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Margherita Incisa di Camerana: il primo ufficiale donna marciava a Fiume con d'Annunzio

Tenente degli Arditi e moglie dell'eroe Elia Rossi Passavanti

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Dopo il primo pilota militare nero del mondo - italiano e orgogliosamente fascista, tanto da diventare generale delle Camicie Nere QUI  - un altro personaggio manderà dallo psicanalista gli aedi della storiografia ideologizzata. Parliamo della marchesa Margherita Incisa di Camerana, il primo ufficiale-donna del mondo in età contemporanea: interventista, dannunziana, fiumana, monarchica e moglie di un podestà. Prima di lei, nel ‘7-‘800, già l’italiana Francesca Scanagatta, la russa Nadežda Durova, la prussiana  Eleonore Prochaska, la francese Marie-Thérèse Figueur avevano indossato l’uniforme, ma tranne l’ultima, (che restò sottufficiale), tutte dovettero dissimulare  il loro sesso.  All’epoca, infatti, gli eserciti non badavano molto alle autoconvinzioni degli arruolandi sul proprio genere.

Nata a Torino nel 1879 dal marchese Alberto e dalla baronessa Amalia Weil Weiss, Margherita Incisa, dopo il collegio, si arruolò nelle Infermiere volontarie il 20 aprile 1909. “Interventista convinta - scrive Elisabetta David - prese parte attiva alla propaganda per la guerra a Torino contro il disfattismo giolittiano, avendo ereditato da suo padre il più profondo disprezzo per quell’uomo di governo”.

Durante tutta la Grande Guerra, oltre ad essere dama di compagnia della principessa Laetitia di Savoia,  prestò servizio attivo al fronte in vari ospedali da campo e come addetta ai doni e alla propaganda per le truppe i prima linea. Ricorderà questa esperienza in un libro, “Nella tormenta”, pubblicato nel 1929.

“La futura madrina degli arditi di Fiume – spiega lo storico della Grande Guerra Paolo Cavassini -  entra in contatto con le temibili “fiamme nere” già nel maggio del ’18. Incaricata di consegnare da parte delle donne di Torino un gagliardetto all’8° reparto d’assalto, gode da subito della stima e della simpatia dei vari comandanti degli arditi, dal generale Zoppi, al maggiori Freguglia, Nunziante e Vagliasindi.  Ritroverà questi ultimi fra i fedelissimi di d'Annunzio a Fiume. Nella travagliata atmosfera della “Vittoria mutilata”, l’ex crocerossina interventista s’infiamma di passione fiumana. “Ho parlato di Fiume – registra il 12 giugno 1919 -; mi si assicura che si stanno preparando bande di volontari per difendere la frontiera. Se potessi essere utile m’iscriverei anch’io”. L’occasione arriva esattamente te mesi dopo, quando il Vate, sollecitato dagli irredentisti fiumani, rompe gli indugi e  occupa Fiume avvalendosi soprattutto di arditi. Margherita, naturalmente, è fra di loro".

Iniziava un sogno rivoluzionario che sarebbe culminato nella Carta del Carnaro,  un’epopea - come scriveva il legionario Eugenio Coselschi - composta da una variegata schiera di “uomini vivi, armati di armi vere e di sentimenti umanissimi”.  Ma non solo uomini, come dimostra la Incisa, che fu nominata Tenente degli Arditi, vale a dire il corpo precursore delle nostre Forze Speciali.

Dal 4 ottobre 1919 fino all’11 giugno 1920, la marchesa fu all’ufficio propaganda del Comando, poi in forza alla compagnia della Guardia “La Disperata” con varie funzioni di “commissariato”.

Scriveva di lei il poeta Leone Kochnitzky: “Fra gli Arditi c’è una donna che, sopra una succinta gonna grigio-verde, porta la giacca coi risvolti neri. Prende parte alla marce, alle esercitazioni; con una virile grazia, quest’anima ben temprata si piega alle necessità rudi del blocco vigilando alla salute morale e alla disciplina delle sue truppe”…

Era, dunque, l’unica “ufficiala”, come qualcuno direbbe oggi, ma non unica donna. Spiega il presidente del Vittoriale Giordano Bruno Guerri: “Le donne  a Fiume venivano considerate legionarie alla pari degli uomini. Erano spesso mogli di legionari, o crocerossine, o signore che volevano partecipare all’impresa. Giravano con il pugnale e la pistola alla cintura e molte di loro combatterono anche durante il Natale di Sangue, quando l’occupazione dannunziana fu sgomberata dal Regio esercito italiano. La Carta del Carnaro anticipò di 26 anni il diritto per le donne di votare - ed essere votate - e di 70 anni quello di indossare le stellette. A Fiume potevano condurre una vita disinvolta e “da maschiacci”».

Ancor più godibile, il fatto che uno dei moralisti-maschilisti più critici con la Incisa e le sue “commilitone” fosse un socialista, Filippo Turati, che, in una lettera alla compagna Anna Kuliscioff, scriveva: “Fiume è diventato un postribolo, ricetto di malavita e di prostitute più o meno high life. Nitti mi parlò di una marchesa Incisa che vi sta vestita con tanto di pugnale”.

E proprio in quel crogiolo di animi ardenti Margherita conobbe il futuro conte Elia Rossi Passavanti. Era  uno degli eroi più decorati (e mutilati) della Grande Guerra, più giovane di lei di 17 anni, con il quale ebbe una splendida storia d’amore che, ad onta del bigotto Turati, regolarizzò un anno dopo con un matrimonio lungo e felice. “Dopo l’esperienza fiumana – spiega lo storico militare Leonardo Malatesta – la Incisa rientrò nelle Infermiere volontarie e fu ispettrice per la provincia di Terni; partì per l’Africa orientale insieme al marito e, al ritorno, lo aiutò a diventare deputato. Durante la Seconda guerra mondiale prestò servizio nella Campagna greco-albanese presso l’ospedale di Tirana e sulla nave ospedale “Trapani”. Dal dopoguerra fu attiva con associazioni monarchiche, civiche e benefiche. Morì a Roma il 5 febbraio 1964”.

I cimeli di quest’eroina, come la divisa fiumana da tenente degli Arditi, sono conservati a Terni nella casa del marito che, amatissimo podestà della città umbra, alla sua morte, nel 1985, lasciò una  Fondazione, la Ternana Opera Educatrice, col preciso scopo di premiare i concittadini meritevoli e di aprire al pubblico la casa-museo. La sua volontà non fu mai esaudita: la fondazione, oggi legata alla Cassa di Risparmio di Terni, nonostante il bilancio da un milione di euro, sostiene che “mancano i fondi”. Ma i ternani vanno all’attacco con una sottoscrizione popolare QUI e, probabilmente, con la benedizione dal cielo di una coppia di soldati non da poco: Elia e Margherita.

 

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