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Monsignor Gaenswein in Codice Ratzinger: c'è un papa legittimo e uno illegittimo. Il vero significato di "papa emerito"

Finalmente decrittato un misterioso discorso del 2016

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Semplicemente straordinario. Mentre Netflix e la tv sparano furiose cannonate propagandistiche per coprire l’antipapato di Bergoglio in affondamento, si avvicina Natale e tutto si svela (per chi crede) sotto i raggi della “Luce del Mondo”.

Oggi siamo in grado di interpretare correttamente un misterioso discorso (affidato, all'epoca, opportunamente, all’agenzia cattolica Acistampa QUI) pronunciato da Mons. Gänswein il 21 maggio 2016. Il segretario del papa presentava un libro su Benedetto XVI di don Roberto Regoli il quale giustamente si chiedeva QUI come mai non fosse stata prevista una normativa canonica per regolamentare l'istituzione del Papa emerito: “È una lacuna di non poco conto, soprattutto quando dalla teoria della dottrina canonistica si è passati a un caso concreto. Non riesco a trovare ragioni per una tale omissione, che sarebbe da colmare”.

Vi chiariremo anche questo, se avrete la pazienza di seguirci.

Ma torniamo a bomba: l'avv. Estefania Acosta ci manda il commento dello stesso Gaenswein  QUI sul suo discorso di presentazione: “Quando le fonti sono accessibili L'INTERO MOSAICO diventerà sempre più CHIARO. PER ADESSO CI SONO DIVERSI PEZZI DEL MOSAICO che si possono vedere IN UN MODO O NELL'ALTRO”.

Ed è esattamente quello che ripetiamo da diversi mesi, l’uso di anfibolie nel "Codice Ratzinger", QUI cioè frasi che possono essere interpretate in un senso o in un altro e che compongono un MOSAICO, appunto, un puzzle che stiamo ricostruendo.

Eppure, il discorso di presentazione fatto da Mons. Gaenswein, con un chiarissimo intervento di Benedetto XVI, non è molto ambiguo, anzi, è fin troppo esplicito.

Si parla inequivocabilmente di due schieramenti: da un lato, quello della Mafia di San Gallo, che, come ricorda Gaenswein sfruttando la gaffe del 2015 del card. Danneels QUI, era quello che spingeva Bergoglio e, dall’altro, quello del Sale della terra (pro-Ratzinger).

Lo stesso Gaenswein li individua CLAMOROSAMENTE: "Benedetto XVI eletto dopo solo quattro scrutini a seguito di una drammatica lotta tra il cosiddetto “Partito del sale della terra” (“Salt of Earth Party”) intorno ai cardinali López Trujíllo, Ruini, Herranz, Rouco Varela o Medina e il cosiddetto “Gruppo di San Gallo” intorno ai cardinali Danneels, Martini, Silvestrini o Murphy-O’Connor; gruppo che, di recente, lo stesso cardinal Danneels di Bruxelles in modo divertito ha definito come “una specie di mafia-club”. L’elezione era certamente l’esito anche di uno scontro, la cui chiave quasi aveva fornito lo stesso Ratzinger da cardinale decano, nella storica omelia del 18 aprile 2005 in San Pietro; e precisamente lì dove a “una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie” (Mafia) aveva contrapposto un’altra misura: “il Figlio di Dio e vero uomo” come “la misura del vero umanesimo”.  (Sale della terra) Più chiaro di così...

Mons. Gaenswein afferma che per Benedetto XVI la decisione di essere papa è stata IRREVOCABILE. “Trentacinque anni dopo egli non ha abbandonato l’ufficio di Pietro – cosa che gli sarebbe stata del tutto impossibile a seguito della sua accettazione IRREVOCABILE dell’ufficio nell’aprile 2005”. 

Come vedete c’è un’incoerenza, a volerla interpretare in modo politicamente corretto: la sua accettazione dell’ufficio non era irrevocabile per il diritto canonico, dato che c’è l’art. 332.2 che prevede proprio una rinuncia, ma era irrevocabile perché Ratzinger aveva deciso così per se stesso.

C’è infatti grande enfasi sulla svolta storica di Benedetto, definita “di portata millenaria”. Ma dove sarebbe questa portata millenaria in un papa che, “troppo anziano, è andato in pensione”? Mah?

Ce lo spiega Gaenswein in modo INEQUIVOCABILE dicendo: “Come ai tempi di Pietro, anche oggi la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica continua ad avere un unico Papa legittimo. E tuttavia, da tre anni a questa parte, viviamo con due successori di Pietro viventi tra noi – che non sono in rapporto concorrenziale fra loro, e tuttavia entrambi con una presenza straordinaria”.

Che vuol dire? C’è un solo papa legittimo ... ma ci sono due papi. Uhm… Com’è possibile? Ovvio, lo capirebbe anche un bambino: C'E' UN PAPA LEGITTIMO E UN PAPA ILLEGITTIMO! Non sono in concorrenza perché uno è papa e l’altro no.

E il segretario rincara la dose: “Dall’elezione del suo successore Francesco il 13 marzo 2013 non vi sono dunque due papi, ma de facto un ministero allargato – con un membro attivo e un membro contemplativo”. Non vi SONO due papi, cioè uno solo E’ il papa. C’è un MEMBRO che FA il papa senza esserlo (Bergoglio) e uno che lo E’ ed è il solo legittimo papa. Per questo usa la parola indistinta “membro” e usa perfettamente gli ausiliari. Ecco spiegato il mistero del ministero allargato. Non è una questione canonica, ma storico-teologica-escatologica. 

Può usare il termine “successore” perché formalmente Francesco è il successore di Benedetto, ma non è un papa legittimo, è un antipapa non dichiarato (ancora), un membro di questo ministero allargato con papa legittimo e papa illegittimo.

C’è poi un clamoroso “aiutino” canonico di Gaenswein-Ratzinger: “La parola chiave di quella Declaratio è munus petrinum, tradotto – come accade il più delle volte – con “ministero petrino”. E tuttavia, munus, in latino, HA UNA MOLTEPLICITÀ DI SIGNIFICATI: può voler dire servizio, compito, guida o dono, persino prodigio”. Si fa riferimento proprio al fatto che il munus, che è stato tradotto con la parola ministero (così come anche ministerium) è la chiave per capire la sua sede impedita. Come abbiamo già scritto ieri QUI, se munus può avere vari significati, tra cui quello di dono, incarico, titolo, e non solo di esercizio pratico, il ministerium è usato nel diritto canonico SOLO come esercizio pratico. Quindi distinguendo i due enti, Ratzinger ha escluso ogni sinonimia e ha rinunciato solo all’esercizio pratico, non al titolo, ergo si è autoesiliato in sede impedita. Non ci sono santi.  

Incredibile come prosegue Gaenswein: “Egli ha invece integrato l’ufficio personale con una dimensione collegiale e sinodale, quasi un ministero in comune, secondo il suo motto: “cooperatores veritatis”, che significa appunto “cooperatori della verità”. Infatti è tratto dalla Terza Lettera di Giovanni, nella quale al versetto 8 è scritto: “Noi dobbiamo accogliere queste persone per diventare cooperatori della verità”.

Qui si capisce, oltre all’affabile gentilezza che Ratzinger riserva a Bergoglio, tutto il gigantesco, millenario disegno escatologico di cui Benedetto XVI è protagonista: Il suo" ministero allargato è in comune con l’antipapa usurpatore, con il papa illegittimo, e Benedetto lo accoglie perché anche Bergoglio ha un ruolo (inconsapevole) nel cooperare alla verità. Così come Giuda, potremmo dire, è stato compartecipe del sacrificio di Cristo.

Si aggiunge, infatti, in merito alla scelta: “Dio poteva, perciò la fece”. Benedetto si è sacrificato come il Salvatore, ha sacrificato il suo potere “per non anteporre nulla a Cristo”.

Solo infatti dalla rivelazione di questa clamorosa realtà, solo dal crollo dell’impostura di quella dittatura del relativismo di cui sopra, si affermerà la verità di Gesù. 

Ed ecco il mondo nuovo che apre papa Benedetto: quando dice di trovarsi alla fine del vecchio mondo e all’inizio del nuovo. Una nuova era in cui si affermerà la verità di Cristo contro l’impostura anticristica.

Ecco perché, si chiede Mons Gaenswein: "Ma è già il momento per fare un bilancio del pontificato di Benedetto XVI? In generale, nella storia della Chiesa, solo ex post i papi possono essere giudicati e inquadrati correttamente."

Vale a dire: la partita non è finita. Piano col giudicare il pontificato di Benedetto XVI senza aver prima “capito”).

Vi gira la testa? Ne siamo consapevoli.

Prima di lasciarvi, vi diciamo quale è IL VERO SENSO DI “PAPA EMERITO”, come abbiamo capito grazie a un input del latinista Gianluca Arca.

Emerito non va inteso in senso giuridico, come “vescovo a riposo”. Sia perché lo status canonico non esiste, come sottolineato da don Regoli, sia perché è un ossimoro: il papa non potrebbe mai essere emerito, come già affermato dai canonisti Boni, Fantappié, Margiotta-Broglio etc.

L’aggettivo va inteso per forza come letterario-storico-qualificativo, nel senso etimologico originario, cioè di meritevole da “emereo”: qualcuno che mantiene una carica o un titolo perché ne ha diritto anche se non è attivo dato che, in questo caso, è stato privato del suo potere e costretto alla sede impedita.

Siccome l’antipapa non è stato dichiarato, dato che Benedetto si trova “nelle sue mani”, egli E’ per forza il PRIMO PAPA EMERITO DELLA STORIA ovvero il papa che resta tale per diritto acquisito anche se privo del ministerium in quanto impedito. Anche stavolta, Benedetto non ha MENTITO. Siamo NOI che non abbiamo capito per otto anni. Così come non mente in questa meravigliosa risposta al giornalista Seewald in “Ultime conversazioni”:

Domanda “Anche un papa emerito ha paura della morte?”

Ratzinger: “Per certi versi sì. In primo luogo c’è il timore di esser di peso agli altri a causa di UNA LUNGA INVALIDITÀ”. L’invalidità non è quella sua, ma “per un altro verso” è l’invalidità di Bergoglio come papa.

Questa è sottile: vedrete, i bergogliani ci si attaccheranno come naufraghi su un pezzo di legno e parleranno di “complottismo”, state pronti. Ma è Natale e facciamo un regalino anche a loro.  

 

 

Di seguito, tutto il discorso di Mons. Gaenswein: Fra parentesi, le nostre “decrittazioni”.

21 maggio, 2016 / 11:30 AM (ACI Stampa).- 

"In una delle ultime conversazioni che il biografo del Papa, Peter Seewald di Monaco di Baviera, poté avere con Benedetto XVI, nel congedarsi gli chiese: “Lei è la fine del vecchio o l’inizio del nuovo?”. La risposta del Papa fu breve e sicura: “L’una e l’altro” rispose.

Il registratore era già spento; ecco perché quest’ultimo scambio di battute non si trova in nessuno dei libri-intervista di Peter Seewald, neanche nel famoso Luce del mondo. Si rinvengono solo in un’intervista, che egli concesse al Corriere della Sera all’indomani della Dichiarazione di rinuncia di Benedetto XVI, nella quale il biografo si ricordò di quelle parole chiave che figurano in certo qual modo come massima sul libro di Roberto Regoli.

In effetti devo ammettere che forse è impossibile riassumere più concisamente il pontificato di Benedetto XVI. E lo afferma chi in tutti questi anni ha avuto il privilegio di fare da vicino esperienza di questo Papa come un classico “homo historicus”, l’uomo occidentale per eccellenza che ha incarnato la ricchezza della tradizione cattolica come nessun altro; e che – nello stesso tempo – è stato talmente AUDACE da aprire la porta a una nuova fase, per quella SVOLTA STORICA che nessuno cinque anni fa si sarebbe potuto immaginare. Da allora viviamo in un’epoca storica che nella bimillenaria storia della Chiesa è senza precedenti. (Come potrebbe essere stato audace andando in pensione? Lo spiega poco dopo).

Come ai tempi di Pietro, anche oggi la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica continua ad avere UN UNICO PAPA LEGITTIMO. E tuttavia, da tre anni a questa parte, viviamo con DUE SUCCESSORI DI PIETRO viventi tra noi – che non sono in rapporto concorrenziale fra loro, e tuttavia entrambi con una presenza straordinaria! (Un papa legittimo e uno illegittimo, antipapa non dichiarato).

 Potremmo aggiungere che lo spirito di Joseph Ratzinger in precedenza ha già segnato in modo decisivo il lungo pontificato di san Giovanni Paolo II, che egli fedelmente servì per quasi un quarto di secolo come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Molti continuano a percepire ancor oggi questa situazione nuova come una sorta di stato d’eccezione voluto dal Cielo.

(Chissà quale sarà mai questo stato di eccezione se non il “Piano B”?).

Ma è già il momento per fare un bilancio del pontificato di Benedetto XVI? In generale, nella storia della Chiesa, solo ex post i papi possono essere giudicati e inquadrati correttamente.

(La partita non è finita. Piano col giudicare il pontificato di Benedetto XVI senza aver prima “capito” il Piano B).

E a riprova di questo, Regoli stesso menziona il caso di Gregorio VII, il grande papa riformatore del Medioevo, che alla fine della sua vita morì in esilio a Salerno – da fallito, a giudizio di tanti suoi contemporanei. E tuttavia, proprio Gregorio VII fu colui che, in mezzo alle controversie del suo tempo, plasmò in modo decisivo il volto della Chiesa per le generazioni che seguirono.

(Gregorio VII fu infatti fautore della Riforma gregoriana, che ebbe un tale impatto da far parlare de “Il Rinascimento del XII secolo”).

 Tanto più audace, perciò, sembra oggi essere il professor Regoli nel tentare di tracciare già un bilancio del pontificato di Benedetto XVI ancora vivente.

(Piano col trinciare giudizi, la partita non è finita affatto: vedrete quando si svelerà la sede impedita).

La quantità di materiale critico che a questo scopo egli ha visionato e analizzato è poderosa e impressionante. Infatti Benedetto XVI è e resta straordinariamente presente anche con i suoi scritti: sia quelli prodotti da papa – i tre libri su Gesù di Nazaret e sedici (!) volumi di Insegnamenti che ci ha consegnato nel suo pontificato – sia come professor Ratzinger o cardinale Ratzinger, le cui opere potrebbero riempire una piccola biblioteca.

E così, quest’opera di Regoli non manca di note a piè di pagina, numerose quanti sono i ricordi che essa risveglia in me. Perché ero presente quando Benedetto XVI, alla fine del suo mandato, depose l’anello piscatorio, (depose il potere pratico, ma senza spezzare l'anello come da prassi) come è d’uso all’indomani della morte di un papa, anche se in questo caso egli viveva ancora! Ero presente quando egli, invece, decise di non rinunciare al nome che aveva scelto, come invece aveva fatto papa Celestino V quando il 13 dicembre 1294, a pochi mesi dall’inizio del suo ministero, era ridiventato Pietro dal Morrone.

(Appunto, all'opposto di Celestino V, che abdicò e scappando fu fatto prigioniero, Benedetto XVI è rimasto papa e si è autoimprigionato in sede impedita)

Perciò, dall’undici febbraio 2013 il ministero papale non è più quello di prima. (è dimezzato) È e rimane il fondamento della Chiesa cattolica; e tuttavia è un fondamento che Benedetto XVI ha profondamente e durevolmente trasformato nel suo pontificato d’eccezione (Ausnahmepontifikat), (chissà che sarà questo pontificato d’eccezione?) rispetto al quale il sobrio cardinale Sodano, reagendo con immediatezza e semplicità subito dopo la sorprendente Dichiarazione di rinuncia, profondamente emozionato e quasi preso dallo smarrimento, aveva esclamato che quella notizia era risuonata fra i cardinali riuniti “come un fulmine a ciel sereno”.

(Sodano leggeva un biglietto, scritto probabilmente dal papa. Non reagì affatto con immediatezza, vedere il video QUI. Chiaro input a controllare).

Era la mattina di quello stesso giorno in cui, di sera, un fulmine chilometrico con un incredibile fragore colpì la punta della cupola di San Pietro posta sopra la tomba del Principe degli apostoli. Di rado il cosmo ha accompagnato in modo più drammatico una svolta storica. Ma la mattina di quell’undici febbraio il decano del Collegio cardinalizio Angelo Sodano concluse la sua replica alla Dichiarazione di Benedetto XVI con una prima e analogamente cosmica valutazione del pontificato, quando alla fine disse: “Certo, le stelle nel cielo continueranno sempre a brillare e così brillerà sempre in mezzo a noi la stella del suo pontificato”.

(Come dicevamo: il suo pontificato resta come una stella)

Ugualmente brillante e illuminante è l’esposizione approfondita e ben documentata di don Regoli delle diverse fasi del pontificato. Soprattutto dell’inizio di esso nel conclave dell’aprile del 2005, dal quale Joseph Ratzinger, dopo una delle elezioni più brevi della storia della Chiesa, uscì eletto dopo solo quattro scrutini a seguito di una drammatica lotta tra il cosiddetto “Partito del sale della terra” (“Salt of Earth Party”) intorno ai cardinali López Trujíllo, Ruini, Herranz, Rouco Varela o Medina e il cosiddetto “Gruppo di San Gallo” intorno ai cardinali Danneels, Martini, Silvestrini o Murphy-O’Connor; gruppo che, di recente, lo stesso cardinal Danneels di Bruxelles in modo divertito ha definito come “una specie di mafia-club”. L’elezione era certamente l’esito anche di uno scontro, la cui chiave quasi aveva fornito lo stesso Ratzinger da cardinale decano, nella storica omelia del 18 aprile 2005 in San Pietro; e precisamente lì dove a “una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie” aveva contrapposto un’altra misura: “il Figlio di Dio e vero uomo” come “la misura del vero umanesimo”.

(Qui definisce gli schieramenti, cristiano contro non cristiano).

Questa parte dell’intelligente analisi di Regoli oggi si legge quasi come un giallo mozzafiato di non troppo tempo fa; mentre invece la “dittatura del relativismo” da tempo si esprime in modo travolgente attraverso i molti canali dei nuovi mezzi di comunicazione che, nel 2005, a stento si potevano immaginare. (Allusione chiara alla potente macchina propagandista dello schieramento bergogliano della Mafia di San Gallo Cfr. dittatura relativista).

L’esposizione di questi avvenimenti da parte di Regoli merita considerazione anche perché egli non avanza la pretesa di sondare e spiegare completamente quest’ultimo, misterioso passo; (misterioso?) non arricchendo così ulteriormente quel pullulare di leggende con ulteriori supposizioni che nulla o quasi hanno a che vedere con la realtà. (nessuno ha capito niente)  E io pure, testimone immediato di quel passo spettacolare e inaspettato di Benedetto XVI, devo ammettere che per esso mi viene sempre di nuovo in mente il noto e geniale assioma con il quale nel Medioevo Giovanni Duns Scoto giustificò il divino decreto per l’immacolata concezione della Madre di Dio:

“Decuit, potuit, fecit”.

Vale a dire: era cosa conveniente, perché era ragionevole. Dio poteva, perciò la fece. (Dio si è sacrificato quindi posso farlo anche io) Io applico l’assioma alla decisione delle dimissioni nel modo seguente: era conveniente, perché Benedetto XVI era consapevole che gli veniva meno la forza necessaria per il gravosissimo ufficio. Poteva farlo, perché già da tempo aveva riflettuto a fondo, dal punto di vista teologico, sulla possibilità di papi emeriti per il futuro. Così lo fece.

Le dimissioni epocali del Papa teologo hanno rappresentato un passo in avanti essenzialmente per il fatto che l’undici febbraio 2013, parlando in latino di fronte ai cardinali sorpresi, egli introdusse nella Chiesa cattolica la nuova istituzione del “Papa emerito”, dichiarando che le sue forze non erano più sufficienti “per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”. La parola chiave di quella Dichiarazione è munus petrinum, tradotto – come accade il più delle volte – con “ministero petrino”. E tuttavia, munus, in latino, ha una molteplicità di significati: può voler dire servizio, compito, guida o dono, persino prodigio. Prima e dopo le sue dimissioni Benedetto ha inteso e intende il suo compito come partecipazione a un tale “ministero petrino”. Egli ha lasciato il Soglio pontificio e tuttavia, con il passo dell’11 febbraio 2013, non ha affatto abbandonato QUESTO MINISTERO. Egli ha invece integrato l’ufficio personale con una dimensione collegiale e sinodale, quasi un ministero in comune, come se con questo volesse ribadire ancora una volta l’invito contenuto in quel motto che l’allora Joseph Ratzinger si diede quale arcivescovo di Monaco e Frisinga e che poi ha naturalmente mantenuto quale vescovo di Roma: “cooperatores veritatis”, che significa appunto “cooperatori della verità”. Infatti non è un singolare, ma un plurale, tratto dalla Terza Lettera di Giovanni, nella quale al versetto 8 è scritto: “Noi dobbiamo accogliere queste persone per diventare cooperatori della verità”. (Accoglie l’antipapa usurpatore perché sia testimone con lui della verità).

Dall’elezione del suo successore Francesco il 13 marzo 2013 non vi sono dunque due papi, ma de facto un ministero allargato – con un membro attivo e un membro contemplativo. (un antipapa che fa e un papa che sta a guardare) Per questo Benedetto XVI non ha rinunciato né al suo nome, né alla talare bianca. Per questo l’appellativo corretto con il quale rivolgerglisi ancora oggi è “Santità”;  e per questo, inoltre, egli non si è ritirato in un monastero isolato, ma all’interno del Vaticano – come se avesse fatto solo un passo di lato per fare spazio al suo successore (un vero successore, non Bergoglio, al quale fa spazio liberandogli la chiesa dai nemici) e a una nuova tappa nella storia del papato che egli, con quel passo, ha arricchito con la “centrale” della sua preghiera e della sua compassione posta nei Giardini vaticani.

È stato “il passo meno atteso nel cattolicesimo contemporaneo”, scrive Regoli, e tuttavia una possibilità sulla quale il cardinale Ratzinger aveva riflettuto pubblicamente già il 10 agosto 1978 a Monaco di Baviera in un’omelia in occasione della morte di Paolo VI.

«Quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi» (Giovanni, 21, 18). Era un accenno alla croce che attendeva Pietro alla fine del suo cammino. Era, in generale, un accenno alla natura di questo servizio. (Il clou non è quando sarai vecchio ma sarai portato dove tu non vuoi)

Trentacinque anni dopo egli non ha abbandonato l’ufficio di Pietro – cosa che gli sarebbe stata del tutto impossibile a seguito della sua accettazione irrevocabile dell’ufficio nell’aprile 2005.  (dice che nel 2005 aveva accettato irrevocabilmente, quindi siccome la rinuncia è possibile vuol dire che lui non avrebbe mai rinunciato al papato)

Con un atto di straordinaria audacia egli ha invece rinnovato quest’ufficio (anche contro l’opinione di consiglieri ben intenzionati e senza dubbio competenti) e con un ultimo sforzo lo ha potenziato (come spero). Questo certo lo potrà dimostrare unicamente la storia. Ma nella storia della Chiesa resterà che nell’anno 2013 il celebre Teologo sul Soglio di Pietro è diventato il primo “Papa emeritus” della storia.

Da allora il suo ruolo – mi permetto ripeterlo ancora una volta – è del tutto diverso da quello, ad esempio, del santo papa Celestino V, che dopo le sue dimissioni nel 1294 avrebbe voluto ritornare eremita, divenendo invece prigioniero del suo successore Bonifacio VIII (al quale oggi dobbiamo nella Chiesa l’istituzione degli anni giubilari). Un passo come quello compiuto da Benedetto XVI fino ad oggi non c’era appunto mai stato. (appunto non un’abdicazione come Celestino V ma un auto esilio in sede impedita)

 Per questo non è sorprendente che da taluni sia stato percepito come rivoluzionario, o al contrario come assolutamente conforme al Vangelo; (il sacrificio di sé, come Gesù)  mentre altri ancora vedono in questo modo il papato secolarizzato come mai prima, e con ciò più collegiale e funzionale o anche semplicemente più umano e meno sacrale. E altri ancora sono dell’opinione che Benedetto XVI, con questo passo, abbia quasi – parlando in termini teologici e storico-critici – demitizzato il papato. (hanno torto i tradizionalisti che vedono una mossa modernista in senso collegiali stico)

... Potrebbero ancora venirmi le lacrime agli occhi, e tanto più per avere io visto di persona e da vicino quanto incondizionata, per sé e per il suo ministero, sia stata l’adesione di Papa Benedetto alle parole di san Benedetto, per cui “nulla è da anteporre all’amore di Cristo”, nihil amori Christi praeponere, come è detto nella regola tramandataci da Papa Gregorio Magno. (nulla, nemmeno il potere papale, può essere anteposto a Cristo).

Ne fui allora testimone, ma tuttora rimango affascinato dalla precisione di quell’ultima analisi in Piazza San Pietro che suonava così poetica, ma era nient’altro che profetica. Infatti sono parole che oggi anche Papa Francesco immediatamente potrebbe sottoscrivere e sottoscriverebbe senz’altro. (se sapesse, se si convertisse) Non ai papi ma a Cristo, al Signore stesso e a nessun altro appartiene la navicella di Pietro frustata dalle onde del mare in tempesta, quando sempre di nuovo temiamo che il Signore dorma e che non gli importi delle nostre necessità, mentre gli basta una sola parola ("sede impedita") per far cessare ogni tempesta; quando invece a farci cadere di continuo nel panico, più che le alte onde e l’ululato del vento, sono la nostra incredulità, la nostra poca fede e la nostra impazienza. (non temete che tutto si risolverà)

Così questo libro getta ancora una volta uno sguardo consolante sulla pacifica imperturbabilità e serenità di Benedetto XVI, al timone della barca di Pietro negli anni drammatici 2005-2013. (al timone, appunto con ruolo attivo fino al 2013, oggi con ruolo contemplativo da papa autoesiliatosi in sede impedita).

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