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Come Raspùtin tentò di salvare la Russia e lo Zar. La sua profezia su Roma

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Leggendo nel grande libro della Storia, a volte, si ha l’irritante sensazione che vi sia stato un errore, come se mancasse una pagina: incoerenze logiche tra fatti oggettivi e stereotipi consolidati.

Una di queste spiacevoli sorprese riguarda la figura di Grigórij Efímovič Raspútin, il monaco russo icona dell’”eminenza grigia manipolatrice, perversa, dissoluta e malefica” che aveva plagiato la famiglia Romanov.

Sperando di non finire in una lista di proscrizione per giornalisti filo Ras-putin, scopriamo che il vero, enorme danno per il mondo fu che lo starec (nome dei mistici ortodossi) non fosse riuscito a manipolare fino in fondo la famiglia dello Zar: l’umanità si sarebbe risparmiata una 90ina di milioni di morti e atroci sofferenze di interi popoli per quasi un secolo.

L’immortale canzone dei Boney M. (1978) ben descrive il monaco: “Egli era grande e forte, nei suoi occhi un bagliore fiammeggiante, la maggior parte delle persone lo guardavano con terrore e paura, ma con le giovani donne di Mosca era così gentile”…

Il suo aspetto diede sempre adito ai nemici per dipingerlo in modo oscuro: la posa ieratica, il saio nero, lo sguardo magnetico creavano un contrasto esplosivo con la fama di donnaiolo. Fin da giovane, dimostrò inclinazione verso alcolismo ed erotomania, due vizi dai quali non seppe emendarsi nemmeno dopo la conversione che fece di lui un predicatore seguitissimo e circondato dalla nomea di taumaturgo.

Pare avesse capacità pranoterapeutiche, ma se vogliamo adeguarci allo scetticismo dogmatico di un Piero Angela, di sicuro riusciva a creare nei malati un effetto placebo così potente da sortire effettive guarigioni. Tale fama gli procurò l’attenzione della Zarina Alice d’Assia, devastata per l’emofilia del figlio piccolo Aleksej. Raspùtin allontanò i medicastri dal principino e, con essi, l’aspirina che, come anticoagulante, era la sostanza peggiore che potessero somministrare a un bambino cui bastava una sbucciatura per dissanguarsi. Lo zarevic migliorò subito; cuore di mamma, la Zarina ovviamente divenne dipendente dal monaco tanto da far malignare su una loro presunta relazione, ma lettere affettuosissime erano recapitate al “maestro” anche dalle quattro figlie di Alice, dalla giovane Olga fino alla piccola Anastasija, di otto anni. A meno di non considerare Raspùtin tanto stupido da abusare di tutte loro, tali sentimenti si devono considerare intrisi di spirituale entusiasmo e aristocratica ingenuità.

I pettegolezzi furono, peraltro, diffusi dal monaco Iliodoro, omosessuale, nemico di Raspùtin che detestava nel confratello l’esercizio di una virilità esuberante, derivato – forse - da una giovanile frequentazione nella setta dei Chlysty, per i quali il rito orgiastico era via di elevazione spirituale. Omosessuale era anche il principe Jusupov, autore del suo laborioso assassinio: per uccidere Raspùtin non bastarono cianuro, coltellate, revolverate e si dice che solo l’assideramento, quando fu gettato nella Neva, ebbe la meglio sulla sua potente forza vitale. Anche questa apparente “immortalità” alimentò la leggenda nera: insomma, in troppi lo odiavano e così tanto da seppellirlo con una valanga di maldicenze.

Eppure, i Romanov avevano in lui un vero nume tutelare. Nicola II era un debole, controllato dalla fragile moglie; una delle poche decisioni che prese da solo fu un errore immane: entrare nella Grande Guerra con un paese arretrato sul piano sociale, economico e tecnico-militare. Risultato: 3,5 milioni di morti fra militari e civili. Morto Raspùtin nel 1916, con il crollo del fronte interno, la Rivoluzione d’Ottobre fece il resto, fucilando l’intera famiglia Romanov (17 luglio 1918), ponendo fine allo zarismo, e regalando al mondo i circa 90 milioni di morti del Comunismo spacchettati tra Urss, Cina, Vietnam, Corea, Cambogia Europa dell’est e rotti.

 

Eppure Raspùtin, che conosceva bene il mondo contadino, aveva tentato disperatamente di dissuadere Nicola II, prima e dopo la firma, implorandolo di salvare dal conflitto un popolo che aveva già sopportato la schiavitù, la sferza dei padroni, la speculazione agraria, la carestia, il disastro della guerra russo-giapponese (1905). Fin dai primi sentori di guerra, nel ’14, il monaco guaritore inviò allo Zar questo telegramma: "Se la Russia va in guerra, sarà la fine della monarchia, dei Romanov e delle istituzioni russe". E così fu.

Ma pochi sanno che un’altra profezia del mistico ortodosso riguarda proprio Roma: "Nella notte dell’uomo bruciato, il sangue scorrerà a fiumi nella Roma dei papi e dei lestofanti. Il popolo uscirà sulle piazze accecato da un odio covato da tanto tempo e sulle picche lorde di sangue vedrete le teste dei politici, dei nobili e del clero. Il corpo di un uomo venerando sarà trascinato per le strade di Roma da un cavallo bianco e sulle strade rimarrà l’impronta del suo sangue e i lembi della sua pelle. Solo allora si scoprirà che l’uomo venerando era un serpente. E morirà come muoiono i serpenti. In questa notte di sangue e di magia le stelle cambieranno luce: quelli che indossavano l’abito della delinquenza indosseranno l’abito della giustizia e quelli che erano giusti diventeranno ingiusti”.  

Dunque pare che, a Roma, (un 17 febbraio, data del rogo di Bruno?), qualche anziano maligno sarà smascherato, perderà la propria pelle (abito?) e ci sarà una presa di coscienza collettiva e traumatica. Chissà di chi si tratta … Ma forse, come già fu per Nicola II, anche stavolta nessuno prenderà in considerazione l’avvertimento del monaco barbuto. E tutto andrà come deve andare.

 

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