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Finalmente parte il progetto di restauro della mitragliera dello Scirè

Rimarrà a Pistoia l'arma del glorioso sommergibile dei “maiali”, i Siluri a lenta corsa

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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“La vogliamo salvare la mitragliera dello Sciré?” in un nostro articolo di agosto così titolavamo segnalando le disastrose condizioni conservative in cui versa un cimelio importante della nostra storia militare. Pare di sì, finalmente. Ci sono voluti appena dieci anni e ed ettogrammi di ruggine, ma qualcosa si è sbloccato.

Parliamo della mitragliera antiaerea Breda Modello 31 da 13,2 mm del leggendario sommergibile Scirè, la prima nave italiana a ricevere la Medaglia d’Oro al Valor Militare per la famosa “Impresa di Alessandria”. L’arma fu smontata dal relitto nel 1984, dopo una pietosa spedizione del Comsubin che recuperò, a 35 m di profondità, oltre ai resti di 42 nostri marinai, anche alcune parti dello scafo che oggi sono conservate, rigorosamente al chiuso e perfettamente restaurate, all’interno del Sacrario delle Bandiere a Roma, presso il Vittoriano. Questo per dare un’idea dell’importanza del cimelio.

La mitragliera fu portata a Pistoia perché, come scrive il sito www.reportpistoia.com, che ha denunciato più volte, lodevolmente, l’emergenza. “La regione dello Scirè, zona montuosa e semidesertica vicino al confine con l'Eritrea, fu teatro di un'aspra battaglia tra l'esercito italiano di Badoglio e le truppe abissine di Haile Selassie nel marzo 1936, durante la campagna d'Etiopia, e vide tra i suoi protagonisti il generale pistoiese Ezio Babbini, al comando del IV Corpo d'Armata. Nella vittoria italiana si distinsero inoltre gli uomini dell'83° reggimento fanteria con sede a Pistoia, e tra i caduti vi fu anche il caporale maggiore pistoiese Giovanni Marini, Medaglia d'Oro alla memoria, al quale è stata dedicata una lapide all'interno della Caserma di Pistoia”.

Oggi per fortuna qualcosa si è mosso e Libero – anche informato dall’ex dipendente Oto Melara Giulio Cozzani - è stato il quotidiano nazionale che più si è occupato della questione citandola in vari articoli.

In un altro paese, il degrado in cui è stata lasciata per decenni una simile “reliquia” avrebbe scatenato furiose proteste da parte dell’opinione pubblica. Come se i tedeschi lasciassero arrugginire all’aperto la mitragliatrice del Fokker di Manfred von Richtofen, il Barone rosso.

Viceversa, basti notare la cura e il rispetto con cui i Britannici mantengono le armi del Museo dell’Operazione Dynamo di Dunkerque, che, tra l’altro, custodisce la memoria di una ritirata, nemmeno di una vittoria.

Da noi, piuttosto, siccome vige dal dopoguerra una mentalità pacifistoide e “disarmista” ai limiti dell’anti-italianità, unita a una mancanza di cultura storica gravissima ed endemica, un simile caso ha sollevato polemiche solamente a livello locale o su autorevoli riviste di settore come Armi e Tiro.

A prendere finalmente in mano la situazione, il sindaco di Pistoia Alessandro Tomasi (FdI) che spiega: “Già conoscevo la questione, come tutti i pistoiesi, del resto. All’ inizio del mio mandato avevo avuto incontri con l’Associazione Marinai d’Italia, sez. di Pistoia e Pescia, e anche con il Polo museale che gestisce la Fortezza S. Barbara per un restauro del cimelio e la sua copertura. Il Comune ha dato la disponibilità a cofinanziare e l’Associazione Marinai ha coinvolto altri soggetti tra cui il Rotary  Club di Pistoia-Montecatini. Il problema non è tanto il finanziamento – servirebbero 35.000 euro per restauro e copertura – quanto l’iter burocratico che tuttavia è finalmente partito. Comunque, per chi volesse contribuire economicamente, soprattutto per valorizzare la nuova esposizione della mitragliera con cartellonistica e altri mezzi, si può rivolgere alla nostra sezione dell’Associazione Marinai d’Italia”.

Lo Scirè è qualcosa di più di una reliquia militare o della testimonianza del valore di un singolo soldato; è il simbolo di un’Italia che non molla la quale, con scarsi mezzi, genio inventivo, pervicacia e coraggio oltre le possibilità umane riusciva ad ottenere risultati strabilianti.

Questo sommergibile era stato adattato per trasportare i famosi “Maiali”, i Siluri a lenta corsa che, come noto, venivano guidati da due operatori muniti di respiratori subacquei fin sotto le navi nemiche per applicare sulla loro chiglia una carica esplosiva.

Vennero impiegati dalla X Flottiglia MAS della Regia Marina italiana durante la Seconda guerra mondiale per azioni di sabotaggio contro navi nemiche, spesso ancorate in porti militarmente difesi.

Fin dal 1940, lo Scirè fu impegnato contro le cacciatorpediniere inglesi ormeggiate nella base di Gibilterra, ma dovette far fronte a una serie di imprevisti e malfunzionamenti che fecero fallire varie missioni. Nel corso di una di queste operazioni, il Tenente di Vascello Gino Birindelli fu fatto prigioniero dagli inglesi e trascorse tre anni in prigionia prima di essere rilasciato e poi decorato con Medaglia d’Oro.

Tuttavia, il sistema d’arma poteva funzionare: era solo questione di applicare migliorie tecniche, continuare l’addestramento e insistere, insistere, insistere.

Nel settembre ’41 arrivano i primi successi con un incrociatore e una nave cisterna britannici affondati/danneggiati gravemente, ma la missione più famosa fu condotta in dicembre contro la base di Alessandria d’Egitto quando i Maiali riuscirono a penetrare nel porto, sorpassando mine e recinzioni subacquee e a far saltare in aria due corazzate, la Valiant e la Queen Elizabeth e altre due navi inglesi.  

I nemici se la legarono al dito e quando nel ’42 lo Scirè, sotto il comando del Capitano di Corvetta Bruno Zelik si diresse verso il porto di Haifa, un’altra base britannica oggi nel territorio di Israele, gli tesero un’imboscata intercettando le comunicazioni condotto con il codice tedesco “Enigma”. Ne abbiamo scritto qui: citando anche un recente e  importante studio dello storico e subacqueo Fabio Ruberti.

Danneggiandolo con le bombe di profondità, gli inglesi ostrinsero lo Scirè a salire in superficie dove poi fu finito a cannonate. Infine, con un’ultima passata di bombe uccisero anche i pochi sopravvissuti rimasti vivi all’interno dello scafo. Fu una vera esecuzione, ma non tale da scalfire una delle pagine più gloriose della storia marinara di tutto il mondo.

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