Uccisa per il velo a Teheran
Si può vivere in un mondo in cui una 16enne viene pestata a morte dalla polizia perché non indossa il velo? Accade in Iran, ma la drammatica fine della 16enne Armita Geravand è soltanto l'ultimo caso di una lunga lista di donne massacrate perché private della loro libertà. Stavolta ci sono anche le immagini feroci del pestaggio, la ragazzina viene trascinata fuori dalla metropolitana, colpita ripetutamente alla testa, al volto, e ci sono anche le foto di lei in un letto d'ospedale, immobile e spenta. La morte cerebrale era stata decretata una settimana fa, oggi c'è la conferma e anche lo sdegno da parte di chi vive in questa parte di mondo dove non ci sono regimi autoritari e le donne possono circolare liberamente senza timore di essere ammazzate se non indossano correttamente l'hijab. Armita come Mahsa Amini, la 22enne curda morta nel settembre dell'anno scorso dopo essere stata arrestata sempre in Iran, patria degli ayatollah che tutto vogliono decidere, imporre, ordinare sui sudditi e in particolare sulle donne, vittime di un'oppressione sempre più intensa, costrette a coprirsi, a subire, a difendersi perfino da chi invece dovrebbe proteggerle, cioè la polizia, le forze dell'ordine, solo che per gli iraniani l'ordine è quello di punire le donne "ribelli". In questi giorni terribili di guerra e violenza in Medio Oriente non è un caso che l'Iran venga citato come amico di Hamas, l'organizzazione terroristica che non si pone il problema di uccidere e sgozzare donne e bambini. E forse bisognerebbe ricordarlo anche ad alcuni nostri rappresentanti che vanno in piazza con le bandiere della pace invocando pietà per i civili di Gaza, e questo è giusto certamente, ma poi dimenticano che chi non vuole la pace e attacca con ferocia inaudita è proprio chi si augura il sacrificio di donne e bambini e consente che si ammazzi ancora una 16enne a pugni perché non aveva il capo coperto.