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Donne senza asterischi

Brunella Bolloli
Brunella Bolloli

Alessandrina, vivo a Roma dal 2002. Ho cominciato a scrivere a 15 anni su giornali della mia città e, insieme a un gruppo di compagni di liceo, mi dilettavo di mondo giovanile alla radio. Dopo l'università tra Milano e la Francia e un master in Scienze Internazionali, sono capitata a Libero che aveva un anno di vita e cercava giovani un po' pazzi che volessero diventare giornalisti veri. Era il periodo del G8 di Genova, delle Torri Gemelle, della morte di Montanelli: tantissimo lavoro, ma senza fatica perché quando c'è la passione c'è tutto. Volevo fare l'inviata di Esteri, ma a Roma ho scoperto la cronaca cittadina, poi, soprattutto, la politica. Sul blog di Liberoquotidiano.it parlo delle donne di oggi, senza filtri.

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Sarebbe bello se ogni giorno si parlasse di donne e di lotta ai pregiudizi contro le donne. Se il dibattito che oggi scalda la politica fosse in realtà un magma benefico che scorre e riempie di riflessione costruttiva i discorsi sia della gente comune che dei politici, destra e sinistra non fa differenza, in queste settimane impegnati con interventi spot sull'argomento visto che ci avviciniamo al 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Il tema è fondamentale e farsi sentire solo in prossimità di una ricorrenza, per quanto riconosciuta in tutto il mondo (grazie alle sorelle Mirabal, assassinate il 25 novembre del '60), è riduttivo. Ci vuole uno sforzo maggiore. Un'attenzione costante. Il problema è culturale, si dice sempre. Ed è vero, c'entrano la famiglia, la scuola, la società in cui viviamo, che spesso esalta modelli distruttivi per noi donne. Siamo ancora al patriarcato? Per tante femministe, anche giovanissime che non sanno nulla delle proteste del passato ma si abbeverano all'ideologia woke e alla moda degli asterischi, o alle desinenze in fondo alle parole per sentirsi più appagate come "femmine", la risposta è sì: la nostra è ancora una società profondamente patriarcale. Lo dicono nelle piazze dell'8 marzo, lo gridano durante le occupazioni studentesche, lo scrivono magari sui muri del ministero dell'Istruzione e del Merito per replicare a una frase inopportuna (per la tempistica e il contesto) pronunciata dal titolare di quel dicastero. Ma queste fanciulle con il mito facile delle influencer e magari la musica trap sparata nelle orecchie, sanno cosa significa patriarcato? Sanno che storicamente equivale al possesso del padre sulla moglie e sui figli, che nega alle donne il diritto alla partecipazione politica, che non le riconosce se non come soggetti riproduttivi, che nega loro ogni libertà? Le presunte femministe che sostengono di vivere, nell'Italia meloniana del 2024, in una società patriarcale sono però le stesse che nulla dicono di fronte al mercimonio del corpo delle donne all'estero o che girano la testa dall'altra parte di fronte alle immagini, attualissime, di bambine e signore musulmane divise dagli uomini da un recinto perché considerate inferiori. Non degne di pregare con loro. Ci sono, insomma, delle precisazioni da fare quando si dichiara che siamo ancora tutte ostaggio del patriarcato. Ciò che si può affermare è che, in alcuni contesti, perfino in Italia, resiste ancora una certa dose di maschilismo, un attaccamento dell'uomo a privilegi che sente di perdere, come un terreno gli sta franando sotto i piedi. Con l'evolversi dei tempi, infatti, le donne hanno dimostrato che tutto sanno e possono fare al pari degli uomini. Ma c'è ancora del maschilismo, sicuramente, ad esempio nel non consentire alle professioniste di sesso femminile lo stesso trattamento economico dei colleghi maschi a parità di mansione. Si chiama gender gap e purtroppo esiste. Ma il patriarcato no, vi prego, è una piaga del passato. E non è sempre colpa dell'uomo bianco, etero e coniugato, sebbene molte responsabilità gli siano attribuite. Sappiamo, infatti, che la gran parte delle violenze e dei femminicidi avviene da parte del maschio che di quella donna si sentiva il padrone, ma senza di lei è niente. Per questo poi colpisce, e a volte perfino uccide, per sentirsi ancora forte. Mentre i casi di donne che maltrattano o ammazzano un ex compagno o marito sono decisamente meno frequenti. Di maschilismo, ma soprattutto di femminismo, al di là dei luoghi comuni, si è parlato sabato scorso a Roma, nel piccolo teatro Duse di via Crema dove Annalisa Terranova è riuscita a radunare tante donne diverse, ognuna con un contributo da portare al tema, che fosse dal punto di vista storico, linguistico, sociologico, psicoterapeutico, filosofico o giornalistico. Si è pure parlato delle favole per i bambini, che un certo politically correct oggi ritiene sessiste e vorrebbe cambiare. Orrore. Si è discusso di maternità che è altro rispetto alla genitorialità, di violenza assistita dai più piccoli e di Islam. Non era un appuntamento di partito, ma la fondazione Alleanza nazionale ha dato il patrocinio, così come Arsenale delle idee e il Secolo d'Italia. Tra il pubblico c'era Roberta Angelilli, vicepresidente e assessore della Regione Lazio, già vicepresidente del Parlamento europeo, prima donna ad avere guidato Alleanza nazionale a Roma e molto altro. Perché chi l'ha detto che il femminismo sia solo a sinistra? Chi l'ha detto che la conquista dell'emancipazione femminile sia una battaglia solo delle "compagne" e che le donne di destra siano "addomesticate" dagli uomini? Guardiamoci attorno e torniamo all'oggi: siamo nel 2024, non nel Medioevo. Gli esempi di donne vincenti ci sono, in ogni settore. Molto ancora verrà, se lo vogliamo. Usciamo dal recinto.  

             

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