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Una possibile strategia di Benedetto XVI ispirata allo specchio del Terzo Segreto di Fatima

Il ministerium sarebbe l'immagine riflessa: un falso bersaglio per i suoi nemici

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Non bisogna essere credenti per fare una simile valutazione: da sempre Ratzinger conosce a menadito profezie cattoliche spaventose sulle sorti della Chiesa e, come ecclesiastico, è tenuto a crederci.

Nel Catechismo del 1992, stilato sotto la sua supervisione, si legge, poi, all’art. 675: “La Chiesa deve passare attraverso una prova finale […] una IMPOSTURA RELIGIOSA che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell'apostasia dalla verità”.

Per non parlare del Terzo Segreto di Fatima (1917), di cui Ratzinger, dagli anni '80, era uno dei pochissimi a sapere tutto: in esso si parla esplicitamente di persecuzione del papato e di “un vescovo vestito di bianco visto allo specchio”, che però non si sa se è il vero papa. Peraltro, lo stesso Benedetto XVI disse nel 2010: «Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa».

ALLORA: sapendo che l’attacco alla Chiesa sarebbe provenuto da un’impostura religiosa, forse proprio dall’interno, forse con un falso papa, possibile che per 40 anni il cardinale tedesco non avesse pensato a una qualche contromossa? Poco credibile. Anche perché negli stessi anni ’90 in cui si costituiva la Mafia di San Gallo, la lobby di porporati modernisti che, per stessa ammissione del card. Danneels, cercheranno di spodestare il futuro Benedetto XVI, l’allora papa Giovanni Paolo II passava al contrattacco con la costituzione apostolica Universi dominici gregis per scomunicare all’istante qualsiasi cardinale avesse organizzato delle manovre preconclave. Quindi, se papa Wojtyla non rimase certo a guardare, per quale motivo il suo braccio destro, il card. Ratzinger, avrebbe dovuto ignorare il problema senza predisporre un “piano B”?  

Ed ecco che ritorna degna di considerazione la tesi del testo giuridico “Benedict XVI: pope emeritus?” dalla giurista Estefania Acosta: Benedetto XVI non si è mai dimesso, ha volontariamente lasciato che una “falsa chiesa” capeggiata da un antipapa prendesse il potere.

Di conseguenza, la falsa chiesa potrebbe essere annullata completamente grazie al riconoscimento da parte dei fedeli delle invalide dimissioni di Benedetto. L’antipapa non sarebbe mai esistito: un “Grande Reset cattolico”, dunque, maturato  attraverso un processo di conversione e purificazione, come annunciato da altre decine di profezie.

Ammettiamo, per accademia, che la tesi della Acosta sia vera.

Colpisce come Ratzinger abbia dichiarato al giornalista Seewald: “La mia intenzione non era semplicemente e primariamente fare pulizia nel piccolo mondo della Curia, bensì nella Chiesa nel suo insieme”. In termini strategici si potrebbe definire un perfetto “piano d’inganno” con “falso obiettivo” e “finta ritirata” per produrre una svolta motivazionale nel popolo cattolico e l’annichilimento definitivo dell’avversario. Siccome Benedetto sapeva che i nemici avrebbero preso  il potere per produrre un’impostura religiosa, lui reagisce con la stessa moneta, preparando una “trappola passiva” per la loro avidità, al fine di difendere la vera Chiesa.

Per fare un esempio di tale strategia: immaginiamo un nobiluomo possidente, un conte, insidiato da amministratori infedeli che vogliono eliminarlo. Un giorno il nobile dichiara: “Siccome l’essere conte  mi è diventato faticoso, rinuncerò presto ad amministrare le mie terre”. Poi parte e va in vacanza, senza firmare nemmeno la rinuncia all’amministrazione delle terre. L’ infedele amministratore coglie la palla al balzo, si illude che il conte abbia rinunciato a titolo e proprietà e se li accaparra entrambi. L’amministratore, con la sua dubbia condotta, insospettisce i contadini che si rivolgono alle Autorità. Quando si scopre che il conte non ha mai rinunciato al titolo, né conseguentemente alle sue proprietà, l’usurpatore viene arrestato. E il conte ritorna, liberato dai nemici e acclamato dai contadini.

In questa strategia, il “falso obiettivo” sarebbe l’annuncio del conte di rinunciare all’amministrazione.

Ora, è un fatto che nel 1983, Papa Wojtyla e il card Ratzinger crearono, quello che può essere considerato esattamente un falso obiettivo, un’immagine illusoria. Sdoppiarono l’ufficio papale - che prima era unico - in due parti: un’immagine reale e il suo riflesso: il munus (incarico divino) e il ministerium (amministrazione pratica), cioè, il “titolo di conte” e “l’amministrazione delle terre”.

Ma se uno può amministrare delle terre senza essere conte, non può diventare conte amministrando delle terre. E se il conte decide di rinunciare all’amministrazione, o se ne allontana per motivi suoi, resta pur sempre il conte. Amministrare le terre è una prerogativa, un riflesso dell’essere conte e proprietario. Ecco perché si può dire che il ministerium sia il riflesso del munus e quindi il "falso obiettivo".

Così, messo all’angolo, nel 2013, Benedetto XVI, fingendo di dimettersi, offre in pasto ai suoi avversari proprio il falso obiettivo, dichiarando: siccome l’esercitare il munus mi è diventato faticoso, rinuncerò al ministerium (e poi non ratifica nulla). Ai suoi nemici basta, ma per essere efficaci le dimissioni avrebbero dovuto essere scritte all’opposto: “siccome il ministerium mi è diventato faticoso, rinuncio al munus”.

Capite? Un’inversione SPECULARE. E da dove Ratzinger avrebbe potuto trarre spunto per questa strategia “A SPECCHIO” per gabbare gli avversari?

Ecco cosa si dice nel Terzo Segreto di Fatima: “E vedemmo ("qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno SPECCHIO quando vi passano davanti"), in una luce immensa che è Dio, un vescovo vestito di bianco ("abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre")”.

Viene visto un vescovo - forse abusivamente vestito da papa - allo specchio. L’analogia è plastica e ispiratrice.

Dalla Declaratio   del 2013 in poi, la strategia di Ratzinger segue sempre un sistema a specchio: ciò che pare vero è falso e ciò che pare falso è vero. Tutte le sue dichiarazioni sono interpretabili in un senso o nell’altro, secondo un’ambiguità continua e scientifica.

Benedetto si fa passare come l’ex papa, il “papa emerito”, si cela dietro un’immagine che però è solo un riflesso della realtà, poiché è sempre  stato lui il vero papa, mentre all’opposto, al potere c’è il suo riflesso, un amministratore nominato abusivamente papa.

Tuttavia, Ratzinger lascia qualche traccia per far riconoscere il falso dal vero: errori, incongruenze, rimandi storici inequivocabili che, sottilmente, riconducono alla trappola giuridica delle dimissioni invalide da lui predisposta. Lascia delle “macchioline sulla superficie del suo specchio” per far riconoscere ai suoi che la sua immagine da ex papa è falsa, perché egli è l’unico legittimo papa.

Perché non lo dice chiaramente allora?

Perché la presa di coscienza lenta, a volte faticosa e dolorosa è l’unico modo di rendere veramente consapevole il suo popolo. Si direbbe in gergo: Benedetto XVI ha lasciato che i cattolici sbattano il naso sulla realtà, su ciò che è cristico e ciò che è anticristico, riprendendosi la loro chiesa armati  di un nuovo slancio motivazionale e di una maggiore capacità di distinguere il vero dal falso.

E se Benedetto XVI muore prima dell'antipapa?

In ogni caso, carta canta: se le dimissioni erano invalide nel 2013, nulla di quanto fatto dalla Chiesa da lì in poi è valido. Quindi bisognerà riformare un conclave o solo con cardinali nominati da Benedetto o tornare a far scegliere al popolo, come era nei tempi antichi.  

Da un punto di vista strategico, almeno  in linea teorica,  il discorso fila. Gli indizi ci sono tutti e per ora, nulla – e soprattutto nessuno - contraddice un simile scenario, per quanto scioccante sia.

Come dice il filosofo Giorgio Agamben: “Invece di impegnarsi nella logica del mantenimento del potere, con la sua rinuncia all’incarico Ratzinger ne avrebbe enfatizzato l’autorità spirituale, contribuendo in tal modo al suo rafforzamento.

L’ultima parola spetta ai vescovi che dovranno verificare se le dimissioni di Benedetto XVI sono valide o no. Nulla di nuovo sotto il sole: così è sempre stato nella storia della Chiesa quando si avevano dubbi su chi fosse il vero papa, basti citare il sinodo di Sutri, nel 1046, che decise fra tre papi diversi, o il concilio di Melfi V che nel 1137 depose l’antipapa Anacleto II dopo otto anni di regno.

L’unica cosa importante è che il sinodo abbia luogo prima dell’elezione di un nuovo papa. Se quello riconosciuto come pontefice fosse in realtà un antipapa, anche il suo successore sarebbe un antipapa.

 

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