni variante tra due nazioni, dalla più semplice alla più complessa, sia la chiave per risolvere i problemi più spinosi e, se gestita con cura, la risorsa più preziosa di una squadra. Particolarmente interessante il tema del dissenso. 
Per i francesi contestare l’opinione altrui non solo è normale ma è necessario. «Agli studenti viene insegnato a ragionare per mezzo di tesi, antitesi e sintesi, costruendo in primo luogo un risvolto dell’argomentazione, poi quello opposto all’argomentazione, prima di giungere a una conclusione». Per i francesi il dissentire non significa offendere l’altro ma osservare un problema da una prospettiva diversa. Anche i tedeschi reputano il disaccordo «come un prezioso esercizio intellettuale da cui emerge la verità». Provate però a contraddire un giapponese. Inorridirà, vi marchierà come un gran maleducato. Il principe Shotoku Taishi, che sviluppò la prima Costituzione scritta giapponese, in uno dei diciassette articoli scrisse: «L’armonia dovrebbe essere valorizzata e gli alterchi dovrebbero essere evitati». Ecco, il contestatore agli occhi di un giapponese è un pericoloso distruttore, colui che rompe l’equilibrio. «Anche la minima deviazione dalla prospettiva dell’altra persona deve essere intrapresa mediante il più sottile dei suggerimenti, anziché in maniera audace o argomentativa», scrive la Meyer. Pure in culture emotivamente più espressive come il Perù o le Filippine le persone evitano fortemente il disaccordo poiché ci sono buone probabilità che esso porti a un’interruzione del rapporto. Gli americani percepiscono il dissenso come una minaccia alla loro unità. «Uniti vinciamo, divisi perdiamo» è il fondamento di molte interazioni sociali negli Stati Uniti. 
Il volume affronta altri temi cruciali come il concetto di tempo e di puntualità, l’uso delle email in alternativa alle telefonate (scoprirete che i cinesi possono presentarsi in ufficio anche senza appuntamento), pranzi e cene come collante delle relazioni sociali e professionali o come semplici formalità. Leggendo queste pagine imparerete tra le tante cose che, per conquistare la fiducia di un giapponese, alzare il gomito in sua compagnia funziona meglio di mille incontri e mille inchini. 
 

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