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Ratzinger si ispirò al diritto dei principi tedeschi per il sistema antiusurpazione munus/ministerium

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Quasi un anno fa, avevamo avanzato QUI  l’ipotesi che il cosiddetto “Piano B” canonico fosse stato preparato – secondo un sistema “a specchio” - almeno 40 anni fa dal card. Ratzinger in accordo con papa Giovanni Paolo II. Oggi scopriamo che ci avevamo azzeccato: la conferma ci arriva da uno dei quattro/cinque studiosi esistenti al mondo di DIRITTO DINASTICO UNIVERSALE: Benedetto XVI importò nel diritto canonico della Chiesa la fondamentale dicotomia munus/ministerium traendola dal DIRITTO DINASTICO DEI PRINCIPI TEDESCHI (il cosiddetto Fürstenrecht). Un eccellente sistema antiusurpazione.

Prima di allora, per rinunciare al pontificato, bastava che il papa rinunciasse all’ufficio papale.

Dal 1983, il card. Ratzinger e papa Wojtyla apportarono uno strano cambiamento al diritto canonico.: l’ufficio papale venne suddiviso in due enti, il munus (titolo divino) e il ministerium (esercizio del potere). Rinunciando a questo o a quello, si configurano due situazioni speculari e radicalmente diverse. Se il papa rinuncia in modo simultaneo e ratificato al munus, c’è la sua ABDICAZIONE (canone 332.2). Se rinuncia in modo differito e non ratificato al ministerium (come ha fatto Benedetto XVI) si ricade nella SEDE IMPEDITA (canone 412), dove il Papa è prigioniero, confinato, non libero di esprimersi, ma resta Papa a tutti gli effetti.

Tra munus e ministerium non c’è transitività: un papa può essere privato forzatamente del potere pratico (ministerium), magari da un golpe o da nemici esterni, ma resta sempre papa, mentre chi detiene solo il potere pratico papale, non acquisisce automaticamente il munus, il titolo di papa.

Un sistema A SPECCHIO dove c’è un soggetto, il munus, che ha come suo “riflesso” il ministerium, ma dove il secondo non può sussistere legalmente senza il primo.

Secondo il nostro precedente articolo l’ispirazione “mistica”, diciamo, fu dovuta al Terzo Segreto di Fatima, dove si legge, appunto di un vescovo vestito di bianco visto allo specchio. QUI

Ma oggi scopriamo che tale distinzione fra titolo e funzioni proviene inequivocabilmente dal diritto dinastico dei principi tedeschi (e non solo), che Joseph Ratzinger, soprattutto come bavarese, non poteva non conoscere. Nel ‘600, infatti, dopo l’usurpazione del trono inglese (1558) da parte della protestante Elisabetta I (figlia di Enrico VIII) ai danni della cattolica Maria Stuart, (legittima erede al trono), in Europa si corse ai ripari codificando una distinzione fra il titolo dinastico e la possibilità di esercitare il potere.

Così, nell'800 soprattutto, abbiamo diverse rinunce al munus sottoscritte da vari arciduchi della famiglia imperiale austriaca oppure, parzialmente, ad alcuni diritti dinastici.

Al contrario, dopo la Grande Guerra, l’imperatore asburgico Carlo I non rinunciò mai al suo munus e fu esiliato, per privarlo fattualmente anche del suo potere pratico, ossia il suo ministerium.

Qualcosa del genere (vedasi approfondimento) avvenne anche per la Monarchia italiana, dato che nemmeno Umberto II di Savoia rinunciò al munus. Tra questi vari esempi, fra Austria e Italia, Joseph Ratzinger non poteva non conoscere tale sistema antiusurpazione e, secondo il nostro studioso, prudentemente, consigliò a Giovanni Paolo II di introdurlo nel diritto canonico, con gli effetti che oggi conosciamo. Infatti, Benedetto XVI resta oggi l’unico papa legittimo, quello “emerito”, una qualifica puramente nominale (non giuridica) dal verbo latino emereo che specifica quale sia, fra i due biancovestiti, colui che “ha diritto”, che “merita” di essere papa. Per questo, papa Benedetto ripete da otto anni “Il papa è uno solo”, senza mai spiegare quale sia. QUI Ma tutti fanno finta di niente. Non importa: i nodi verranno comunque al pettine.

Ad illuminarci su questa fondamentale e delicata questione è Andrea Borella: come dicevamo, uno dei pochissimi studiosi al mondo di diritto dinastico, araldista, genealogista, curatore e direttore, da oltre 20 anni, del prestigioso “Annuario della Nobiltà italianaQUI (periodico che, all’incirca ogni tre-quattro anni, viene pubblicato ed aggiornato in enormi volumi meticolosamente compilati), nonché direttore e fondatore di altri repertori dedicati alle famiglie reali e aristocratiche nel mondo, oltreché docente di diritto dinastico e successoriale, di araldica ed araldica ecclesiastica, per vari anni, in un master di perfezionamento post universitario presso una università pontificia. La prima parte dei volumi da lui diretti è proprio dedicata al diritto dinastico delle Case Reali già sovrane negli antichi stati italiani, unico caso al mondo.

Per chi volesse approfondire, ecco la spiegazione “tecnica” gentilmente offerta dallo studioso.

“Nella vostra inchiesta avete colto nel segno: nell’ambito delle Case Reali, sovrane o deposte, e specialmente in ambito tedesco, ossia nel “diritto principesco” com’è chiamato nei paesi di lingua tedesca, esiste tale dualismo tra titolo ed esercizio del potere: esso è ben noto da secoli. Nelle Case Principesche si può rinunciare al Trono o all'esercizio dei diritti politici restando però membri di una Casa Reale e detenendo talvolta (dipende dalle dinastie, che hanno ciascuna un proprio diritto dinastico) il titolo regale o i diritti dinastici. Tale branca del diritto si chiama appunto, in tedesco, "Fürstenrecht", cioè “Diritto dei principi”. Tale distinzione esiste, nei fatti, dai tempi più antichi, esattamente come avveniva nel caso della figura del Papa, che è sovrano di una Monarchia assoluta teocratica elettiva, una forma di governo di per sé rarissima.

Le origini e gli scopi

La suddivisione tra munus e ministerium, e la precisazione dei diritti dinastici con quelli politici di successione al Trono, venne codificata, in ambito tedesco, poco prima del ‘600: erano tutti preoccupati dall’usurpazione del trono inglese da parte della protestante Elisabetta I, figlia illegittima di Enrico VIII, ai danni della cattolica Maria Stuart, Regina deposta di Scozia (poi giustiziata) di mezzo secolo prima, ed erano soprattutto spaventati della possibile ripresa dei devastanti - e sanguinosissimi - scontri militari, politici, civili che si susseguirono dopo la spaccatura confessionale avvenuta a seguito della Riforma protestante (1517-1555) e dello Scisma anglicano (1534).

E’ da ricordare come le Case Reali sono sovente imparentate fra loro e, talvolta, eredi l’una dell’altra in caso di estinzione di una Casa, specie in ambito tedesco: ciò è quanto prevedevano le primitive leggi dinastiche, non codificate, adottate di fatto dalle Case Reali prima della riforma protestante.

Con la divisione tra Case reali rimaste nella fede cattolica romana e quelle divenute protestanti fu necessario impedire che una Casa reale cattolica potesse diventare erede di un trono protestante, e viceversa. Sempre nel medesimo periodo si rese altresì necessario distinguere fra il diritto ad essere Capo della Casa principesca, ossia reale, e il diritto a governare. In altre parole, si specificarono e fissarono i concetti di munus e di ministerium, stesso concetto ripreso da Ratzinger e codificato per iscritto nel nuovo Codice di Diritto Canonico quattrocento anni dopo per la successione al Trono petrino.

Ad ogni buon conto, la codificazione delle leggi dinastiche in forma scritta, la suddivisione e la precisazione dei concetti di munus e di ministerium è sempre avvenuta in PERIODI DI CRISI O DI TIMORE DI DANNI IRREPARABILI PER LA DINASTIA e, quindi, per la successione al Trono: come mostra la storia delle Case Reali imbrigliare i poteri di monarchi assoluti in Codici o Leggi Dinastiche risponde sempre all’esigenza di evitare un GRAVE PERICOLO IMMINENTE o ragionevolmente temibile per il futuro.

Tra lingua latina e tedesca

Non deve meravigliare perciò la mossa del 1983 di Ratzinger, vera anima di questa riforma del diritto canonico, riforma anche inerente proprio l’elezione del Papa e la dualità dei diritti residenti in tale Figura. Ratzinger è una mente limpida accesa da un’intelligenza fuori dal comune, che ebbe chiaro pensiero e saggio agire nel voler prevedere questo quasi quaranta anni fa.

Peraltro, anche in molti documenti dinastici tedeschi, si usa il LATINO perché è l’unica lingua che NON AMMETTE FRAINTENDIMENTI nei costrutti giuridico-teorici astratti e che, come precisione, viene subito prima dello stesso tedesco, concetti giuridici che, in altre lingue - - possono essere tradotti approssimativamente e con difficoltà, sovente, solo grazie a lunghe perifrasi. Viceversa, il latino e il tedesco sono lingue padroneggiate perfettamente da Ratzinger, bavarese di nascita, latinista per studi.

Un sistema “a specchio”

Nella persona del Papa risiede normalmente sia il munus che il ministerium, ossia si tratta di figura o persona composita, esattamente come quella di un qualunque sovrano che sia anche capo della sua Dinastia: una persona, apparentemente senza potere, è in realtà la più forte poiché da questa dipende quella che esercita il potere temporale. Eccezionalmente questi poteri, o podestà particolarissime, possono essere però separate (come nel caso di un’usurpazione).

E’ in effetti un sistema a specchio, come avete individuato. Per fare una similitudine: il detentore del munus nel caso del Papa, che si palesa con il titolo di Vicario di Cristo, è la fiamma ardente della lampada nascosta dietro un angolo, celata alla vista diretta, sconosciuta ai più, l’altra, il ministerium, è la luce della fiamma originale che si riflette, attenuata, in uno specchio posto in altro luogo: tale riflesso è ben visibile e spande la luce, benché in modo meno brillante.

La seconda fiamma, meno fulgida ancorché luminosa ed illuminante, frutto della rifrazione dello specchio, non può dare luce senza la prima ed anzi, senza di essa, neppure esisterebbe: è solo una immagine creata dallo specchio, ossia dalle leggi civili (temporali) e non direttamente dalla fiamma della lampada che è la sua causa, la sua origine vera.   

Tutto quanto ho detto – conclude Borella – dimostra ancora una volta la superiore, eccezionale capacità  dispiegata, quale finissimo giurista, dall’allora Cardinale Ratzinger, nel prevedere fatti ed eventi e nell’adattare, alla peculiarissima natura del Trono Petrino, una variante dei vari diritti dinastici e successoriali elaborato per i Troni laici nei secoli passati.

Alcuni esempi storici in area germanica

A tal proposito, abbiamo l’esempio della casa dei Re di Baviera, già duchi sovrani di Baviera: dopo l’annessione alla Germania, i Wittelsbach decisero di rinunciare al loro ministerium, cioè alle loro pretese al trono, tanto che oggi vivono ancora in Baviera, ricchissimi e indisturbati. Ludovico III di Baviera, ultimo sovrano regnante in Baviera, fu il primo dei monarchi tedeschi a venire ufficialmente destituito: il 12 novembre 1918 il re rinunciava per iscritto ufficialmente a tutte le sue prerogative statali, civili e militari restando però Capo della Dinastia. Altre case principesche tedesche, invece, si sentirono usurpate nel loro “ministerium” dall’unificazione bismarckiana e degli eventi avvenuti in Germania dopo il 1918: non tutti i prìncipi vollero firmare le rinunce, non accettarono mai di smettere di pretendere alle loro prerogative dinastiche (munus) e di pretesa al Trono (ministerium).   

Basti ricordare, ad esempio, il caso dell’imperatore (beato) Carlo I d’Asburgo: nel 1919 egli giammai abdicò,  mai rinunciò al suo “munus”: dovette solo rinunciare – obtorto collo e solo di fatto – al diritto a governare ed anche per questo fu mandato in esilio, ove morì: a lui venne persino negata (anche se non ce ne sarebbe stato bisogno)  la facoltà di rinunciare alle sue pretese al Trono.

Peraltro è ormai fatto accettato dalla maggioranza degli storici che la sua firma in calce al documento di abdicazione, peraltro mostrato non in forma canonica né autentica, fu falsificata e fu sempre disconosciuto pubblicamente da Carlo I: basterebbe, del resto, osservare il comportamento dell’Imperatore esiliato per sincerarsene.

Il sistema dinastico anti-usurpazione, germanico e non, faceva in modo che se qualcuno avesse esercitato il potere senza averne diritti dinastici sarebbe divenuto di fatto un usurpatore o un dittatore. Era così efficace che la neonata Repubblica austriaca, uno degli stati successori della disciolta monarchia dell’Austria-Ungheria dovette inserire una apposita legge, la cosiddetta “Legge Asburgo” (3 aprile 1919) nella sua Costituzione: tale legge, per una sua maggiore efficacia, nella sua applicazione incorporava concetti propri del diritto dinastico asburgico allo scopo di eliminare qualsiasi pretendente al trono e quindi il pericolo di una restaurazione monarchica: tale legge, benché quasi del tutto inapplicabile, è tuttora in vigore nella Repubblica Austriaca e prevedeva, tra le altre cose, l’esilio per gli arciduchi (principi) non rinunciatari alle pretese politiche e dinastiche.

Inoltre è appena il caso di ricordare che le leggi dinastiche, essendo leggi interne alla Casa e non dello Stato, operano a prescindere dal periodo di regno o meno di una Casa Reale: esse presentano molte particolarità che ricordano da vicino l’attuale situazione del Trono Petrino.

Il caso nella Monarchia italiana

Re Umberto II, ultimo monarca d’Italia, andò in esilio: Sua Maestà il Re Umberto non rinunciò mai né al munus (titolo di Capo della Casa) né al ministerium (governo), rinunciando spontaneamente alla guida della Nazione italiana per favorire la pacificazione nazionale. Morì quindi da Re, in esilio, spodestato dal suo Trono, nella pienezza del suo munus e con l’impedimento al suo ministerium, mai riconoscendo la Repubblica. Giorni prima, Umberto II, nel considerare la legittimità della monarchia come forma di regime di una nazione nei confronti del risultato referendario, aveva detto: «La Repubblica si può reggere col 51%, la Monarchia no. La Monarchia non è un partito. È un istituto mistico, irrazionale, capace di suscitare negli uomini incredibile volontà di sacrificio. Deve essere un simbolo caro o non è nulla.» Con queste parole ben si capisce come nella figura laica del Capo della Real Casa risieda anche una Persona mistica, accostabile, per certi aspetti a quella mistica e religiosa del Papa come Sommo pontefice della Chiesa Cattolica.

Prima di ascendere al Trono lo stesso futuro Re Umberto, il 12 aprile 1944, venne nominato dal Re suo padre, Vittorio Emanuele III, luogotenente a liberazione della Capitale avvenuta. Infatti il 5 giugno del 1944 Vittorio Emanuele III nominò il figlio luogotenente generale del Regno, in base agli accordi tra le varie forze politiche che formavano il Comitato di Liberazione Nazionale, e che prevedevano di «congelare» la questione istituzionale fino al termine del conflitto: è una data che segna il passaggio dell’esercizio dei poteri dal re al figlio Umberto, che così esercitò le prerogative del sovrano dal Quirinale, senza tuttavia possedere la dignità di re, con Vittorio Emanuele che rimase a vita privata a Salerno conservandone cioè, per dirla con altre parole, il munus ed il ministerium, anche se quest’ultimo era esercitato, nella pratica, dal figlio, restato principe ereditario, nella sua veste di “Luogotenente del Regno”.

Il 9 maggio 1946 vi fu l’abdicazione di Re Vittorio Emanuele III con la quale egli rinunciò formalmente al titolo di re (ossia al ministerium per dirla in termini canonici), a favore del figlio Umberto II, che già rivestiva il ruolo di luogotenente del regno e che esercitava di fatto il potere per mandato paterno (ossia il ministerium) dal 1944. Re Vittorio Emanuele III non uscì dalla Casa Reale ma assunse, pubblicamente, il titolo di Conte di Pollenzo, andò in esilio in Egitto e detenne, finché visse, il titolo di Capo della Real Casa (ossia il munus), al quale mai rinunciò.

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