10 anni da "dimissioni" di Benedetto XVI: il video su come Ratzinger ha scismato Bergoglio
A dieci anni esatti dalla fatidica “Declaratio” di papa Benedetto, possiamo considerare la nostra inchiesta giunta a risultati definitivi. Sono ormai chiariti i tre misteri di questa dichiarazione in latino che ci è stata ammannita come un atto di abdicazione, mentre invece è stata il più geniale e articolato piano antiusurpazione della storia. Abbiamo sintetizzato quasi tre anni di studi continuativi in un breve video documentario, “Dies Irae”, pubblicato su Libero, che trovate
Il montaggio è stato realizzato gratuitamente da un “soldato di papa Benedetto”, ovvero, uno di quei cattolici che hanno capito la questione e non si sono arresi alla fine della Chiesa canonica visibile. A lui il nostro grazie, come a tutti coloro che vorranno condividere il video sui social. Per chi preferisse leggere, riportiamo di seguito il testo di
“DIES IRAE. NIENT’ALTRO CHE LA VERITÀ SULLE “DIMISSIONI DI BENEDETTO XVI”.
Sono passati dieci anni dalle dimissioni di papa Benedetto XVI, e ancora se ne discute. “Avrebbero dovuto essere più chiare”: così ha dichiarato Bergoglio il 12 luglio 2022 e non possiamo che concordare con lui. Non trovate infatti strano che un uomo della mitezza e della modestia di Joseph Ratzinger, pur essendosi dimesso, sia rimasto però in Vaticano, vestito di bianco, a ingombrare il campo al successore?
E cosa dire del fatto che per nove anni abbia ripetuto “il papa è uno solo” senza mai spiegare quale dei due? Non si capisce nemmeno come sia potuto diventare “papa emerito” dato che questo istituto, giuridicamente, non esiste come rilevato, fin dall’inizio, dai più noti canonisti.
Tuttavia, per venire a capo di questo mistero, papa Ratzinger ci ha lasciato delle chiavi per comprendere la questione canonica. In “Ultime conversazioni”, libro-intervista di Peter Seewald, del 2016, testo autorizzato e approvato dal papa emerito, leggiamo cosa scrive riguardo alla propria rinuncia: “Nessun papa si è dimesso per mille anni”. Il libro ribadisce il concetto ancora verso la fine: “Benedetto XVI è stato il primo papa ad essersi dimesso dopo mille anni”.
Il grosso guaio è che l’ultimo papa abdicatario è stato Gregorio XII nel 1415, ovvero soli 598 anni prima di Ratzinger, non mille anni prima. Quindi, indiscutibilmente, per Benedetto la parola “dimissioni” non equivaleva ad “abdicazione” e lui non si considerava abdicatario. E che genere di dimissioni avrebbe dato, allora? Come abbiamo recentemente scoperto, dimissioni molto simili a quelle dichiarate, ESATTAMENTE MILLE ANNI PRIMA, nel 1013: da un papa medievale, Benedetto VIII. E nemmeno lui aveva abdicato. QUI
In un lavoro di inchiesta durato due anni e sette mesi, svolto in oltre 400 articoli e riassunto in un bestseller, “Codice Ratzinger” (Byoblu ed. 2022) abbiamo ricostruito pazientemente lo scenario completo.
Spiega Paolo Flores d’Arcais, in “La sfida oscurantista di Ratzinger”, del 2010, come Benedetto XVI avesse la “colpa” di essere il custode dei valori cristiani avversati dai poteri mondialisti. QUI Da Wikileaks, sappiamo come già dal 2012 il clan Obama-Clinton stesse ipotizzando una rimozione di papa Benedetto. La sua sostituzione con un papa funzionale a ben altri progetti diveniva necessaria. Braccio operativo di questa manovra, una fronda di cardinali ultramodernisti, la cosiddetta Mafia di San Gallo, il gruppo che, come ammetterà candidamente nel 2015 uno dei suoi membri, il cardinale Danneels, sponsorizzava Bergoglio come futuro papa. QUI Nel 2016, Mons. Gaenswein citerà un discorso di Ratzinger per descrivere questo gruppo come "il rappresentante di una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”.
Nello stesso anno, con Vatileaks, invece, emerge il cosiddetto Mordkomplott, un progetto per uccidere papa Benedetto di cui parlarono i cardinali Romeo e Castrillon. Tre vescovi, Gracida, Negri e Lenga, hanno poi affermato pubblicamente che papa Ratzinger è stato costretto a togliersi di mezzo. QUI
Così, nel 2013, pressato ad abdicare in un modo insostenibile per le sue forze, Benedetto XVI decide di applicare un geniale piano antiusurpazione per la difesa della Chiesa: l’11 febbraio, di fronte al concistoro dei cardinali, in modo del tutto inaspettato, pronuncia un testo in latino di appena 1700 battute che avrebbero cambiato la storia.
In questa Declaratio, punteggiata da alcuni errori di latino e varie imperfezioni stilistiche, inspiegabili per un sommo latinista come Ratzinger, il papa annunciava che, dalle ore 20 del 28 febbraio avrebbe rinunciato al suo ministero in modo che la sede di Roma rimanesse vacante.
Questa almeno è stata la traduzione in italiano, e in altre lingue volgari, che ci è stata trasmessa. In realtà le cose stanno molto diversamente e lo si deve proprio grazie al latino.
Sulla Declaratio si discute da dieci anni perché, intesa come abdicazione, presenta tre enormi problematiche giuridiche. In primis, il fatto che la rinuncia sia stata differita di 17 giorni, ma l’abdicazione del papa, così come la sua elezione, è un atto giuridico puro e deve essere simultaneo dato che è Dio che concede, o ritira l’investitura di successore di San Pietro, il cosiddetto munus petrino, e certo a Dio non si possono dare incarichi a scadenza.
La seconda problematica riguarda proprio il munus: il codice di diritto canonico al canone 332.2 prevede che il papa possa abdicare, ma rinunciando al munus petrino, cioè, al titolo concesso da Dio: in breve, deve rinunciare all’essere papa. Benedetto XVI, invece, nella versione latina della sua Declaratio – l’unica a fare testo - dichiara di rinunciare al ministerium, al fare il papa, all’esercizio del potere che deriva dal munus. Questa differenza, in italiano e nelle altre lingue non si apprezza perché sia munus che ministerium, vengono tradotti con la stessa parola: “ministero”.
Eppure rinunciare all’uno piuttosto che all’altro può comportare conseguenze giuridiche devastanti.
Qualsiasi sinonimia tra munus e ministerium è totalmente da escludersi, sia perché in tutto il diritto canonico, il ministerium, oggetto della rinuncia, indica sempre e solo “fare”, esercitare una carica, sia perché papa Benedetto specifica nella Declaratio che quel ministerium gli è stato concesso “per manus cardinalium”, dai cardinali, i quali possono conferire al neoeletto papa solo l’autorità per FARE il papa, appunto, mentre il munus è concesso da Dio stesso al momento dell’elezione.
Quindi, papa Benedetto, da che per abdicare doveva rinunciare al munus in modo simultaneo, ha fatto l’esatto opposto, ha rinunciato al ministerium in modo differito. Ancora una volta abbiamo la conferma che LA DECLARATIO NON È UN ATTO DI ABDICAZIONE.
C’è infine il terzo mistero da chiarire, il papa non può canonicamente separare il ministerium dal munus.
Questo avviene però, di fatto, solo in un caso: LA SEDE TOTALMENTE IMPEDITA: l’alternativa alla sede vacante, quando il papa non è morto né abdicatario, ma prigioniero, confinato, esiliato: in questo caso, il papa mantiene il munus, l’essere papa, ma viene forzatamente privato del ministerium, della possibilità di fare il papa.
In breve: se il papa perde canonicamente il munus, c’è la sede vacante, se il papa perde forzatamente il ministerium, c’è la sede totalmente impedita.
Ed ecco che mettendo insieme questi tre elementi misteriosi della Declaratio, si chiarisce perfettamente cos’ha fatto papa Benedetto. La chiave è nell’orario di decorrenza della rinuncia al ministerium che viene indicato come le ore 20.00 del 28 febbraio, ma in latino, papa Benedetto parla di hora vicesima.
Ascoltiamolo QUI al min. 7.50.
Si tratta dell’orario romano, tradizionale in Italia e nei Territori pontifici fin dal Medioevo, per il quale il conteggio delle ore non comincia da mezzanotte, ma dal tramonto. Il 28 febbraio 2013, il sole tramontava alle 18.00, quindi basta aggiungere altre venti ore e troviamo precisamente la vicesima hora del 28 febbraio, che corrisponde secondo il nostro orario alle ore 13.00 del 1° marzo.
Ma cosa era appena successo in quell’orario?
Dovete sapere che il bollettino vaticano esce sempre fra le 12.00 e le 13.00. In quel primo marzo, alle 12.30, il cardinale decano Angelo Sodano convoca tramite bollettino il nuovo conclave, mentre papa Benedetto non è abdicatario. Il conclave è quindi illegittimo e produce un colpo di stato che manda automaticamente Benedetto XVI in sede totalmente impedita, lo status di cui abbiamo parlato, che lo priva del ministerium. Del resto, come è possibile immaginare un papa più impedito di quello che si vede eleggere un altro papa al posto suo mentre egli è ancora regnante?
Per questo Benedetto ha mantenuto il nome pontificale, la veste bianca, la benedizione apostolica e la residenza in Vaticano.
Non per nulla, farà dire da mons. Gaenswein, all’università Lumsa: “Se non credete, la risposta si trova nel libro di Geremia”, dove, guarda caso, si legge questa frase unica in tutta la Bibbia: IO SONO IMPEDITO. QUI
Ed ecco che si chiarisce l’inspiegabile differimento della inspiegabile rinuncia al ministerium: l’11 febbraio 2013 papa Benedetto aveva previsto, profetizzato, che i cardinali, travisando la Declaratio dalle traduzioni, inconsapevolmente avrebbero convocato un conclave abusivo tale da mandarlo in sede impedita e da privarlo del ministerium. La sua rinuncia al ministerium diventa così effettiva, fattuale, proprio dall’hora vicesima del 28 febbraio, ovvero per le 13.00 del 1° marzo, ora in cui non sarebbe stato più il “pontefice sommo”, come disse dal balcone di Castel Gandolfo invertendo il titolo di Sommo Pontefice: non sarebbe stato più il pontefice al sommo grado, dato che avrebbero eletto un altro papa - illegittimo – che avrebbe governato al suo posto.
Quindi, in sostanza, la rinuncia di papa Benedetto è stata ANNUNCIATA E POI SUBITA a causa di forza maggiore.
E allora come si spiega quella frase della Declaratio, “in modo che la sede di Roma la sede di San Pietro resti vacante”?
La traduzione è sbagliata, sia perché la rinuncia al ministerium non produce sede vacante, ma soprattutto perché il verbo latino vacet si traduce alla lettera come “sede vuota, sgombra, libera”. Infatti papa Benedetto ha lasciato vuota la sua sede, cioè la cattedra di vescovo di Roma in Laterano, da dove formalmente ogni Papa trae legittimità per esercitare il proprio governo, e non ci è più tornato.
Così, ancora, il prossimo conclave per l’elezione di nuovo Sommo Pontefice, alla sua morte, dovrà essere eletto “da questi (his) a cui compete”, cioè solo i veri cardinali pre 2013.
Così Benedetto diventa papa emerito, ovvero papa impedito. La similitudine col vescovo emerito, il vescovo in pensione, è solo apparente. Infatti, pur mantenendo il munus legato alla propria Sede, il vescovo canonicamente può andare in pensione a 75 anni, perdendo il ministerium.
Questo per il papa si può realizzare solo forzatamente, per impedimento, perché il munus del papa, l’essere papa, non può essere condiviso con nessuno. Per questo Benedetto diceva “il papa E’ uno solo”. Ed era lui stesso.
Con questo geniale sistema canonico, Benedetto ha fatto sì che grazie a questa sua detronizzazione e prigionia, da lui stesso indotta e realizzata dai cardinali inconsapevolmente, potesse rimanere l’unico vero papa, depositario del munus petrino, scismando i suoi nemici eretici che volevano toglierlo di mezzo, e facendo in modo che qualsiasi altro papa venisse eletto, lui vivente, non fosse un vero papa.
Il presunto papa Francesco è, quindi, un antipapa e, come tale, il suo pontificato deve essere annullato.
Questa è la realtà canonica: vi sono, inoltre, una miriade di gesti e dichiarazioni di Benedetto XVI che confermano in modo logico questa realtà, e non bisogna farsi fuorviare dall’apparente concordia fra i due biancovestiti. QUI Lo stesso papa Ratzinger scriveva che la sua “amicizia personale” con Francesco era cresciuta: una amicizia personale, cioè solo, sua, monodirezionale. Benedetto XVI, ultimo Vicario di Cristo, dava compimento perfetto al comandamento di Gesù: “Ama il tuo nemico e prega per il tuo persecutore”. In tutti questi anni, egli ha voluto che si separassero i credenti dai non credenti, come lui stesso dichiarò all’Herder Korrespondenz, e che le pecore riconoscessero a fiuto il vero pastore, rinnovando la fede e fortificando il papato.
Oggi il problema è comunicare ai cardinali come sono andate queste specialissime dimissioni di papa Benedetto che hanno portato la chiesa in uno stato di sospensione giuridica, di pontificato d’eccezione, da dieci anni a questa parte.
Prescrive infatti il canone 335: “Quando la sede romana è vacante o totalmente impedita, nulla si cambi nel governo della chiesa”.
Attualmente, la nostra inchiesta giornalistica viene censurata dai social e dal mainstream, mobbizzata e ostracizzata perfino da certo mondo tradizionalista che ha interessi a mantenere lo status quo.
Ma il rischio è enorme: se il prossimo conclave comprenderà anche solo uno degli 81 cardinali invalidi nominati dall’antipapa Francesco, verrà eletto un altro antipapa, ancora privo del munus, e quindi, in ottica di fede, privo dell’assistenza dello Spirito Santo. Questo comporterebbe la fine della chiesa canonica visibile, con la prosecuzione della linea successoria antipapale di Bergoglio. Per questo Benedetto, quando Seewald gli chiedeva se egli potesse essere l’ultimo papa per come lo conosciamo rispose: “Tutto può essere”.
Come risolvere la questione? Occorre subito un’inchiesta canonica promossa dal collegio cardinalizio, senza timori. Del resto, se Bergoglio sanzionasse un cardinale che volesse solo fare chiarezza, ammetterebbe implicitamente di non avere le carte in regola.
In modo ancora più facile, basterebbe gridare la verità al mondo intero, spiegarla, e l’antipapa sarebbe costretto ad abbandonare il trono
Subito dopo, bisognerà convocare un nuovo conclave con veri cardinali di nomina pre 2013: si è già in ritardo, il termine previsto per la convocazione del conclave era al 20 gennaio 2023. La Chiesa è senza guida, senza papa: dopo nove anni di sede impedita, siamo attualmente in sede vacante.
Ci sono voluti dieci anni, ma la verità, dice S. Agostino, è come un leone: una volta liberata, si difende da sola.