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"Dio si è fatto peccato”? La differenza tra Misericordia divina e “misericordismo”

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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“Dio si è fatto peccato, si è contaminato con la nostra umanità” ha affermato con convinzione Francesco dalla finestra del palazzo apostolico durante l’Angelus di domenica scorsa e, proprio in quel momento, un’improvvisa folata di vento ha sollevato il drappo con lo stemma pontificio coprendo Bergoglio alla vista del (poco) pubblico in Piazza San Pietro.

Qui, al minuto 12.40:

Una di quelle scene che suggestionano chi crede ai “segni divini”, così come già era successo per il fulmine caduto sul Cupolone nel giorno delle “zoppicanti” dimissioni di papa Benedetto XVI,

 qui

 o per le colombe rilasciate dal suo successore, subito divorate dai corvi e dai gabbiani. Qui

Del resto, quella frase sulla “contaminazione” di Dio ha fatto protestare alcuni commentatori cattolici che specificano come la frase di San Paolo nella Seconda Lettera ai Corinzi debba essere adeguatamente interpretata: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio”.   Spiegano i padri domenicani, come “questo sta a significare che Dio ha trattato Gesù Cristo come se fosse stato il più grande peccatore di questo mondo, anzi come se avesse compiuto tutti i peccati degli uomini. Quest’espressione di San Paolo è particolarmente potente e sta a ricordare che Cristo ha compiuto una perfetta espiazione o soddisfazione dei nostri peccati: si chiama soddisfazione vicaria, e cioè fatta al posto nostro”.

Durante l’Angelus, poi, ampio risalto è stato dato al fatto che Gesù trasgredisce le rigide leggi ebraiche per accogliere il lebbroso, cosa che viene presentata da Bergoglio come un invito ai preti ad essere di redine lenta, a “trasgredire le regole” (cattoliche, però) e a “non prendere la frusta”. Insomma, tornano ancora i temi di quello che viene definito “misericordismo bergogliano”, la cui origine e funzione è avvolta di mistero.

Con Francesco, infatti, per la prima volta nella storia della Chiesa, arrivano messaggi che, invece di alzare la soglia di attenzione sul peccato e sui destini ultimi dell’anima, tendono ad abbassarla con una insistenza particolare sulla misericordia divina, tralasciando spesso una essenziale conditio sine qua non che vale la pena ricordare nel Mercoledì delle Ceneri.

Cosa penseremmo di un commercialista che ci dicesse: “Ma sì, figurati, queste entrate non dichiararle, tanto non se ne accorgono”. Oppure di un medico che ci tranquillizzasse: “Un pacchetto di sigarette al giorno non ha mai fatto male nessuno, non ti preoccupare”.  Sulle prime sarebbero discorsi confortanti all’orecchio, tuttavia, chiunque abbia superato il 18° anno di età facilmente si farebbe venire un dubbio: “Ma non sarebbe compito di questi professionisti metterci in guardia, anche magari eccedendo un filo nella prudenza, pur di tenerci all’erta?”.

Eppure, questa nuova dottrina dello #staisereno soddisfa molti, come confidava un “credente” a chi scrive: “Papa Francesco mi piace perché posso mettere le corna a mia moglie senza farmi troppi problemi”.

Ecco gli equivoci. Tuttavia, ugualmente, non si capisce da dove provenga tutta questa insistenza sulla misericordia. Sarebbe giustificata se vivessimo in una società neo-vittoriana, rigidamente puritana, vessata psicologicamente da mostruosi sensi di colpa per un senso eccessivo e nevrotico del peccato. Ma dove, avviene questo? DOVE? Francamente tutto si può dire del mondo cattolico di oggi tranne che i preti e i fedeli si auto-flagellino, terrorizzati dal castigo eterno. Anzi, sembra che qui la vita ce la si goda niente male, in primis il clero, sempre più indulgente verso se stesso fino al punto di tendere ad auto-sdoganarsi certi peccatucci che, almeno sulla carta, “gridano vendetta al Cielo”.

Quindi, non si capisce da dove nasca tutto questo bisogno di “allentare la tensione”, come se la gente dubitasse del perdono di Dio. Qui la tensione si è allentata fin troppo, anzi, semmai quello che si è perso è proprio il vecchio “timor di Dio”, il senso del peccato, la differenza tra bene e male, non certo la fiducia nel perdono divino.

E a tal proposito, c’è soprattutto qualcosa che non quadra su come viene presentata la divina misericordia. Che, secondo il Cattolicesimo, è infinita, ma non “gratis”.

Per ottenerla OCCORRE PER PRIMA COSA IL PENTIMENTO DAL PECCATO, sincero, profondo, il proponimento di non peccare più e il sacramento della Penitenza, cioè la confessione. Lo sappiamo tutti, no? Chiunque abbia frequentato un corso di catechismo da bambino - prima del 2013 - lo sa bene e non è certo una novità: hai sbagliato, hai peccato, ti penti, ti confessi dal prete, ti proponi di non peccare più e la tua “fedina spirituale” torna pulita. Poi, al solito, chi vuole ci crede, chi non vuole si fa i fatti suoi.

MA LE REGOLE DEL CATTOLICESIMO SONO QUESTE. Il perdono di Dio c’è sempre, MA SOLO PER CHI SI PENTE E CHIEDE PERDONO.

Eppure, di questo “dettaglio” fondamentale non si parla quasi mai.

Lo ripetiamo in un'altra formula: la misericordia divina non piove dal cielo come la rugiada massonica, indistintamente, su penitenti e impenitenti. Chi non desidera il perdono non lo riceverà, chi non vorrà stare con Dio dopo la morte, sarà libero di rimanerne irreversibilmente lontano, in un luogo dimensionale chiamato “Inferno” e non molto felice.  Non andranno tutti in Paradiso: quella è l’eresia dell’Apocatastasi, già cassata nel III secolo. Del resto il discorso è LOGICO: se Dio è amore, non può che lasciare libere le Sue creature anche di rifiutarLo e non può imporre il Paradiso a chi non lo vuole.

Quindi, parlare della misericordia divina di Dio senza citare la CONDITIO SINE QUA NON con cui essa viene elargita è, di fatto, un’operazione incomprensibilmente fuorviante e, soprattutto, pericolosa. 

E’ oggettivo: come dire di non preoccuparsi per i danni all’automobile perché tanto c’è l’assicurazione, senza ricordare che bisogna pagare il bollo; oppure consigliare di ignorare il proprio abuso edilizio perché tanto c’è il condono, senza far presente che occorre l’autodenuncia.

Del resto, in qualsiasi attività umana “sbagliando si impara”, ma solo se si diventa consapevoli di aver sbagliato, non certo permanendo nell’errore. E’ ovvio che questo debba valere a maggior ragione per un cammino di perfezionamento spirituale.

Allora, per favore, su queste cose cerchiamo di non confondere ulteriormente i fedeli perché la posta in gioco, almeno per chi crede, è il destino eterno dell’anima.

Niente niente qualcuno si lascia prendere la mano da questo concetto della misericordia divina, sviluppa degli attaccamenti irreversibili alla materia e poi, dopo morto, si risveglia nel posto sbagliato? Chi se la prende questa responsabilità?

Per quanto possa essere stata sgradevole e rompiscatole, non inutilmente la Chiesa ha ricordato a tutti, per 2000 anni: 1) che si deve morire 2) che bisogna prepararsi per andare nel posto giusto e stare in campana guardandosi dal peccato e, semmai, pentendosene.

Meglio un senso di colpa in più, che uno in meno, per un banale PRINCIPIO DI MASSIMA PRECAUZIONE, dato che coi peccati nessuno tende a lesinare.

Eppure, è un criterio che la Chiesa di oggi ha dato prova di conoscere molto bene, vista la prudenza scrupolosa adottata per la salute del corpo: la Comunione con i guanti, l’acquasantiera con l’Amuchina e le benedizioni impartite con le pistole ad acqua santa.

E allora perché questi criteri ultra-prudenziali non valgono per la salute ETERNA dell’anima, dato che la Chiesa, per sua missione, più che di ecologia, politica e immigrazione, è chiamata a occuparsi di questo?

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