Papa Francesco e la messa sulle tombe dei Goumiers islamici, autori delle "marocchinate"
I soldati coloniali di De Gaulle autori di 60.000 stupri e omicidi in tutta Italia
Questa mattina alle 11.00, Francesco ha celebrato una “Messa per i defunti” del 2 novembre presso il Cimitero di Guerra francese di Roma, a Monte Mario.
“Sarà l'occasione per pregare in suffragio di tutti i morti, in particolare per le vittime della guerra e della violenza” aveva annunciato all’Angelus domenica e durante il rito ha detto: "Questa BRAVA GENTE è morta in guerra, chiamata a difendere la patria, valori e ideali. E tante altre volte a difendere situazioni politiche tristi. Sono le vittime, le vittime della guerra che mangia i figli della patria".
Così, a due giorni dal Centenario del Milite Ignoto italiano, la messa per le "vittime" della violenza della guerra è stata celebrata da Bergoglio sulle tombe degli autori – franco-coloniali e islamici - di quelle atroci violenze che passano con il nome di “MAROCCHINATE” di cui fecero le spese gli italiani.
In quel cimitero, infatti, riposano 1888 soldati francesi, ma, come cita la pro loco di Roma QUI , “la maggior parte dei caduti, tuttavia, non è di origine francese. Molte delle vittime sono i “Goumiers”, soldati di nazionalità marocchina, chiamati a combattere nelle truppe francesi per circa 50 anni. LO CAPIAMO ANCHE DALLA MEZZALUNA ISLAMICA INCISA SULLA LAPIDE. Tutti i soldati sono stati seppelliti allo stesso modo, con una croce in marmo sovrastante e la scritta “mort pour la France“.
E ora vediamo chi era questa “brava gente”, questi famigerati goumiers, autori di oltre 60.000 stupri ai danni di donne, uomini, bambini italiani, assassinii, rapine perpetrate per tutta Italia, dalla Sicilia alla Toscana dal ’43 al ’45. Perfino un prete, don Alberto Terrilli, fu violentato a sangue e morì per le lesioni.
Nel 1942, il generale Charles De Gaulle, fuggito dalla Francia occupata dai tedeschi e capo del governo francese in esilio “Francia libera”, attinse al personale militare delle colonie francesi per creare il CEF: Corp Expeditionnaire Français, costituito per il 60% da marocchini, algerini e senegalesi e per il restante da francesi europei, per un totale di 111.380 uomini. Vi erano però dei reparti esclusivamente marocchini di goumiers (dall’arabo qaum) i cui soldati provenivano dalle montagne del Riff ed erano raggruppati in reparti detti “tabor” in cui sussistevano vincoli tribali o di parentela diretta. Erano in tutto 7.833, indossavano il caratteristico burnus arabo, vestivano una tunica di lana verde a bande verticali multicolori (djellaba) e sandali di corda. Portavano alla cintura anche il tipico pugnale ricurvo (koumia) con il quale, secondo una loro antica usanza, tagliavano le orecchie ai nemici uccisi per farne collane e ornamenti (in particolar modo i tedeschi ne fecero le spese). Il loro comandante era l’ambizioso generale Alphonse Juin, nato in Algeria, il quale, da collaborazionista dei nazisti, era passato alle dipendenze di De Gaulle.
Gli stupri delle truppe marocchine cominciarono già nel luglio ’43, con lo sbarco alleato in Sicilia e si interruppero per breve tempo solo quando gli Alleati, risalendo l’Italia senza troppe difficoltà, si impantanarono a Cassino, sulla Linea Gustav, dove i tedeschi opponevano una tenacissima resistenza. Fu il generale Juin, a proporre l’aggiramento del caposaldo nemico dal monte Petrella, a est di Cassino, che era stato lasciato parzialmente sguarnito dai tedeschi. In quelle zone, solo le sue truppe marocchine di montagna avrebbero potuto farcela.
Nel frattempo, con un lancio aereo di volantini, i tedeschi avevano avvertito la popolazione civile ciociara della pericolosità delle truppe nordafricane, incitandola a fuggire, come testimoniato dal partigiano e storico locale prof. Bruno D’Epiro. Molti bambini furono evacuati dalla Guardia Nazionale Repubblicana fascista e inviati nelle colonie di Rimini, ma la maggior parte della popolazione civile, si rifugiò con tende e carriaggi sull’altipiano di POLLECA, un pianoro di medie dimensioni proprio sotto il monte Petrella.
Quando gli Alleati lanciarono l’operazione “Diadem” (l’ultimo assalto collettivo degli Alleati) i goumiers marocchini si inerpicarono per le ripide pendici del monte Petrella, ed ebbero facilmente la meglio sulle difese germaniche. Mentre due tra gli ultimi soldati tedeschi rimasti a Esperia si suicidavano gettandosi abbracciati nel burrone sotto il castello, per non finire decapitati come altri loro commilitoni catturati, il 16-17 maggio i marocchini riuscivano a sfondare la Linea Gustav e si riversavano proprio sull’altipiano di Polleca, "festeggiando" il loro successo ai danni delle migliaia di rifugiati italiani che, provenienti non solo da Esperia, ma anche dai comuni limitrofi, aspettavano sul pianoro il passaggio della guerra.
Per dare un’idea di ciò che avvenne, riportiamo i verbali di quanto si verificò nei vari paesi della Ciociaria occupati dai franco-coloniali del Cef. Ad Ausonia decine di donne furono violentate e uccise, e lo stesso capitò agli uomini che tentavano di difenderle. Dai verbali dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra risulta che anche “due bambini di sei e nove anni subirono violenza”. A S. Andrea, i marocchini stuprarono 30 donne e due uomini; a Vallemaio due sorelle dovettero soddisfare un plotone di 200 goumiers; 300 di questi invece, abusarono di una sessantenne. Dai documenti dell’Associazione Nazionale vittime delle "marocchinate", risulta che a Prossedi (LT) ci fu il bambino più piccolo ucciso dalle truppe coloniali: aveva soli 3 anni e la bambina più piccola violentata aveva 4 anni da Albanova (oggi comune soppresso). Castro dei Volsci in Provincia di Frosinone fu il comune più colpito con 940 stupri mentre Pico ne subì 809; una ragazza venne crocifissa con la sorella. Dopo la violenza di gruppo, verrà ammazzata, Ad Amaseno, 706 i casi di stupro, a Cassino una donna, dopo essere stata stuprata, fu bruciata viva. A Vallecorsa il Parroco Enrico Iannone fu ucciso perché tentò di salvare delle donne. Numerose donne nei comuni di Carpineto Romano (Roma) Vallecorsa, Patrica, Pastena, Lenola furono stuprate da 40, 100 fino a 200 soldati. A Esperia furono 700 le donne violate su una popolazione di 2.500 abitanti, con 400 denunce presentate. Anche il parroco, don Alberto Terrilli, nel tentativo di difendere due ragazze, venne legato a un albero e stuprato per una notte intera. Morirà due anni dopo per le lacerazioni interne riportate. A Pico, una ragazza venne crocifissa con la sorella. Dopo la violenza di gruppo, verrà ammazzata. A Polleca (Esperia) si toccò l’apice della bestialità. Luciano Garibaldi scrive che dai reparti marocchini del gen. Guillaume furono stuprate bambine e anziane; gli uomini che reagirono furono sodomizzati, uccisi a raffiche di mitra, evirati o impalati vivi. Una testimonianza, da un verbale dell’epoca, descrive la loro modalità tipica: “I soldati marocchini che avevano bussato alla porta e che non venne aperta, abbattuta la porta stessa, colpivano la Rocca con il calcio del moschetto alla testa facendola cadere a terra priva di sensi, quindi veniva trasportata di peso a circa 30 metri dalla casa e violentata mentre il padre, da altri militari, veniva trascinato, malmenato e legato a un albero. Gli astanti terrorizzati non potettero arrecare nessun aiuto alla ragazza e al genitore in quanto un soldato rimase di guardia con il moschetto puntato sugli stessi”. Riportiamo solo alcune di queste atrocità per fornire un’idea di massima.
I comuni coinvolti nel Lazio furono, tra gli altri, anche Pontecorvo, Fondi, Terracina, Sabaudia Campodimele, Roccagorga, Minturno, Spigno Saturnia, Castelforte, Sezze, Cori, Itri, Norma, Priverno, Prossedi Castro dei Volsci, Boville Ernica, Castel Nuovo Parano, Ceccano, Ceprano, Coreno Ausonio, Falvaterra, Morolo, Paliano, Pastena, Piedimonte S.Germano, Pofi Pontecorvo, S.Giovanni Incarico, Sant’Ambrogio sul Gariglaino, Terella, Vallerotonda, Vallemaio,Villa Santo Stefano, Frosinone, Giuliano di Roma, Albano Laziale, Allumiere, Anguillara Sabazia, Cesano, Colleferro, Frascati, Gavignano, Gorga, Grottaferrata Ladispoli, Lanuvio Lariano. Montecelio, Roma, Segni, Tolfa Velletri, Zagarolo. Cosi come tanti paesi della provincia di Viterbo e della Regione Campania, Toscana e Puglie. Migliaia furono le donne ingravidate e contagiate da sifilide, blenorragia e altre malattie veneree, e spesso contagiarono i loro legittimi mariti. Così come migliaia furono quelle ingravidate: il solo orfanotrofio di Veroli, accoglieva, dopo la guerra, circa 400 bambini nati da quelle unioni forzose.
Da documenti dell’Archivio Centrale dello Stato, risulta che anche i francesi bianchi parteciparono alle violenze: a Pico furono, infatti, violentate 51 donne (di cui nove minorenni) da 181 franco-africani e da 45 francesi bianchi. Dato questo episodio e considerando che francesi europei costituivano il 40% di tutto il Cef, risulta limitativo addossare la responsabilità delle violenze ai soli goumiers marocchini.
In tutto questo, de Gaulle era lì. Riferisce l’ufficiale Robichon: “Nel corso del pomeriggio del 16 maggio 1944 (mentre i goumiers violentavano i rifugiati) il Gen. de Gaulle si recò improvvisamente con il Gen. Juin, il Gen. Brosset, il Gen. de Lattre e il Ministro della Difesa sig. Diethelm, nella retrovia francese a 3,5 km da Esperia, per avere una visione completa di tutta l’operazione in atto. Dal “balcone di Esperia” de Gaulle può capire e distinguere nettamente la battaglia: era arrivato da Ausonia con una colonna di vetture fino alle rovine di una fattoria all’altezza della sezione dell’83°”. Il prof. D’Epiro, storico locale sopranominato, identifica la fattoria con il Casino di caccia del barone Roselli, che, come individuato dalle fotografie di Massimo Lucioli, domina esattamente l’altipiano di Polleca. Queste testimonianze dimostrano come de Gaulle si trovasse sull’altipiano di Polleca proprio il giorno in cui iniziavano a compiersi le atrocità marocchine.
Il saggista e ricercatore storico Massimo Lucioli, autore del primo saggio sulle marocchinate (La Ciociara e le altre) spiega: “Dato il coinvolgimento di sottufficiali e ufficiali bianchi, alcuni dei quali italofoni in quanto corsi, non presenti nei reparti di truppa goumier, si può affermare che i violentatori si annidavano in tutte e quattro le divisioni del Cef. Forse anche per questo, gli ufficiali francesi non risposero ad alcuna sollecitazione da parte delle vittime e assistettero impassibili all’operato dei loro uomini. Come riportano le testimonianze, quando i civili si presentavano a denunciare le violenze, gli ufficiali si stringevano nelle spalle e li liquidavano con un sorrisetto”. Questo atteggiamento perdurò fino all’arrivo in Toscana del Cef. Qui ricominciarono le violenze a Siena, ad Abbadia S. Salvatore, Radicofani, Murlo, Strove, Poggibonsi, Elsa, S. Quirico d’Orcia, Colle Val d’Elsa. Perfino membri della Resistenza dovettero subire gli abusi. Come testimonia il partigiano rosso Enzo Nizza: ”Ad Abbadia contammo ben sessanta vittime di truci violenze, avvenute sotto gli occhi dei loro familiari. Una delle vittime fu la compagna Lidia, la nostra staffetta. Anche il compagno Paolo, avvicinato con una scusa, fu poi violentato da sette marocchini. I comandi francesi, alle nostre proteste, risposero che era tradizione delle loro truppe coloniali ricevere un simile premio dopo una difficile battaglia”.
Forse per questo, nel film La Ciociara di De Sica, a un certo punto Sofia Loren con la figlia, appena stuprate, incontrano alcuni alleati, di cui un francese su una jeep, che ignorano il loro lacerante grido di dolore e passano oltre.
Anche gli americani sapevano, infatti, di questi orribili episodi: solo in un paio di casi tentarono debolmente di frenare i goumiers. Scrive Eric Morris in “La guerra inutile” che, ancora vicino a Pico, gli uomini di un battaglione del 351° fanteria americana provarono a fermare gli stupri, ma il loro comandante di compagnia intervenne e dichiarò che “erano lì per combattere i tedeschi, non i goumiers”.
Brava gente.