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Il Made in Italy che non vale per le cose davvero importanti

Natura, tradizione, identità non possono valere solo per vino, pecorini e salami.

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Riflettiamoci: quasi tutto quello che viene considerato di alta qualità, al mondo, è rispettoso della natura, dell’identità di provenienza e della tradizione. Pressoché tutte le cose più belle, buone, sane e preziose si rifanno all’antico, al passato, prevedono un rapporto sereno tanto con l’invecchiamento, quanto con la nuova produzione, richiedono un controllo continuo, restauri filologici, una disciplina di ferro, maestri severi, rigide selezioni. (Ne abbiamo scritto qui)

Non ci credete? Eppure abbiamo sotto gli occhi il tanto sbandierato Made in Italy, (il quale – secondo un paradosso che dice tutto - è scritto in inglese).

Per la maggior parte dei casi, questo mondo produttivo è pervaso da criteri identitari mostruosi: marchi Doc, Dop, Docg difesi a baionettate, con eroismo risorgimentale, per preservare le origini protette e controllate di vini, formaggi, carni e salumi, ottenuti – questi ultimi - da animali selezionati con criteri rigidissimi.  

Per non parlare dell’agricoltura biologica, con frutta, ortaggi “del contadino”, “a km 0”, cereali “antichi” cresciuti senza additivi chimici, animata da una tensione verso quella stessa ecologia ambientale che si prende cura dei nostri meravigliosi boschi, ripopolati opportunamente con piante selezionate le nostre foreste, potando e abbattendo alberi laddove crescono troppo fitti.

Paesaggi incontaminati da cui spuntano borghi, ville, chiese e castelli, monumenti  meravigliosi e opere d’arte, antiche e venerate, sui quali campiamo di rendita, frutto peraltro di una “retriva” società ecclesiastico-tradizionalista, monarchica e aristocratica, fondata graniticamente su valori come Dio. Patria e Famiglia e ancorata a concetti estetici di bellezza OGGETTIVA  e non relativa. (A quanto pare i turisti di tutto il mondo, a Roma, vanno a visitare la Galleria dei papi e cardinali Borghese e non la Nuvola di Fuxas).

E, parlando di arte, come non nominare un’altra eccellenza del Made in Italy:  le capacità di ripristino e conservazione dei nostri super-specialisti del restauro, applicate nel rispetto assoluto di tecniche e materiali filologici, con la cura di grandi artigiani, quegli stessi che producono cravatte su misura, cappelli, abiti confezionati con vera pelle (senza sensi di colpa animalisti) e tessuti “di una volta”, secondo regole antiche che si sono tramandate per generazioni, custodite gelosamente da famiglie numerose e rigorosamente “patriarcali”.

Quelle stesse famiglie che hanno prodotto anche tecnologia di lusso e che rivendicano con orgoglio da feudatari rinascimentali i loro marchi, stemmi, cognomi roboanti: Ferrari, Lamborghini, Ducati, Maserati, case motoristiche conservatesi per generazioni nel loro prestigio almeno fino all’acquisizione da parte di soggetti esterni o a “meticciamenti” con aziende straniere.

Epigoni dei geni industriali di una volta, i nostri cervelli in fuga di oggi, apprezzati in tutto il mondo perché istruiti in università e accademie ancora abbastanza severe, (rispetto al resto del mondo) dove si seleziona e si boccia, dove permane quella “cultura dello scarto” come la definirebbe qualcuno, che però sforna eccellenze intellettuali e tecnico-scientifiche.

Potremmo continuare per ore con questa carrellata torrentizia e confusa, ma avete capito il concetto. Certo è che il Made in Italy produce cose “esclusive”, non certo “inclusive”, ed è ispirato a criteri del tutto contrari ai sub-valori del pensiero unico che vanno oggi per la maggiore.

(Ogni cosa “inclusiva”, infatti, merceologicamente parlando, è cattiva e/o mediocre: bibite zuccherate, snack, fast food, cibo pronto, abiti sintetici, tutta roba da poco e/o dannosa).

Sembra un paradosso, ma ciò che è realmente a Cinque stelle – lo sanno bene gli operatori del turismo - è frutto di grandissima preparazione, selezione, rigore ed è assolutamente per pochi.  Nulla a che vedere con improvvisazione, cialtroneria e incoerenza.

E allora, se questi rigidi criteri valgono per il pecorino di fossa, per la cravatta su misura, per gli alberghi e tanti settori della cultura e del consumo di altissima qualità, non si capisce per quale logica invece, NON DEBBANO VALERE PER LE COSE IMPORTANTI CHE RIGUARDANO IL PAESE, O MEGLIO, LA PATRIA.

Anzi: tutto quello che è contro natura, tradizione e identità viene oggi ricercato come se fosse il sommo bene, producendo una volenterosa entropia autodistruttiva che ha metastatizzato quasi completamente il corpo sano della società italiana, assestando colpi mortali alla delicata struttura del suo Dna. Non è assurdo?

L’ultima picconata riguarda l’ABOLIZIONE DEL COGNOME PATERNO per i figli, una trovata demenziale che si inserisce in quella filiera di effetti neurodegenerativi tipici della cosiddetta  “Cancel culture”.

Cancelliamola, questa cultura, va bene, e allora cancelliamo noi stessi.

Facciamo che da domani, la Ferrari cambi nome in Elkann o in quello di ogni prossimo amministratore delegato, per evitare “retaggi patriarcali”. Chissà quante belle ragazze verrebbero a fare un giro sulla nuova “Elkann 812 Superfast”.

Oppure, facciamo che i prosciutti San Daniele vengano  chiamati solo “Daniele” per non offendere gli islamici e che siano confezionati con il tofu, invece che col prezioso coscio di un “animale morto”. Facciamo che il parmigiano venga prodotto “includendo” il latte thailandese, che l’Accademia della Scala “accolga” anche gli stonati e gli svociati “per non traumatizzarli” e che le abetaie di Cortina vengano ripopolate con alberi cinesi a basso costo.

Non vi ribellereste con cinture esplosive? E allora perché tutta questa cura, ecologia, attenzione maniacale all’identità, alla tradizione e alla natura si esplica su beni accessori o non vitali non viene estesa anche alla Famiglia, all’Identità nazionale in tutte le sue forme,  etnica, culturale, linguistica, alla nostra tradizione morale, giuridica e religiosa?  

Un consiglio a tutte le forze - ormai sempre più esigue - che si oppongono alla cancrena progressista-mondialista: non si possono riproporre immediatamente gli antichi concetti patriottici e salvifici, perché ormai questi, pure eternamente validi, sono stati troppo influenzati dall’azione propagandistica dei nemici interni i quali sono giunti a scrivere esplicitamente su cartelli ”Dio, Patria Famiglia, che vita de merda”.

Non si può nemmeno rimanere alla Nutella come unico agglutinante nazionale,  ma bisogna ripartire dal Made in Italy (un dogma materialistico che trova tutti concordi, una sorta di amor di Patria 2.0) ESTENDENDOLO ASSERTIVAMENTE A CATEGORIE SUPERIORI.

Riportiamo, dunque, l’ecologia dei paesaggi nella famiglia, difendiamo l’unione naturale, “biologica” e generativa, difendiamo i nostri cuccioli dall’inquinamento mentale del web e della tv; ripopoliamo di bambini italiani le lande desolate e spoglie del nostro paesaggio demografico.

Riscopriamo e difendiamo strenuamente la Tradizione, come fosse l’antica ed eccellente sapienza dell’artigiano; conserviamo la cultura dei nostri avi, con tutte le sue anime, restauriamola come un palazzo in rovina, eliminiamo le concrezioni inutili e dannose che l’hanno ricoperta; difendiamo la Patria e la nostra identità come un bollino Dop, Doc, o Docg per noi stessi come cittadini; sorvegliamo i confini come se fossero i nostri copyright, marchi e diritti commerciali ed esponiamo ovunque il Tricolore, non  solo sulle confezioni di pasta e mozzarella.

Per le prossime elezioni, sempre che un giorno si torni a votare (ormai non è più così scontato), bisognerà ripartire citando simbolicamente le cose piccole e materiali, quelle unanimemente condivise, per capire – e far capire – quei valori più grandi che, nonostante siano palesemente legati alla nostra sopravvivenza, appaiono ancora incomprensibili ai più.

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