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Da cripta a museo: il capolavoro dell'architetto Pagnano a Militello in Val di Catania

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Calici, pissidi, ostensori, navicelle, turiboli preziosamente sbalzati in argento, e ancora statue di santi in tela incollata, pianete e pivali finemente ricamati in canutiglia d’oro, angeli di legno, stemmi, epigrafi e un Cristo morto scolpito nel calcare che sembra tratto proprio dalla Sindone.  Oggetti preziosi e di inestimabile bellezza dal ‘400 all’800 provenienti da otto chiese dei dintorni sono raccolti nel Museo di Arte Sacra di San Nicolò, a Militello in Val di Catania.

Molti di questi vengono ancora adoperati durante le cerimonie religiose più tradizionali; nel frattempo sono custoditi in questa galleria sotterranea che occupa i locali della antica cripta. Visitare il museo è una vera immersione nella scoperta di Militello, centro distrutto dal terremoto del 1693 e poi risorto sugli stessi luoghi con una ricchezza che lo rende uno dei paesi più importanti del barocco in Val di Noto. Per il grande valore del suo patrimonio monumentale, Militello nel 2002 è stata inserita, insieme ad altre sette città tardo barocche, nella lista dei siti dichiarati dall'UNESCO Patrimonio dell'umanità.

Fu per caso che, nel 1981, questi ambienti ipogei vennero alla luce durante il restauro dell’altar maggiore; liberati dalla terra con cui erano stati riempiti, con l’opera volontaria dei cittadini, sono stati poi trasformati dall’architetto Giuseppe Pagnano, tra i più stimati docenti dell’Università di Catania, in un progetto museografico di grande effetto.

Non a caso, il prof. Pagnano era allievo di Carlo Scarpa uno dei più grandi architetti e designer del ‘900. Si riconosce lo stile del maestro nell’uso gentile di materiali poveri come il ferro, il cemento armato, lo stucco di polvere di marmo che valorizzano e incorniciano lapidi e sculture, riadattano nicchie, allestiscono vetrine con lineare assertività ed eleganza.

Ma il tocco del catanese Pagnano è forse più passionale e fantasioso del maestro veneto, come si nota in una sorta di sfera armillare di ferro che, ruotandola, consente di apprezzare uno scudo araldico in marmo sul cui retro, a rovescio, è stata scolpita una natività.

Così assumono particolare rilievo gli oggetti realizzati in argento e spesso impreziositi da decorazioni d’oro e castoni di pietre dure, che venivano utilizzati durante le cerimonie liturgiche solenni. Essi sono esposti con un assetto, per lo più, definitivo, che ne sottolinea la provenienza.

I materiali scultorei, i quadri, i paramenti liturgici e gli altri manufatti sono esposti sulla base di un criterio tipologico ancora non compiuto. Questo perché il Museo, inaugurato un quarantennio fa grazie alla vivacità e all’intraprendenza del parroco Biagio Giuseppe Bellino, è un organismo ancora in via di sviluppo.

Il Museo offre l’opportunità di conoscere la storia del potere religioso e politico della Militello pre e post il devastante terremoto del 1693 che distrusse parte della Sicilia sud orientale. Attraverso i preziosi corredi e i manufatti è possibile ricostruire non solo la storia della chiesa locale,  ma anche quella delle famiglie che segnarono le scelte politiche della città.

Tra queste, la famiglia Barresi e quella dei Branciforte, così chiamata perché il capostipite, in guerra, pur mutilato di entrambe le mani, pare fosse comunque riuscito a trattenere l’asta porta bandiera senza farla cadere in mani nemiche.

Questa famiglia, tra Cinque e Seicento, proiettò Militello in un circuito culturale e politico di ampio respiro, a livello europeo, soprattutto grazie a don Francesco Branciforte e a sua moglie donna Giovanna d’Austria, figlia di don Giovanni, il vincitore di Lepanto, e nipote di Carlo V d’Asburgo.

Durante il loro governo la città si arricchì di nuovi edifici e fondazioni: la nuova ala del castello, chiese, monasteri, palazzi per l'amministrazione, fontane pubbliche, una grande biblioteca e una stamperia tra le prime del Regno di Sicilia, dove nel 1617 fu pubblicato il trattato Il gioco de gli scacchi di Pietro Carrera, importante testo di riferimento della scacchistica moderna (famoso per la cosiddetta difesa siciliana). Fra le fondazioni più importanti di Francesco Branciforte va menzionato il grandioso monastero di San Benedetto (1616), vero cuore pulsante della vita economica e culturale della città.

Tra le famiglie piuttosto potenti del notabilato, che si affermarono dopo la caduta del regime feudale, quella dei Majorana, da cui provenne Ettore, il professore di fisica del gruppo dei “Ragazzi di Via Panisperna” misteriosamente scomparso nel 1938.

 

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