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Padova, il liceo "Tito Livio" censura il nipote di Cadorna (e noi gli diamo parola)

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Tornano alla grande tre estenuanti cliché nazionali: la rissa perpetua sull’antifascismo, la vulgata mistificatoria sul generale Cadorna e il solito “cuor di leone” dei dirigenti scolastici. Frullate tutto insieme e avrete l’episodio che, qualche giorno fa, ha visto protagonista il prestigioso liceo classico “Tito Livio” di Padova. Unica vittima, e illustre: la cultura

Stando al sito, il liceo “mira a dare agli studenti una preparazione articolata e approfondita sul piano culturale”, così avevano invitato il colonnello Carlo Cadorna, nipote del nostro Comandante Supremo durante la Grande Guerra, a partecipare a un incontro autogestito dagli studenti per discutere di storia.

Il colonnello, tra i massimi esperti mondiali di equitazione, già presidente dell’Associazione d’Arma di Cavalleria, è da anni in prima linea per difendere la memoria di suo nonno Luigi, tra le figure più travisate e meno conosciute del ‘900.

Era un’occasione d’oro, quella in programma al Tito Livio: superare l’ideologica sbobba emozional-antimilitarista del duo Lussu-Rosi e del seguito di compiacenti storici di sinistra, stimolando i ragazzi a ragionare sui documenti dell’epoca che il colonnello Carlo – figlio del generale Raffaele Cadorna, comandante del Corpo Volontari della Libertà durante la Seconda Guerra mondiale - ha scrupolosamente riportato nella fortunata edizione del suo “libro "Caporetto? Risponde Cadorna", (Bastogi, 2020)”, già presentato al Senato.

Eppure, al primo baccagliare di qualche manifestazione tra gli “Antifascisti” e il “Blocco studentesco”, (nomi di organizzazioni giovanili di un anacronismo vecchiarino) il Consiglio dei Docenti ha cordialmente messo alla porta il colonnello “per evitare qualsiasi tipo di polemica”. Un’occasione persa per affermare il primato dello studio sul teppismo-bullismo.

A Padova, infatti, giorni fa, gli studenti avevano voluto imporre al “Tito Livio” l’adesione alla nota lettera-predicozzo antifascista della preside della scuola Leonardo da Vinci di Firenze; i ragazzi di destra si erano ribellati appendendo uno striscione con scritto “la scuola è libera”, ma avevano torto. La scuola non è libera: è – da sempre - ostaggio dei soliti noti che, per uno sbilenco sillogismo, siccome la Repubblica vieta la ricostituzione fisica del partito fascista, allora tutti devono ideologicamente proclamarsi antifascisti. In realtà la Costituzione, all’articolo 21, sancisce la libertà di pensiero e di espressione.

“Ma qui si sarebbe parlato di Grande guerra– sbotta il colonnello Cadorna – avevo concordato con la scuola di fare una chiacchierata sulla strategia, questa grande sconosciuta, in Italia”.

Abbiamo così deciso di dare voce al colonnello, in una breve intervista.

D. Colonnello, spesso Lei ha fatto causa a storici e giornalisti che hanno denigrato il Generalissimo…

R. “I limiti del diritto di critica storica sono la continenza - cioè l'utilizzo di termini non ingiuriosi - e il rispetto della verità documentata: uno dei querelati è stato condannato a un risarcimento di 10 mila euro.

D. Ma qual è la più grande incomprensione su Suo nonno? 

R. “Sulla strategia, questa grande sconosciuta, almeno in Italia: la scienza che determina tutte le vittorie belliche. Cadorna è dovuto entrare in guerra per decisione politica con un esercito inesistente nella qualità e numericamente insufficiente per il fronte da difendere, troppo lungo e vantaggioso per gli austriaci che l'avevano oculatamente scelto nel 1866. I nostri Alleati, per alleggerire il fronte occidentale, ritenuto quello decisivo, ci assegnarono il compito di tenere impegnati - e logorare - gli austriaci da Sud. Cadorna sviluppò artiglierie, mitragliatrici ed aerei, fortificando la linea del Grappa e costruendo 2000 km di vie di comunicazione logistica. «Tolse» così dal fronte occidentale 16 divisioni tedesche”.

D. Entrata in guerra per ultima, con un ruolo laterale, l’Italia assestò, tuttavia, il colpo decisivo…

R. “Cadorna aveva sempre previsto ogni possibilità, compreso quello che successe a Caporetto, (per l’improvviso crollo della Russia), preparando e attuando la ritirata strategica sulla linea del Grappa, definita da Vittorio Emanuele Orlando «un miracolo». Grazie a questa linea abbiamo vinto perché eravamo finalmente in situazione di predominio di fuoco, logistico e di riserve, con un fronte ridotto di un terzo. Questo consentì a Diaz – che sostituì Cadorna dopo Caporetto - di migliorare le condizioni di vita dei soldati, anche perché il Governo, spaventatosi, finalmente aprì i cordoni della borsa. Gli austroungarici, penetrati troppo in profondità in territorio italiano, si arenarono sulla linea del Grappa, fino alla resa finale con Vittorio Veneto, il 4 novembre ‘18. La Germania del Kaiser si arrese una settimana dopo, temendo un’invasione italiana dalla Baviera. Così, la Grande guerra l’ha vinta la strategia di Cadorna (per tutta l’Intesa, facendola terminare un anno prima rispetto alle previsioni degli Alleati) tanto che Diaz non la cambiò di una virgola. Oggi viene ancora studiata nelle Scuole di Guerra americane”.

D. E la famosa questione delle fucilazioni? 

R. “Un uso comune a tutti gli eserciti belligeranti, e pochi sanno che, proporzionalmente, furono in numero maggiore sotto Diaz. Il Comandante Supremo doveva consentire agli ufficiali di mantenere la disciplina ad ogni costo. Quindi, soltanto in presenza di gravissimi reati che prevedessero la pena di morte, nell'impossibilità di riunire un tribunale e, talora, di identificare i colpevoli per l'omertà del reparto, con i poteri derivanti dall'art. 251 del codice vigente, Cadorna autorizzò i Comandanti a procedere per fucilazioni sommarie. Esse furono in totale 300 (su 5 milioni di uomini in armi): cose "orribilmente disgustose e ripugnanti", come scrisse lo stesso Cadorna, ma purtroppo necessarie e che servirono a dare un esempio indispensabile per il mantenimento della disciplina contribuendo alla vittoria finale”.

Parole interessanti, che riguardano la nostra storia, eppure oscurate dagli inutili berci su fascismo-antifascismo.

  

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