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Sul capitello romanico c'è il becchino di Giuda, ma Francesco ci vede Gesù Cristo

Il travisamento ispirato dallo scritto di uno psicanalista tedesco spretato e scomunicato

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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In questi anni succedono cose talmente enormi che, pure, sfuggono ai grandi media e scivolano via così, nel silenzio, come lastroni di un pack alla deriva sotto il sole di primavera. Per fortuna, alcuni autorevoli osservatori, sui loro blog, hanno fissato qualcosa di un episodio che vi proponiamo, data la ricorrenza pasquale: merita.

In Borgogna, a Vezelay, sorge una splendida basilica romanica, edificata tra il 1120 e il 1190 ed intitolata a S. Maria Maddalena. All’interno, i capitelli scolpiti sopra le colonne restituiscono in modo espressivo e didascalico scene dalla Bibbia. Uno di questi raffigura Giuda Iscariota, che come tutti sanno, dopo aver tradito Gesù Cristo per trenta denari, si suicidò. San Matteo riferisce che "egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi", mentre negli Atti degli Apostoli si dice che “Giuda comprò un pezzo di terra coi proventi del suo delitto e poi precipitando in avanti si squarciò in mezzo e si sparsero fuori tutte le sue viscere".

Insomma, non proprio un trapasso sereno. Così, ligio alla narrazione biblica, l’artista medievale scolpì in un angolo del capitello la figura di Giuda che si impicca, con tanto di occhi strabuzzati e lingua penzoloni e, nell’altro angolo, il becchino che se lo carica sulle spalle con un’evidente smorfia di disgusto.

L’arte e la teologia medievali sono chiare - fino alla brutalità - sui destini ultimi dell’anima: i giusti vanno in Paradiso e gli empi all’Inferno. Le immagini scolpite e dipinte servivano a chiarire questi concetti-base per intere masse di analfabeti.

E invece, secondo Bergoglio, il necroforo che porta sulle spalle il cadavere di Giuda sarebbe nientemeno che Gesù Cristo, nella sua raffigurazione come “Buon Pastore”.

Lo ha esplicitamente ribadito nel dicembre 2018, ripreso da Tv 2000 QUI spiegando anche il perché della smorfia sul volto del personaggio: ”I medievali facevano catechesi con le sculture delle cattedrali. Una parte del capitello è Giuda impiccato con la lingua e gli occhi di fuori, e dall’altra parte c’è Gesù, il Buon Pastore che lo prende e lo porta con sé. E se guardiamo bene la faccia di Gesù, le labbra sono tristi da una parte, ma con un piccolo sorriso di complicità nell’altra. Questi avevano capito cos’è la misericordia. Con Giuda eh?”.

Non è stata una frase estemporanea: il concetto è stato ribadito più volte e si inserisce in quel filone “misericordista” caro a Francesco. Secondo i suoi critici, il depotenziamento del senso del peccato, con una sorta di “6 politico escatologico” (tutti in Paradiso) sarebbe finalizzato alla demolizione del Cattolicesimo nella sua identità e alla creazione di una nuova religione sincretista per il Nuovo Ordine Mondiale. In sintesi: se si è salvato perfino l’Iscariota, si salvano tutti e allora la Chiesa cosa ci sta a fare?  

Comunque, pare che Francesco ci tenga davvero al capitello di Vezelay e ne abbia una fotografia nel suo studio.

Al di là della sorte dell’anima di Giuda, l’interpretazione storico-artistica del capitello è del tutto erronea. Innanzitutto, l’iconografia del Buon Pastore, di origine romano-greco-orientale, non trova riscontri in quelle zone della Francia, né a Vézelay né ad Autun. Soprattutto, Cristo, nelle stesse basiliche borgognone viene raffigurato in tutt’altro modo: ieratico, con la barba, l’aureola e la veste lunga, mentre il becchino di Giuda, oltre all’espressione ridicola, inconcepibile per il Salvatore, ha i capelli corti, è glabro e porta la veste corta degli operai medievali. Peraltro, la direzione in cui si muove è opposta rispetto all'altare, rivolta all’uscita della basilica, ad occidente, incontro alle tenebre, per seppellire Giuda dopo il tramonto.

Del resto, è ovvio come per gli uomini medievali la semplice ipotesi della salvezza di Giuda, il traditore di Dio,  fosse del tutto lunare. Basti pensare che per S. Agostino (354-430), suicidandosi, Giuda era doppiamente assassino, sia  per aver provocato la morte di Cristo che la propria. San Leone Magno (390-461) lo definì “Criminis magister”, San Tommaso d’Aquino,  (1225-’74) nato pochi anni dopo il completamento della basilica di Vezelay, scrisse che Giuda  diventò un diavolo umano “per imitazione di Satana”. Inoltre, S. Ambrogio, Epifanio di Salamina, S. Gregorio Nazianzieno, Beda il venerabile dicono tutti che Giuda si è perduto perché ha disperato della salvezza divina.

Resta poi il “dettaglio” delle parole di Cristo riferite da S. Matteo: “Guai a quell'uomo per mezzo del quale il Figlio dell'uomo è tradito! Sarebbe stato meglio per lui di non essere mai nato". Ecco perché è in epoca medievale è del tutto da escludere qualsiasi ipotesi “perdonista”, in senso teologico, dell’apostolo traditore.

Non è un caso che nella vicina e coeva cattedrale di Autun, siano proprio degli orridi demoni ad aiutare Giuda ad appendersi all’albero.

E’ pur vero che la Chiesa proclama i beati e non i dannati (non si può sapere se nel cuore di un uomo passi un istante di pentimento pochi istanti prima della morte), così negli anni del Concilio Vaticano II comincia a far capolino un pietismo iniziale verso l’Iscariota. Rimase famosa la predica “Nostro fratello Giuda” del sacerdote modernista don Primo Mazzolari che però specificava: “Povero fratello nostro. Il più grande dei peccati, non è quello di vendere il Cristo; è quello di disperare”. E poi: “Forse l’ultimo momento, ricordando quella parola e l’accettazione del bacio, anche Giuda avrà sentito che il Signore gli voleva ancora bene e lo riceveva tra i suoi di là”.

Quindi don Mazzolari fa riferimento a un possibile pentimento in extremis di Giuda, non a un’elargizione della misericordia divina anche contro la sua volontà, tipico del misericordismo oggi di moda.

Come spesso è avvenuto negli anni del Concilio, per eccessi di sottigliezze, si è poi aperta la strada al completo rovesciamento. Francesco, infatti, va ben oltre don Mazzolari e, riferendosi all’atteggiamento dei sommi sacerdoti ebrei che rimasero indifferenti al pentimento di Giuda, dice, in un’omelia da S. Marta dell’11 aprile 2016: “I sacerdoti hanno «un cuore chiuso davanti a questo povero uomo pentito che non sapeva cosa fare”. E il 13 dicembre:  "lo hanno lasciato solo, scartato: il povero Giuda traditore e pentito non è stato accolto dai pastori, perché questi avevano dimenticato cosa fosse un pastore». Erano «gli intellettuali della religione, quelli che avevano il potere, che portavano avanti la catechesi del popolo con una morale fatta dalla loro intelligenza e non dalla rivelazione di Dio" .

Quindi, praticamente, gli stessi farisei che pagarono Giuda e condannarono Cristo dovrebbero essere una metafora dei sacerdoti cattolici che oggi insegnano la corretta dottrina insegnata da Gesù? Il parallelismo è molto ardito.

Certo è che, in appena 70 anni, si è passati da Giuda-Criminis magister di S. Leone Magno e da Giuda diavolo-umano dell’Aquinate, alla comprensione misericordista anche per Giuda Iscariota.

E allora non stupisce che, per quanto riguarda il totale travisamento iconografico del capitello di Vezelay, un testo cui deve per forza aver attinto Bergoglio sia quello di Eugen Drewermann “Il vangelo di Marco. Immagini di redenzione”, del 1994, dove si inaugura la strana teoria sul capitello romanico. 

Non rassicura però apprendere che il tedesco Drewermann (n. 1940), psicanalista, sia un ex-sacerdote cattolico sospeso a divinis e poi spretato trent’anni fa per essere divenuto, nel tempo,  violentemente anticattolico. Drewermann detesta i dogmi della Chiesa, ha posizioni inconciliabili con la Dottrina cattolica anche in tema di celibato sacerdotale, ordinazione femminile, morale sessuale, eutanasia ed aborto

Le sue posizioni preoccuparono già agli inizi il card. Ratzinger, all’epoca Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede che, nel 1986, scrisse preoccupato all’arcivescovo di Paderborn, Johannes Degenhardt. Aveva visto lungo: infatti, Drewermann, nel ’91, pubblicò un libro terribile contro il clero cattolico e l’arcivescovo Degemhardt, quasi subito, dovette ridurlo allo stato laicale.

Forse, un altro fariseo dal cuore chiuso che non aveva saputo accogliere il povero Drewermann?

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