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De Gaulle era presente nei luoghi delle Marocchinate. E non fece nulla per impedirle.

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Sulle "Marocchinate", un tema congelato dalla storiografia ufficiale per decenni, continuano a uscire verità documentate. L'ultima, appena pubblicata su Il Corriere delle Regioni QUI 

riporta nuove prove del fatto che Charles de Gaulle fosse sul posto mentre, in Ciociaria, migliaia di civili innocenti, donne, uomini, bambini, anziani, perfino animali venivano violentati, malmenati, depredati, uccisi, dalle truppe coloniali francesi (Cef), aggregate agli Alleati. E il generale francese, che non poteva non sapere trovandosi lì, non fece nulla per impedirlo.

Già nel 2017 era stata divulgata, da chi scrive, questa verità, dando avvio a una serie di azioni legali che,  grazie all’Associazione Vittime delle Marocchinate QUI avrebbero fatto riaprire il caso dalla Procura militare di Roma, ai danni della Francia. L’Associazione, molto attiva, per il 18 maggio ha anche indetto una Giornata nazionale commemorativa alla quale aderiranno decine di Comuni italiani.

Tuttavia, ora acquisiamo altri dettagli e nuove, ancor più indiscutibili, testimonianze: la Gazzetta del Mezzogiorno n.141 che riporta de Gaulle mentre decora le proprie truppe nella Valle del Liri il 21 maggio 1944 e la testimonianza diretta di un ufficiale francese, Jacques Robichon, (1920-2007) che nel suo “Le corps expéditionnaire français en Italie 1943-1944” certifica senza alcun dubbio come nei giorni delle più atroci violenze passate alla storia col nome di “Marocchinate” nella zona di Esperia (FR), il comandante in capo francese si trovasse proprio sul posto.

Questo emerge anche da un reportage fotografico, appena realizzato in loco da Massimo Lucioli, lo studioso che per primo in Italia ha pubblicato insieme a Davide Sabatini un libro sul tema, “La ciociara e le altre” (1998). La ricognizione sul campo fa il punto sulle distanze tra i luoghi delle violenze e quelli in cui è documentata la presenza di de Gaulle. Apprendiamo, inoltre, come i civili di Esperia e dei comuni limitrofi si andarono a rifugiare in un sito dove sarebbero finiti direttamente in pasto a quelle belve, sotto gli occhi di de Gaulle, per l’appunto.

Ma prima un passo indietro, per capire di cosa stiamo parlando. Nel 1942, il generale Charles De Gaulle, fuggito dalla Francia occupata dai tedeschi e capo del governo francese in esilio “Francia libera”, attinse al personale militare delle colonie francesi per creare il Cef: Corp Expeditionnaire Français, costituito per il 60% da marocchini, algerini e senegalesi e per il restante da francesi europei, per un totale di 111.380 uomini. Vi erano però dei reparti esclusivamente marocchini di goumiers (dall’arabo qaum) i cui soldati provenivano dalle montagne del Riff ed erano raggruppati in reparti detti “tabor” in cui sussistevano vincoli tribali o di parentela diretta. Erano in tutto 7.833, indossavano il caratteristico burnus arabo, vestivano una tunica di lana verde a bande verticali multicolori (djellaba) e sandali di corda. Portavano alla cintura anche il tipico pugnale ricurvo (koumia) con il quale, secondo una loro antica usanza, tagliavano le orecchie ai nemici uccisi per farne collane e ornamenti (in particolar modo i tedeschi ne fecero le spese). Il loro comandante era l’ambizioso generale Alphonse Juin, nato in Algeria il quale, da collaborazionista dei nazisti, era passato alle dipendenze di De Gaulle.

Gli stupri delle truppe marocchine cominciarono già nel luglio ’43, con lo sbarco alleato in Sicilia e si interruppero per breve tempo solo quando gli Alleati, risalendo l’Italia senza troppe difficoltà, si impantanarono a Cassino, sulla Linea Gustav, dove i tedeschi opponevano una tenacissima resistenza. Fu il generale francese Juin, a proporre l’aggiramento del caposaldo nemico dal monte Petrella, a est di Cassino, che era stato lasciato parzialmente sguarnito dai tedeschi. In quelle zone, solo le sue truppe marocchine di montagna avrebbero potuto farcela.

Nel frattempo, con un lancio aereo di volantini, i tedeschi avevano avvertito la popolazione civile ciociara della pericolosità delle truppe nordafricane, incitandola a fuggire, come testimoniato dal partigiano e storico locale prof. Bruno D’Epiro. Molti bambini furono evacuati dalla Guardia Nazionale Repubblicana fascista e inviati nelle colonie di Rimini, ma la maggior parte della popolazione civile, si rifugiò con tende e carriaggi sull’altipiano di POLLECA, un pianoro di medie dimensioni proprio sotto il monte Petrella.

Quando gli Alleati lanciarono l’operazione “Diadem” (l’ultimo assalto collettivo degli Alleati) i goumiers marocchini si inerpicarono per le ripide pendici del monte Petrella, ed ebbero facilmente la meglio sulle difese germaniche. Mentre due tra gli ultimi soldati tedeschi rimasti a Esperia si suicidavano gettandosi abbracciati nel burrone sotto il castello, per non finire decapitati come altri loro commilitoni catturati, il 16-17 maggio i marocchini riuscivano a sfondare la Linea Gustav e si riversavano proprio sull’altipiano di Polleca, "festeggiando" il loro successo ai danni delle migliaia (4-6000) di rifugiati italiani che, provenienti non solo da Esperia, ma anche dai comuni limitrofi,  aspettavano sul pianoro il passaggio della guerra.

Per dare un’idea di ciò che avvenne, riportiamo i verbali di quanto si verificò nei vari paesi della Ciociaria occupati dai franco-coloniali del Cef. Ad Ausonia decine di donne furono violentate e uccise, e lo stesso capitò agli uomini che tentavano di difenderle. Dai verbali dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra risulta che anche “due bambini di sei e nove anni subirono violenza”. A S. Andrea, i marocchini stuprarono 30 donne e due uomini; a Vallemaio due sorelle dovettero soddisfare un plotone di 200 goumiers; 300 di questi invece, abusarono di una sessantenne. A Esperia furono 700 le donne violate su una popolazione di 2.500 abitanti, con 400 denunce presentate. Anche il parroco, don Alberto Terrilli, nel tentativo di difendere due ragazze, venne legato a un albero e stuprato per una notte intera. Morirà due anni dopo per le lacerazioni interne riportate. A Pico, una ragazza venne crocifissa con la sorella. Dopo la violenza di gruppo, verrà ammazzata. A Polleca si toccò l’apice della bestialità. Luciano Garibaldi scrive che dai reparti marocchini del gen. Guillaume furono stuprate bambine e anziane; gli uomini che reagirono furono sodomizzati, uccisi a raffiche di mitra, evirati o impalati vivi. Una testimonianza, da un verbale dell’epoca, descrive la loro modalità tipica: “I soldati marocchini che avevano bussato alla porta e che non venne aperta, abbattuta la porta stessa, colpivano la Rocca con il calcio del moschetto alla testa facendola cadere a terra priva di sensi, quindi veniva trasportata di peso a circa 30 metri dalla casa e violentata mentre il padre, da altri militari, veniva trascinato, malmenato e legato a un albero. Gli astanti terrorizzati non potettero arrecare nessun aiuto alla ragazza e al genitore in quanto un soldato rimase di guardia con il moschetto puntato sugli stessi”. Riportiamo solo alcune di queste atrocità per fornire un’idea di massima.

I comuni coinvolti nel Lazio furono, tra gli altri, anche Pontecorvo, Campodimele, S. Oliva, Castro dei Volsci, Frosinone, Grottaferrata, Giuliano di Roma e Sabaudia. Migliaia furono le donne ingravidate e contagiate da sifilide, blenorragia e altre malattie veneree, e spesso contagiarono i loro legittimi mariti. Così come migliaia furono quelle ingravidate: il solo orfanotrofio di Veroli, accoglieva, dopo la guerra, circa 400 bambini nati da quelle unioni forzose.

Da documenti dell’Archivio Centrale dello Stato, risulta che anche i francesi bianchi parteciparono alle violenze: a Pico furono, infatti, violentate 51 donne (di cui nove minorenni) da 181 franco-africani e da 45 francesi bianchi. Dato questo episodio e considerando che francesi europei costituivano il 40% di tutto il Cef, risulta limitativo addossare la responsabilità delle violenze ai soli goumiers marocchini.

In tutto questo, de Gaulle era lì. Riferisce l’ufficiale Robichon: “Nel corso del pomeriggio del 16 maggio 1944 (mentre i goumiers violentavano i rifugiati) il Gen. de Gaulle si recò improvvisamente con il Gen. Juin, il Gen. Brosset, il Gen. de Lattre e il Ministro della Difesa sig. Diethelm, nella retrovia francese a 3,5 km da Esperia, per avere una visione completa di tutta l’operazione in atto. Dal “balcone di Esperia” de Gaulle può capire e distinguere  nettamente la battaglia: era arrivato da Ausonia con una colonna di vetture fino alle rovine di una fattoria all’altezza della sezione dell’83°”. Il prof. D’Epiro, storico locale sopranominato, identifica la fattoria con il Casino di caccia del barone Roselli, che, come individuato dalle fotografie di Massimo Lucioli, domina esattamente l’altipiano di Polleca. Queste testimonianze dimostrano come de Gaulle si trovasse sull’altipiano di Polleca proprio il giorno in cui iniziavano a compiersi le atrocità marocchine.

Massimo Lucioli spiega: “Dato il coinvolgimento di sottufficiali e ufficiali bianchi, alcuni dei quali italofoni in quanto corsi, non presenti nei reparti di truppa goumier, si può affermare che i violentatori si annidavano in tutte e quattro le divisioni del Cef. Forse anche per questo, gli ufficiali francesi non risposero ad alcuna sollecitazione da parte delle vittime e assistettero impassibili all’operato dei loro uomini. Come riportano le testimonianze, quando i civili si presentavano a denunciare le violenze, gli ufficiali si stringevano nelle spalle e li liquidavano con un sorrisetto”. Questo atteggiamento perdurò fino all’arrivo in Toscana del Cef. Qui ricominciarono le violenze a Siena, ad Abbadia S. Salvatore, Radicofani, Murlo, Strove, Poggibonsi, Elsa, S. Quirico d’Orcia, Colle Val d’Elsa. Perfino membri della Resistenza dovettero subire gli abusi. Come testimonia il partigiano rosso Enzo Nizza: ”Ad Abbadia contammo ben sessanta vittime di truci violenze, avvenute sotto gli occhi dei loro familiari. Una delle vittime fu la compagna Lidia, la nostra staffetta. Anche il compagno Paolo, avvicinato con una scusa, fu poi violentato da sette marocchini. I comandi francesi, alle nostre proteste, risposero che era tradizione delle loro truppe coloniali ricevere un simile premio dopo una difficile battaglia”.

Forse per questo, nel film La Ciociara di De Sica, a un certo punto Sofia Loren con la figlia, appena stuprate, incontrano alcuni alleati, di cui un francese su una jeep, che ignorano il loro lacerante grido di dolore e passano oltre.

Anche gli americani sapevano, infatti, di questi orribili episodi: solo in un paio di casi tentarono debolmente di frenare i goumiers. Scrive Eric Morris in “La guerra inutile” che, ancora vicino a Pico, gli uomini di un battaglione del 351° fanteria americana provarono a fermare gli stupri, ma il loro comandante di compagnia intervenne e dichiarò che “erano lì per combattere i tedeschi, non i goumiers”.

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