La possibile ricostruzione del “piano B” di papa Benedetto XVI
Dimissioni invalide apposta: indaghiamo la tesi dell'avvocatessa Acosta e di vari teologi
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La questione dei “due papi” e delle dimissioni di Benedetto XVI è molto ampia, inafferrabile, stesa su otto anni e piena di episodi difficili da interpretare. In questi mesi abbiamo analizzato molti singoli fatti e documenti senza ricevere alcuna risposta ai nostri – pur leciti - interrogativi.
Eppure, la tesi che è stata proposta dall’avvocatessa Estefania Acosta e da altri autorevoli giornalisti, giuristi, teologi, ecclesiastici (molti dei quali hanno pagato duramente il prezzo delle loro posizioni*), è scioccante: papa Ratzinger avrebbe VOLUTAMENTE predisposto dimissioni del tutto invalide per lasciare campo libero ai suoi avversari, far nominare un antipapa e far sì che nel tempo si scoprisse la verità circa gli obiettivi anticristici della “deep Church” e circa il fatto che lui sia ancora l’unico papa. Questo porterebbe a un annullamento definitivo della “falsa Chiesa”, con una grande purificazione dall’eresia e dalla corruzione, aprendo una nuova epoca di rinnovamento cristiano.
E’ PLAUSIBILE? Avevamo già indagato come le ipotesi su un Benedetto XVI poco preparato in latino e diritto canonico, o addirittura entusiastico fautore della svolta modernista di Francesco fossero poco credibili. QUI
Resta dunque da vagliare l’ipotesi del cosiddetto “Reset cattolico” sopra accennato: abbiamo quindi provato a ordinare fatti, documenti e personaggi secondo questa ottica.
Per consentirvi di collegarli tutti insieme, vi proponiamo un racconto, una sintesi, dove potrete approfondire ogni argomento cliccando sulla parola “QUI”.
A Voi giudicare: ben vengano spiegazioni alternative, purché capaci di trovare una diversa collocazione a ciascuno dei “pezzi del puzzle” in un quadro coerente. *QUI e QUI
1. Un papa scomodo
“Pregate perché io non fugga davanti ai lupi”, così Benedetto XVI esortò il popolo cattolico all’inizio del suo difficile pontificato, nel 2005. Il mondo, infatti, si mise subito contro di lui: la Chiesa cattolica di 16 anni fa, con la sua fede bimillenaria, la sua identità e le sue regole morali, costituiva l’ultimo ostacolo per la realizzazione di una serie di istanze mondialiste-progressiste sponsorizzate dalla sinistra internazionale e massonica.
Dopo il contestatissimo discorso di Ratisbona (2006) che chiudeva la porta a ogni sincretismo religioso, e dopo il motu proprio Summorum Pontificum (2007), con cui Ratzinger “ripristinava” la messa in latino dando una vitale boccata d’ossigeno alla Tradizione, l’opposizione interna del clero modernista - coagulata intorno alla lobby di cardinali detta “Mafia di San Gallo” - era ormai inferocita e decisa a ostacolarlo fino a condurlo alle dimissioni, come sarà ampiamente descritto dal Card. Danneels (uno dei membri della “Mafia”) nella sua autobiografia del 2015.
2. L’annus horribilis
Nel 2012, la situazione si fa insostenibile: ormai in troppi, in Vaticano, boicottano il papa senza obbedirgli, il mite papa-teologo non può fidarsi di nessuno tanto che perfino il maggiordomo ruba documenti nei suoi cassetti, col famoso scandalo Vatileaks che metterà in luce una feroce guerra tra fazioni in seno alla Chiesa e ventilerà addirittura un progetto per eliminarlo fisicamente. Ma queste rivelazioni faranno il gioco di Ratzinger, come vedremo, esplicitando il contesto in cui dovrà optare per la sua extrema ratio.
I media, del resto, sono tutti contro di lui, lo dipingono come un arcigno oscurantista, lo massacrano tirando fuori veri o presunti scandali di pedofilia (oggi magicamente spariti) e, verso la fine di dicembre, arriva l’ultimo giro di vite: gli Usa del duo Obama-Clinton bloccano i conti del Vaticano attraverso il codice Swift. Lo sbloccheranno subito dopo le “dimissioni” di Ratzinger: QUI
3. Arriva il momento del “Piano B”
Con una Chiesa completamente metastatizzata dal modernismo mondialista e sottoposto a pressioni internazionali, Benedetto si decide per una mossa definitiva volta a “fare pulizia non solo nel piccolo mondo della Curia, bensì nella Chiesa nel suo insieme” come spiegherà lui stesso al giornalista Peter Seewald.
Un “piano B” pianificato forse da molti anni proprio in vista di un’aggressione al papato dall’interno della Chiesa, peraltro annunciata da molte profezie e dal terzo Segreto di Fatima, di cui Ratzinger fu uno dei pochi ad essere messo a parte.
Il papa organizza così quello che, strategicamente, si potrebbe definire un “piano d’inganno”, con “falso bersaglio” e “finta ritirata” per recuperare lo slancio motivazionale del popolo autenticamente cattolico ed annichilire definitivamente le forze anticristiche in seno alla Chiesa. QUI
4. Il “falso bersaglio”: il ministerium
Il piano si fonda su un provvedimento attuato nel 1983, quando l’incarico papale fu diviso in contenitore e contenuto, munus e ministerium, ovvero, titolo divino ed esercizio pratico del potere.
Ed è proprio quest’ultimo il vero “falso bersaglio” giuridico da offrire ai suoi nemici: rinunciare al ministerium, e non al munus, sarebbe come far credere che un nobile, un conte, decadesse dal proprio titolo solo perché rinuncia ad amministrare i suoi possedimenti. Nient’affatto: un conte resta sempre conte anche senza terre e, viceversa, un amministratore non può diventare conte solo amministrando poderi. Munus e ministerium non sono equivalenti.
Così, dopo due settimane di lavoro, nel gennaio 2013, Ratzinger mette a punto una Declaratio, una dichiarazione in latino di appena 1.700 battute, dove inverte questi fattori, secondo una “tecnica a specchio”: invece di rinunciare al munus, l’incarico da papa, perché il ministerium (esercizio pratico) gli è divenuto faticoso, annuncia di voler fare il contrario: rinunciare al ministerium perché l’esercizio del munus gli è diventato faticoso. Un vero gioco di parole, ma, giuridicamente questo potrebbe consentirgli, al più, di nominare un vescovo vicario, ma non certo di dimettersi da papa, ruolo di cui conserva il fondamentale munus. (Sono almeno 5 le pubblicazioni su questo tema). QUI
5. Appuntamento al 28 febbraio, ore 29.00
Inoltre, Benedetto differisce la rinuncia al ministerium fissandola al 28 febbraio, ecco perché fa in modo che il card. Sodano, subito dopo la sua Declaratio, chiarisca molto bene ai cardinali, quasi ossessivamente, che lui rimarrà papa fino al 28*. Ma non basta: Ratzinger specifica anche l’”ora X” a partire dalla quale non sarà più papa, le ore 29.00. E’ un refuso, ovviamente: voleva scrivere le 20.00, e infatti sarà corretto, ma i giornali citeranno l’errore con il quale lui sottolinea quanto sarà importante quello scomodo orario, in cui la gente, solitamente, sta a cena. *QUI
6. Il "papa emerito" è il papa
Tornerà cardinale? No: specificherà successivamente che diventerà “papa emerito” riferendosi al fatto che, dagli anni ’70, il diritto canonico consente ai vescovi in pensione di restare vescovi - a livello sacramentale - diventando “emeriti”, ovvero lasciando solamente le funzioni pratiche. Nel caso del Papa, invece, non esiste la dimensione sacramentale, ma esiste una dimensione sopra-sacramentale che riguarda un incarico che nessuno sulla terra ha potere di modificare o condividere. Quindi, chi si dimette dall'incarico papale non può restare in alcun modo papa, e un papa che si dimette solo in parte, rinunciando al solo ministerium, in realtà, rimane papa a tutti gli effetti. Benedetto lo sa, ma i suoi avversari no. Ratzinger ha, quindi, usato apposta questo escamotage del “papa emerito”, espressione mai citata dal Diritto canonico, per mantenersi papa e, nel frattempo, lasciare campo libero ai suoi nemici. QUI
7. Mantiene la veste bianca
Ecco perché, coerentemente, Benedetto mantiene la veste bianca, seppur privata di mozzetta e cingolo, simbolo delle due funzioni pratiche alle quali ha solo fattualmente rinunciato: amministrare la barca di Pietro e annunciare il Vangelo. Al vaticanista Tornielli, che gli chiederà come mai non indossa la talare nera da cardinale, risponderà giustificandosi col dire che era “una soluzione eminentemente pratica, dato che non aveva altri abiti disponibili“. Questo fatto desterà in tempi recenti anche la pubblica stigmatizzazione del card. George Pell: “Un papa dimissionario non dovrebbe vestire di bianco e non dovrebbe insegnare pubblicamente". Forse non è dimissionario? QUI
8. L’avidità della "Mafia di San Gallo"
Ratzinger conosce bene i suoi avversari, sa che sono bramosi del potere fin dagli anni ’90 quando brigavano nelle loro riunioni segrete presso la città di San Gallo, in Svizzera. Non a caso, proprio in quegli anni, papa Wojtyla aveva emanato la costituzione apostolica Universi dominici gregis che scomunicava automaticamente qualsiasi cardinale reo di manovre preconclave. Ratzinger sa che la conoscenza del latino e del diritto canonico dei suoi nemici è inferiore alla propria e che, di fronte alla sua apparente resa, non sarebbero andati troppo per il sottile. Avrebbero preso per buono qualsiasi documento che parlasse di dimissioni.
Infatti, dopo la Declaratio, la Mafia di San Gallo è alle stelle e fa annunciare subito dall’ufficio stampa vaticano che “il papa si è dimesso”. Comincia a realizzarsi quanto “profetizzato” da Ratzinger, in chiusura della Declaratio dove dichiara di rinunciare al ministerium AFFINCHE’ (“ut”) “dal 28 febbraio la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice”. (“Coloro a cui compete”, non “i cardinali”: ovvero solo alcuni cardinali, quelli a lui infedeli).
9. Gli errori di latino
Tuttavia, il gioco è sottile: il rischio è che la questione giuridica, su cui si impernia tutto il piano B venga presto dimenticata. Ecco perché nella Declaratio Benedetto ha inserito delle incongruenze che terranno viva nel tempo l’attenzione sull’invalidità del documento: innanzitutto due grossolani errori di latino: “pro ecclesiae vitae” (poi corretto dal Vaticano) e uno pronunciato anche a voce proprio sulla parola chiave: “ministerio” collegato a “commissum”, mentre avrebbe dovuto esserci il dativo “commisso”. Ancora, il refuso, sull’orario: le 29.00 invece che le 20.00. Errori fatti apposta, oltre che per invalidare ulteriormente le dimissioni in quanto non scritte “rite manifestetur”, cioè “debitamente” come vuole il Codice di diritto canonico (Can. 332, § 2) soprattutto per far concentrare l’attenzione sui due principali nodi giuridici delle false dimissioni: la rinuncia al ministerium e il differimento della rinuncia. Il piano riesce: gli errori di sintassi verranno subito giudicati “intollerabili” da latinisti come Luciano Canfora e Wilfried Stroh, oltre che dal card. Ravasi, e avranno una certa eco sulla stampa, (anche se poi alcuni importanti articoli web verranno fatti sparire) insieme al refuso sull’orario. QUI
Errori dovuti alla fretta? Impossibile: Ratzinger ci ha messo due settimane per scrivere la Declaratio che è stata anche verificata con pieno agio dalla Segreteria di Stato sotto il sigillo del segreto pontificio. QUI
10. Il commiato alle 17.30
Arriva dunque il 28 febbraio, Benedetto fa un teatrale volo in elicottero, (dirà a Seewald che faceva parte della “sceneggiatura”) in modo che tutti lo vedano abbandonare il Vaticano e, alle 17.30, si affaccia dal balcone di Castel Gandolfo per salutare il mondo. Aveva scelto non casualmente le ore 20.00, orario in cui tutti stanno a cena, cosa che gli dà la motivazione per anticipare alle 17.30 il commiato. Da Castel Gandolfo, infatti, specifica: “Sarò pontefice ancora fino alle 20.00, poi non più”.
Così, si ritira, arrivano le 20.00 , ma lui non firma nessun documento, né dichiara altro in pubblico. Si giustifica dicendo che ormai già non è più papa dalle 17.30, a partire dal suo commiato pubblico. Sbagliato: essendo ancora il papa dalle 17.30 alle 20.00, avrebbe potuto benissimo cambiare idea, ergo, la sua rinuncia al ministerium, già inutile ai fini delle dimissioni da papa, avrebbe dovuto essere per forza ratificata o da una firma, o da un’altra dichiarazione pubblica. Ma questo non succede. QUI
11. Un concentrato di invalidità giuridica
In sintesi, la sua Declaratio di rinuncia non vale assolutamente nulla come dimissioni, perché non si può rinunciare al titolo di papa, di origine divina, rinunciando all’amministrazione e, per giunta, tale rinuncia, scritta non debitamente, non viene nemmeno ratificata. Un gigantesco scherzo. Infatti, Benedetto ammetterà con Seewald che la scelta dell’11 febbraio per la Declaratio collegava, con un “nesso interiore”, la ricorrenza della Madonna di Lourdes, la festa di S. Bernadette, il suo compleanno e… il primo lunedì di Carnevale. QUI
12. La Mafia di San Gallo elegge l’antipapa
Solo in pochi si avvedono delle incongruenze e la Mafia di San Gallo va avanti come un treno. Finalmente, il 13 marzo, a spintoni, con una quinta votazione irregolare, riesce a far eleggere il proprio campione, il gesuita card. Bergoglio, già molto inviso in Argentina per i suoi metodi e le sue stravaganze dottrinali. Così, viene annunciato al mondo il nuovo papa. Francesco esce, senza mozzetta rossa, accompagnato proprio dal card. Danneels: il suo stile è molto alla mano e in men che non si dica, complici i media sponsorizzati dai noti poteri, cattura subito il favore entusiastico dalle folle. QUI
13. Inizia l’aggressione al Cattolicesimo
Comincia subito il graduale smantellamento della dottrina cattolica per adattarla a contenitore di una nuova religione universale eco-massonico-modernista per il Nuovo Ordine Mondiale, apertamente auspicato da Bergoglio in una intervista La Stampa del 15 marzo 2021. “Sprecheremmo la crisi chiudendoci in noi stessi. Invece, edificando un nuovo ordine mondiale basato sulla solidarietà…”. Del resto, nulla di cui stupirsi: se Ratzinger non si è mai dimesso, Bergoglio è un antipapa. QUI
14. Benedetto prosegue a fare il papa
Mentre una parte dei cattolici normali (sprezzantemente definiti dal mainstream come “tradizionalisti”) comincia a reagire contro Bergoglio (e qualcuno anche a maledire Ratzinger), papa Benedetto XVI continua a comportarsi come un papa a tutti gli effetti, sebbene privo di alcune funzioni pratiche del suo potere. Oltre a mantenere la veste bianca, continua a vivere in Vaticano, a usare il plurale maiestatico, a firmarsi Pontifex Pontificum, a impartire la benedizione apostolica etc...
Infatti, sebbene Ratzinger abbia di fatto rinunciato ad amministrare la barca di Pietro, ogni tanto si fa vivo, firma qualche libro, scrive, prega, rilascia interviste, corregge Bergoglio sul celibato dei preti, (anche se, subito dopo, gli espianteranno la vigna prediletta). QUI
15. L’ambiguità “scientifica”
In tutte le interviste, Ratzinger mantiene un basso profilo e soprattutto un’assoluta, scientifica ambivalenza delle sue parole. Non dice mai che si è dimesso da papa, né dice che il papa è Francesco, ma per otto anni, graniticamente, ripete che il papa è uno solo. QUI
16. Le forzature della stampa mainstream
Il pensiero unico vuole a tutti i costi sostenere che questo unico papa esistente di cui parla Benedetto sia Francesco, così i giornali allineati si affannano a costruire una narrativa sui suoi virgolettati, cercando di manipolarli. Addirittura, Vatican News il 27 giugno 2019 si spinge a titolare: ”Benedetto XVI: il papa è uno, Francesco”, riportando invece solo un pensiero personale di Massimo Franco del Corriere della Sera. QUI
17. La Mafia di San Gallo si svela
Mentre Bergoglio dilaga con la sua nuova chiesa massonicheggiante e ultramodernista-mondialista (svelandosi sempre di più), nel 2015 l’”anti-Chiesa”, come la definirà Mons. Viganò, fa un grosso passo falso: il cardinale Godfried Danneels, primate del Belgio e colonna portante della Mafia di San Gallo, (tanto da affacciarsi con Bergoglio il giorno dell’elezione), confessa candidamente in una sua autobiografia come la lobby modernista mirasse a far dimettere Benedetto e a proporre, in sostituzione, il card. Bergoglio. Le dichiarazioni confermano quanto già affermato dal giornalista Austen Ivereigh, creano enorme imbarazzo, ma non vengono smentite. Il libro di Danneels va a ruba, (l’ultima copia usata verrà venduta su Amazon a 206 euro) ma non viene ristampato, né tradotto in italiano. Il cardinale belga sparisce di scena e morirà quattro anni dopo. QUI
18. La difesa di Mons. Sciacca
Nell’agosto 2016, Mons. Giuseppe Sciacca, il primo canonista del Vaticano, intervistato da Andrea Tornielli, sostiene che le dimissioni di Ratzinger sono valide perché munus e ministerium, per il papa, sono indivisibili. Un autogol che dimostra appunto come Ratzinger non si può essere dimesso rinunciando solo al ministerium. Infatti, la storia dei papi nel primo millennio dimostra che essi possono talvolta rinunciare a esercitare il potere restando papi, soprattutto a causa di un antipapa.
19. La risposta di Benedetto al Corriere
Tre settimane dopo, in velata risposta, Ratzinger pubblica sul Corriere una lettera, sunto di un recente libro intervista con Peter Seewald, “Ultime conversazioni”, in cui esordisce dicendo che egli stesso è un ottimo latinista e che ha scritto di proprio pugno la Declaratio in latino per non fare errori (!).
Assurdo, dato che gli errori erano stati corretti pubblicamente da famosi latinisti subito dopo la Declaratio. E’ uno dei tanti segnali di apparente incoerenza che Benedetto manda all’esterno apposta per richiamare l’attenzione sui nodi giuridici delle “dimissioni”. Ma tutta l’intervista al Corriere può essere interpretata a rovescio. QUI
20. Primi risultati del "Piano B"
Tuttavia, solo tre anni dopo, nel 2019, i sottili input di Benedetto XVI riscuotono un primo risultato: il francescano italoamericano Fra’ Alexis Bugnolo, insigne latinista ed esperto di diritto canonico, comprende che gli errori di latino nella Declaratio, erano stati inseriti apposta per attirare l’attenzione su un documento canonicamente invalido. QUI
Libero offre in esclusiva questa interpretazione che fa il giro del mondo, ma, in risposta, dal Vaticano arrivano solo silenzio e gli insulti del quotidiano Avvenire. QUI
21. Bergoglio tira troppo la corda
I tempi maturano, Francesco nel frattempo si espone sempre di più: intronizza la Pachamama in San Pietro, inaugura le nuove litanie lauretane con Maria “sollievo dei migranti”, si dichiara a favore delle unioni civili, cambia il Padre Nostro, inserisce la rugiada massonica nel messale, allestisce in P.za S. Pietro uno strano presepe esoterico, insomma, tira troppo la corda, tanto che il noto vaticanista Aldo Maria Valli pubblica un articolo choc intitolato “Roma è senza papa” . QUI QUI QUI QUI QUI e QUI
22. Si corre ai ripari col Corriere
Panico a Santa Marta: accorre Massimo Franco del Corriere per intervistare Ratzinger e tamponare la falla. Benedetto XVI offre una serie di ulteriori risposte perfettamente double face: dice che i suoi amici "un po’ fanatici" non hanno accettato la sua scelta, da lui compiuta liberamente, lui è in pace con se stesso e il papa è uno solo”. Franco interpreta le sue dichiarazioni nel senso: “Mi sono dimesso volentieri da papa; i miei fan sbagliano a considerarmi il pontefice; il papa è uno solo ed è Francesco”. QUI
23. Il chiaro sottotesto di Benedetto
In realtà, il vero significato delle parole di Ratzinger è: “I miei amici non hanno capito che sto gabbando i modernisti e l’ho fatto in piena consapevolezza, per questo sono in pace con la mia coscienza. Il papa è uno e sono io”. Questa storia del papa che è solo uno, ma non si sa mai quale, ormai sta diventando troppo ripetitiva e ci spinge a controllare le passate interviste. Emerge l’ambiguità meticolosissima e “scientifica” che dura da anni. QUI
24. La nomina dell’”ambasciatore”
Così, per reagire ai consueti fraintendimenti del Corriere, e incoraggiare coloro che seguono la pista giusta, papa Benedetto, pochi giorni dopo, riceve il presidente di un’associazione benefica e lo nomina “ambasciatore”, (anche se spiritualmente). Sebbene a livello simbolico, è comunque un atto da papa regnante. Un altro chiaro segnale ai “suoi”. QUI
25. Si capisce il sistema "a specchio"
Dalle interviste al Corriere, passiamo a leggere anche i libri-intervista di Peter Seewald e scopriamo che sono tutti venati da un sottotesto opposto e coerente. Ogni frase è costruita con scientifica abilità per rivelare - spesso con gustosa ironia - la realtà delle dimissioni invalide a chi la vuol capire. QUI e QUI
26. Si scopre il chiarissimo riferimento storico a Benedetto VIII
Un dettaglio fondamentale emerge quando in Ultime conversazioni” del 2016, Benedetto XVI, dietro un velato, ma precisissimo riferimento storico, dichiara di essersi dimesso come il papa Benedetto VIII, Teofilatto dei conti di Tuscolo che, nel 1012 fu costretto a rinunciare al ministerium a causa dell’antipapa Gregorio VI: un segnale inequivocabile. A poco a poco, emergono altri dettagli dai suoi libri-intervista e su Libero evidenziamo anche dove avrebbe potuto ispirarsi Ratzinger per la sua strategia “a specchio”. QUI
27. La dinamica prevista
Benedetto sa che il suo gioco è estremamente sottile, ma ha lasciato dei campanelli d’allarme molto evidenti. Sapeva che i pezzi del puzzle si sarebbero ricomposti piano piano e che la falsa chiesa si sarebbe svelata rovinandosi da sola, annegando in scandali, contraddizioni dottrinali e feroci conflitti interni. Ratzinger sapeva in anticipo che l’antipapa modernista, con le sue stravaganze eco-massonico-mondialiste avrebbe riempito di sgomento il popolo cattolico. Sapeva che non sarebbe stato assistito dallo Spirito Santo, né dalla logica del Logos. QUI
28. Ciò che Benedetto attende
Benedetto aspetta, ancora, tranquillo, nella preghiera e nella contemplazione, comunicando con l’esterno attraverso le sue parole precisissime e chirurgiche: attende che i cardinali e i vescovi aprano gli occhi.
Lui non parla apertamente: anche se riuscisse a dire la verità pubblicamente, oggi, verrebbe presto zittito con la scusa di un vaneggiamento senile. No: è il popolo cattolico che, in questa Apocalisse, intesa come Rivelazione, si deve convertire, deve CAPIRE e AGIRE. E’ il clero che deve scrollarsi di dosso l’inerzia, riscoprendo il coraggio, la fortezza, l’eroismo della fede. QUI
29. La soluzione di tutto: un SINODO chiarificatore
La soluzione, alla fine, è semplice: basta che i vescovi indicano un sinodo, come quelli già indetti nella storia (Sutri, Melfi V) per stabilire con certezza tra due o più papi quale fosse quello vero.
Ratzinger sa che durante tale incontro verrà facilmente fuori la realtà: l’antipapa e tutte le sue azioni, nomine, cambiamenti dottrinali e liturgici svaniranno nel nulla. Sarà come se non fossero mai esistiti. La morte non lo preoccupa: le sue dimissioni resteranno invalide per sempre creando una cesura storica nella successione papale.
Bergoglio, nel frattempo, da parte sua, ha già segnato il futuro della neo-Chiesa nominando una valanga di “suoi” 80 cardinali che, in maggioranza, blinderanno il prossimo conclave. Dopo l’antipapa Francesco, non ci sarebbe certo un altro papa, come si illudono alcuni tradizionalisti. Piuttosto, un conclave invalido, composto da cardinali invalidi, eleggerebbe un altro antipapa modernista – o fintamente ortodosso - e la Chiesa cattolica, per come la conosciamo, sarebbe finita per sempre.
Il sinodo, invece, sarà il grande Contro-reset cattolico, il bottone rosso che consentirà di purificare la Chiesa - nelle intenzioni di Ratzinger - dalla corruzione e dall’eresia una volta per tutte, riconciliando l’Europa e l’Occidente con le proprie radici cristiane. E’ il passaggio tra due epoche, e come dirà lui stesso a Seewald: “Io non appartengo più al vecchio mondo, ma quello nuovo, in realtà, non è ancora incominciato”. QUI
30. I “piccoli” saranno i protagonisti
Benedetto XVI, il solo Vicario di Cristo (Bergoglio ha rinunciato al titolo) sa che la salvezza, molto prima che dai prelati e dai grandi media, verrà dai piccoli, dai puri di cuore, di mente e di corpo: piccoli frati e preti coraggiosi che si fanno scomunicare per rimanergli fedeli, piccoli giornalisti, piccoli youtuber e blogger, piccoli traduttori, grafici e tipografi, semplici lettori che condividono gli articoli sui social, ognuno nella propria infinitesimale piccolezza porta il proprio contributo: tutta gente senza mezzi e senza appoggi, che si sacrifica e ci rimette di persona per diffondere la verità come il fuoco. Un’ultima “Crociata dei poveri” per salvare la Chiesa stessa, questa volta, non più il Santo Sepolcro.
No. Benedetto XVI non è fuggito davanti ai lupi. Nemmeno di fronte a quelli travestiti da agnelli.
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Si ringraziano Marco Tosatti e il suo blog "Stilum Curiae" per la pubblicazione della versione inglese.
English version: HERE
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Si ringrazia Adoracion y Liberacion per la pubblicazione in spagnolo
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