Strano: i canonisti di Bergoglio che difendono Bergoglio
Su Il Giornale di oggi è comparso un articolo intitolato “Emerito, ma non più papa. Smentite le fantasie sulla rinuncia di Ratzinger” a firma di Nico Spuntoni che riferisce di un convegno "per la presentazione del volume 'La rinuncia all’ufficio petrino. Itinerari dottrinali a dieci anni dalla Declaratio di Benedetto XVI' a cura di Beatrice Serra che si è tenuta venerdì nella facoltà di Giurispudenza, all'Università degli studi La Sapienza di Roma. Tra i relatori monsignor Giuseppe Sciacca, uno dei più brillanti canonisti viventi ATTUALMENTE A CAPO DELL'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, il cardinale Gianfranco Ghirlanda, ASCOLTATISSIMO CONSIGLIERE DEL PAPA SULLE QUESTIONI CANONICHE e la professoressa Geraldina Boni dell'Università degli Studi di Bologna".
Ora, chissà se Spuntoni ha mai sentito il proverbio “non si chiede all’oste se il suo vino è buono”?
Come si può pensare che un convegno al quale partecipano oltre a una docente che lavora strettamente per Bergoglio, prelati della chiesa antipapale, uno messo a capo dell’Ulsa da Bergoglio, l’altro cardinalato nel 2022 da Bergoglio, possano dire che la rinuncia di Benedetto XVI era nulla e invalida e quindi delegittimare il loro capo, che peraltro ha anche la mano pesante coi suoi nemici (vedasi caso Burke)? Mistero della fede o, più probabilmente, della sua mancanza.
Infatti, guarda caso, nell’articolo non compare nemmeno di sfuggita l’espressione “sede impedita” proprio perché quello è l’unico caso in cui il papa perde il ministerium e trattiene il munus.
Se ne guardano bene dal citarla, ne hanno un vero terrore, così come evitano la Universi Dominici Gregis e preferiscono parlare con sufficienza di “fantasie” secondo il solito estenuante cliché del “romanzo alla Dan Brown”.
La manfrina è sempre la stessa, da un decennio. Riferisce Spuntoni: “In ogni caso, il canonista Sciacca ha liquidato queste speculazioni, bollando come "pretestuoso il ricorso alla distinzione" tra ministerium e munus ricordando che il ministero petrino "si incardina necessariamente sul munus episcopale già conferito o da conferirsi" ed è solo un primato di giurisdizione. Quindi Ratzinger non ha rinunciato solo al suo esercizio ma inevitabilmente a tutto questo primato e l'unico munus che ha conservato dopo il 2013 è stato quello episcopale, dal momento che il papato, a differenza di quanto per breve tempo sostenne Rahner, non è un grado supremo del sacramento dell’ordine”.
Insomma, il meccanismo manipolatorio è che, siccome il munus (titolo di origine divina) e il ministerium (esercizio del potere) sono inseparabili, secondo loro Ratzinger rinunciando al ministerium ha rinunciato anche al munus. Peccato che c’è un unico caso in cui il papa perde il ministerium e trattiene il munus, ED È LA SEDE IMPEDITA.
Can. 412 - La sede episcopale si intende impedita se il Vescovo diocesano è totalmente impedito di esercitare IL MUNUS pastorale nella diocesi a motivo di prigionia, confino, esilio o inabilità, non essendo in grado di comunicare nemmeno per lettera con i suoi diocesani.
E’ semplice da capire: immaginiamo che il munus sia la patente di guida, il titolo che viene dalla Motorizzazione civile, e la conseguente facoltà di guidare la macchina sia il ministerium. Ora le due cose sono inseparabili, dato che non si può guidare senza patente. Ma se uno si trova in prigione, o confinato a casa, mantiene la patente, ma non può guidare la macchina. Ovvio, no?
Quindi per impedimento si mantiene il titolo, ma non lo si può esercitare.
Benedetto ha annunciato attraverso una semplice dichiarazione, che, come tale, non ha nemmeno valore canonico, (infatti non è mai stata firmata dopo il 28 febbraio 2013) che a una certa data e a una certa ora avrebbe perso il potere pratico. Infatti questo si è verificato per la convocazione di un conclave abusivo che lo ha detronizzato.
E’ mons. Sciacca che, del tutto arbitrariamente, deduce che Benedetto, rinunciando al ministerium avrebbe inevitabilmente rinunciato anche al munus, ma non c’è scritto. E’ un assurdo giuridico come potrebbe essere dire: “il nonno ha scritto nel testamento che mi lasciava la bicicletta, ma siccome la bicicletta si trova nella sua casa, allora mi ha lasciato anche l’appartamento”.
Il can. 188 non ammette errori: “La rinuncia fatta per timore grave, ingiustamente incusso, per dolo o per errore sostanziale oppure con simonia, è nulla per il diritto stesso”.
L’errore è che manca la rinuncia al munus , come previsto dal can. 332.2, e niente può sanare questa nullità. Fine della discussione.
Benedetto si è offerto liberamente alla sua sede impedita, come Colui di cui era Vicario. ALTRO CHE ABDICAZIONE.
Papa emerito è nient’altro che un eufemismo per dire papa impedito, dato che anche il papa può de facto perdere il ministerium come il vescovo, ma mentre quest’ultimo lo perde canonicamente, de iure, per raggiunti limiti di età, il papa lo può perdere solo per sede impedita. Nel caso del vescovo, questi mantiene il munus perché è un sacramento, quindi indelebile, nel caso del papa, questi mantiene il munus perché è in sede impedita.
Infatti, il papa impedito mantiene nome, stemma, veste bianca e la possibilità di impartire la benedizione apostolica, esattamente come avvenne per Benedetto XVI e, prima di lui, il papa impedito Pio VII, rapito da Napoleone, che a Cuneo impartì la sua benedizione apostolica.
Come già aveva capito il canonista Stefano Violi nel 2013, che sulla Rivista Teologica di Lugano riconosceva QUI in tempi non sospetti il fatto ovvio che la rinuncia non è a norma del can. 332.2, (quello che impone la rinuncia al munus): “Col gesto della rinuncia, Benedetto XVI ha incarnato anzi la forma più elevata del potere nella Chiesa, sull’esempio di Colui che avendo tutto il potere nelle sue mani depose le vesti, non dismettendo in questo modo, ma portando a compimento il suo ufficio a servizio degli uomini, cioè la nostra salvezza”.
Quello che non aveva capito Violi è che questa deposizione delle vesti, questa rinuncia al potere può avvenire solo attraverso il martirio, il sacrificio di sé. Ecco perché a Benedetto “serviva” un colpo di stato, come a Cristo “serviva” un traditore come Giuda.
Infatti, non per nulla manderà Gaenswein a dire alla Lumsa QUI “se non credete la risposta è nel libro di Geremia” che parla di un profeta impedito che dice “io sono impedito e non posso andare nel tempio del Signore”.
In ogni caso, al di là della questione della sede impedita, Bergoglio non è IN OGNI CASO il papa perché la Declaratio non è a norma del can. 332.2 e secondo gli artt. 76 e 77 della Universi Dominici Gregis se la rinuncia del pontefice non è a norma del can. 332.2 l’elezione è nulla e invalida. Fine della storia.
Un errore la Declaratio? Ratzinger era modernista, un santo, un genio, o aveva mal di testa quella sera, e si è sbagliato? Poco importa. La Declaratio non è un atto, e non è nemmeno un atto valido. Errore sostanziale, can. 188. Bergoglio non è il papa. E si vede. Le sue plateali eresie possono essere giustificate solo dal fatto OVVIO di non essere papa.
Mentre i prelati abbondantemente gratificati dall’antipapa si affannano in radi convegni a cercare di mettere la polvere sotto al tappeto, la verità viene fuori in modo sempre più dirompente.
Invitiamo formalmente il collega Nico Spuntoni a una conferenza online (a inviti) del sottoscritto, praticamente certi che non parteciperà. E questo la dirà lunga.
Con l’occasione vorremmo chiedere a S.E.R. Ghirlanda: visto che Lei è gesuita, e S. Ignazio proibiva che i gesuiti potessero accedere alle alte cariche ecclesiastiche, incluso papato e cardinalato, per Bergoglio e per Lei c’è stata qualche deroga, come già avvenne per il cardinal Martini? E come la si potrebbe giustificare in ordine a quanto imposto da S. Ignazio? Grazie.