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La mano morta in ufficio

Brunella Bolloli
Brunella Bolloli

Alessandrina, vivo a Roma dal 2002. Ho cominciato a scrivere a 15 anni su giornali della mia città e, insieme a un gruppo di compagni di liceo, mi dilettavo di mondo giovanile alla radio. Dopo l'università tra Milano e la Francia e un master in Scienze Internazionali, sono capitata a Libero che aveva un anno di vita e cercava giovani un po' pazzi che volessero diventare giornalisti veri. Era il periodo del G8 di Genova, delle Torri Gemelle, della morte di Montanelli: tantissimo lavoro, ma senza fatica perché quando c'è la passione c'è tutto. Volevo fare l'inviata di Esteri, ma a Roma ho scoperto la cronaca cittadina, poi, soprattutto, la politica. Sul blog di Liberoquotidiano.it parlo delle donne di oggi, senza filtri.

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<Dai, non fare la stronza, vieni qui>. <La tua collega è una zoccola, ma tu sei più carina>. <A fine mese avrai un premio in busta paga, ma solo se vieni a cena con me>. Storie vecchie come il mondo: il datore di lavoro che ci prova e la sottoposta che non sa se mandarlo a quel paese o fare finta di niente per non perdere lo stipendio. Allusioni travestite da battute che però fanno ridere solo lui. Un massaggio alle spalle non richiesto, la mano che sfiora il fianco e arriva alla chiappa, il whattsApp volgare per vedere l'effetto che fa: ci sono milioni di situazioni che possono fare una molestia. E una volta le donne non fiatavano. Stavano zitte, subivano in ragione di un salario comunque da portare a casa, spesso andavano anche oltre, se era l'unica scelta, anche se esiste sempre una seconda scelta. Oggi non siamo più nel Medioevo, il Meetoo ha scoperchiato quelle pratiche che nel luccicante mondo dello spettacolo probabilmente tutti conoscevano e la narrazione delle donne povere vittime che non riescono a sfuggire al padrone orco ha anche un po' stufato (visto che in parte lo scandalo si è sgonfiato). Però, c'è un però. Secondo l'ultimo report della Fondazione Libellula il 55 per cento delle donne italiane ha subito molestie o discriminazioni al lavoro e 1 su 5 contatti fisici indesiderati. L'indagine è stata svolta su oltre 4mila lavoratrici e libere professioniste (è consultabile sul sito fondazionelibellula.com) ed è una fotografia piuttosto affidabile dello stato dell'equità di genere del mondo del lavoro italiano. In pratica, più di una donna su 2 (55%) si dichiara vittima di una manifestazione diretta di molestia e discriminazione, il 22% ha dichiarato di avere avuto contatti fisici indesiderati e il 53% ha subito complimenti espliciti non graditi. I responsabili non sono soltanto i capi, in evidente posizione di superiorità, ma pure i colleghi, uomini e perfino donne. Il risultato qual è? Che una povera dipendente si senta poi limitata nel proprio comportamento per paura che possa essere male interpretato, in pratica si autocensuri. Non sia più libera neanche di mettersi una camicetta un po' più scollata. Il problema è, ovviamente, culturale che impone una riflessione, dice Debora Moretti, fondatrice e presidente di Fondazione Libellula, realtà nata dalla volontà di Zeta Service, azienda leader nella fornitura di servizi dedicati al mondo delle risorse umane.  A generare la discriminazione, spesso, non è solo un rapporto sbilanciato di forza nel contesto lavorativo, ma anche l'appartenenza di genere. Ecco perché bisogna cambiare questo scenario e dare più spazio alle donne nei centri di potere. Non solo per una stantia ragione di quote rosa, che non risolve il problema, ma anche per evitare inutili pacche su sedere o discorsi da caserma.      

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