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Chat dunque sono!

Brunella Bolloli
Brunella Bolloli

Alessandrina, vivo a Roma dal 2002. Ho cominciato a scrivere a 15 anni su giornali della mia città e, insieme a un gruppo di compagni di liceo, mi dilettavo di mondo giovanile alla radio. Dopo l'università tra Milano e la Francia e un master in Scienze Internazionali, sono capitata a Libero che aveva un anno di vita e cercava giovani un po' pazzi che volessero diventare giornalisti veri. Era il periodo del G8 di Genova, delle Torri Gemelle, della morte di Montanelli: tantissimo lavoro, ma senza fatica perché quando c'è la passione c'è tutto. Volevo fare l'inviata di Esteri, ma a Roma ho scoperto la cronaca cittadina, poi, soprattutto, la politica. Sul blog di Liberoquotidiano.it parlo delle donne di oggi, senza filtri.

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Pubblico volentieri qui la lettera di Francesca, una giovane mamma che vive a Roma con la sua bambina, iscritta ad una scuola pubblica. Francesca ha voluto raccontare la propria esperienza dopo un caso di cronaca sollevato dal nostro giornale, il caso di un alunno autistico maltrattato, preso in giro, dalle insegnanti che non dovrebbero neanche più essere considerate tali. La figlia di Francesca non ha patologie, è una bambina sana e preparata, eppure subisce ugualmente il trattamento dell'indifferenza e del pregiudizio da parte di alcune maestre che escludono la sua mamma, e quindi lei, dalla famigerata chat di classe.   

Cara mamma, 

Ho letto con sdegno e profonda rabbia l'articolo apparso su Libero del 6 aprile scorso. Con queste poche righe vorrei esprimerle tutta la mia vicinanza e abbracciarla per quello che è costretta a vivere in una scuola pubblica che discrimina e lascia soli proprio i soggetti fragili che invece andrebbero protetti. Anche io sono una mamma. Anche io vorrei che le insegnanti di mia figlia fossero sospese non per quello che fanno ma per tutto quello che non fanno da due anni a oggi, come le 3 scimmiette: non vedo, non sento, non parlo. Mia figlia frequenta la 2 elementare di una succursale pubblica a San Paolo a Roma. Lei non conosce la disabilità ma conosce bene l'isolamento e l'emarginazione perché purtroppo viviamo in un contesto familiare altamente conflittuale- in attesa di una sentenza che sempre più tarda ad arrivare. Nel mentre viviamo in un limbo di Isolamento che, nemmeno l'intervento del servizio sociale, è riuscito a mitigare cercando invano una forma di dialogo con le insegnanti che non sono in grado di gestire una comunicazione tra due genitori separati.

Sono rea di essere una mamma single che lavora e in attesa di aver giustizia da un tribunale, da due anni sono diventata invisibile. 

Perché la scuola tutta (insegnanti che nemmeno conosco, genitori di cui conosco appena mezzo viso coperto da mascherine) davanti a questo disagio e conflitto familiare preferisce non vedere. Chiude gli occhi e per farlo autorizza l'amministratrice che io sia bloccata dalla chat, unico strumento di dialogo consentito all'interno della nostra scuola per reperire informazioni base come compiti o punti di ritrovo. Maestri che pur di evitarmi rimandano i colloqui dovuti dopo la consegna delle schede di valutazione avvenuta a febbraio che ancora oggi non è stato possibile incontrare de visu perché hanno tutti troppa fretta.  Numeri telefonici di insegnanti che non sono autorizzata ad utilizzare per non disturbarli (quando loro li utilizzano anche durante le lezioni) e il tutto viene interamente affidato ad una rappresentante di classe che diventa un megafono assumendo decisioni su ogni aspetto, tranne quelli di sua competenza. Perché è più facile così che essere maestre. Perché per insegnare serve cuore e passione.

Si faccia coraggio, non è la sola.

Francesca

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