Uno sciopero che danneggia le donne
Alla vigilia dell'8 marzo del 2023, dopo che la politica ha prodotto un premier donna, l'opposizione ha eletto una leader donna, la Corte di Cassazione ha finalmente una prima presidente donna e in quasi tutti i consigli di amministrazione di grandi e medie aziende, c'è un vertice che tiene conto anche della presenza femminile, viene da chiedersi che senso ha lo sciopero delle pseudofemministe proclamato per la giornata internazionale della donna. Si tratta di una rivendicazione che se da una parte è giusta e sacrosanta, rischia di trasformarsi però in un autogol proprio perché finirà per danneggiare le donne stesse, quelle che lavorano, che scelgono di non aderire alla piazza perché non possono o perché non vogliono; quelle che dovranno andare a prendere i figli a scuola nonostante il caos dell'assenza dei mezzi pubblici, quelle che devono timbrare il cartellino e arriveranno in ritardo perché le femministe di Non una di meno sono in corteo a sfilare, quelle che va bene la protesta, ma almeno fatelo un altro giorno. C'è del masochismo, a volte, nelle compagne che organizzano tali forme di dissenso e non si accorgono, o forse lo sanno benissimo, che non otterranno altra solidarietà, piuttosto rischiano di farsi maledire da chi non la pensa come loro. Intendiamoci, noi siamo le prime a ritenere che sia giusto festeggiare le donne, rispettarle, valorizzarle, premiarle e riconoscerne tutti i meriti, ma che senso ha paralizzare il Paese, bloccare i trasporti, interrompere la didattica perché un gruppo di femministe ha deciso che è l'8 marzo il giorno per scendere in piazza "contro l'abbrutimento culturale e delle relazioni sociali?" Siamo certe che gli slogan saranno politici e ci sarà ben poco a favore della condizione femminile. La manifestazione sarà contro la premier Meloni, che è donna ma è di destra ed è contro l'utero in affitto quindi va contestata a prescindere. Che, poi, a ben guardare, gli argomenti a favore delle "ragazze" ci sarebbero anche e andrebbero sviscerati, al di là delle preferenze politiche. Ci si dovrebbe interrogare, ad esempio, sul perché a scuola sono più brave e preparate le studentesse, sono più pronte ad esperienze all'estero e dedite a varie attività sociali, e però poi il lavoro viene trovato più facilmente dai maschi, come spiega il focus Gender Gap 2023 di Almalaurea nel suo Rapporto sui Diplomati. E perché dopo 5 anni dalla laurea il tasso di occupazione è pari al 94,1% per gli uomini e del 90,9% per le donne. Per non parlare poi dei compensi: sebbene le laureate nelle discipline Stem (scientifiche) abbiano in parte ridotto il divario con i colleghi maschi, la differenza resta. Ma non è certo colpa di Giorgia Meloni.