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Monsignor Viganò: "Bergoglio accoglie tutte le religioni, ma non i cattolici"

Una lettera tagliente dell'arcivescovo dopo le recenti dichiarazioni di Francesco sul Concilio Vaticano II

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Le recenti parole di Francesco sul Concilio vaticano II hanno destato numerose perplessità. Nella sua ultima lettera, monsignor Carlo Maria Viganò evidenzia il fatto che nella chiesa bergogliana c’è spazio per tutti, per tutte le religioni, ma non per i cattolici critici con un concilio (pastorale, non dogmatico) che è riconosciuto da molti autorevoli studiosi e teologi come l’origine di una serie di processi che hanno condotto il Cattolicesimo verso il modernismo più spinto. Secondo Mons. Viganò si tratta ormai di un’altra religione, peraltro “anticristica”.

Riportiamo uno stralcio significativo della lettera che può essere consultata interamente qui.

[…] “La sollecitudine di Francesco si concentra sulla catechesi, in un monologo andato in scena il 30 gennaio scorso per il selezionato pubblico dell’Ufficio catechistico nazionale della Cei. Lo spettacolo è stato offerto in occasione del LX anniversario della fondazione dell’Ufficio catechistico, «strumento indispensabile per il rinnovamento catechetico dopo il Concilio Vaticano II».

In questo monologo, redatto con ogni probabilità da un qualche grigio funzionario della Cei in forma di brogliaccio e poi sviluppato a braccio grazie all’improvvisazione in cui eccelle l’Augusto oratore, ricorrono puntuali tutte le parole care ai seguaci della chiesa conciliare, prima tra tutte quel kerygma che ogni buon modernista non può mai omettere nelle sue omelie, nonostante egli ignori quasi sempre il significato del termine greco, che con ogni probabilità non sa nemmeno declinare senza inciampare in accenti e desinenze. Ovviamente l’ignoranza di chi ripete il ritornello del Vaticano II è instrumentum regni da quando al clero fu imposto di mettere da parte la dottrina cattolica per privilegiare l’approccio creativo del nuovo corso. Certo, usare la parola annuncio anziché kerygma banalizzerebbe i discorsi degli iniziati, oltre a svelare l’insofferenza sprezzante della casta nei confronti della massa, ostinatamente abbarbicata al vieto nozionismo postridentino.

Non a caso i novatori detestano con tutte le forze il Catechismo di San Pio X, che nella brevità e nella chiarezza delle domande e delle risposte non lascia margini all’inventiva del catechista. Il quale dovrebbe essere – e non è più appunto da sessant’anni – colui che trasmette ciò che ha ricevuto, e non un fantomatico «memorioso» della storia della salvezza che di volta in volta sceglie quali verità trasmettere e quali lasciare da parte per non urtare i suoi interlocutori.

Nella misericordiosa chiesa bergogliana, erede della chiesa postconciliare (entrambe declinazioni di uno spirito che di cattolico non ha più nulla) è lecito discutere, contestare, rifiutare qualsiasi dogma, qualsiasi verità della Fede, qualsiasi documento magisteriale e qualsiasi pronunciamento papale precedente al 1958. Poiché, secondo le parole di Francesco, si può essere «fratelli e sorelle di tutti, indipendentemente dalla fede». Qualsiasi fedele comprende bene le gravissime implicazioni dello pseudomagistero attuale, il quale contraddice sfrontatamente il costante insegnamento della Sacra Scrittura, della divina Tradizione, del Magistero apostolico. Tuttavia, l’ingenua vittima di decenni di riprogrammazione conciliare dei cattolici potrebbe credere che, in questa composita babele di eretici, di contestatori e di viziosi rimanga almeno un po’ di spazio anche per gli ortodossi, i devoti sudditi del romano pontefice e i virtuosi.

Fratelli tutti, indipendentemente dalla fede? Questo principio di tollerante e indistinta accoglienza non conosce limiti se non quello appunto dell’essere cattolici. Leggiamo infatti, nel monologo di Bergoglio tenuto nella sala Clementina il 30 gennaio: «Questo è magistero: il Concilio è magistero della Chiesa. O tu stai con la Chiesa e pertanto segui il Concilio, e se tu non segui il Concilio o tu l’interpreti a modo tuo, come vuoi tu, tu non stai con la Chiesa. Dobbiamo in questo punto essere esigenti, severi. Il Concilio non va negoziato, per avere più di questi… No, il Concilio è così. E questo problema che noi stiamo vivendo, della selettività rispetto al Concilio, si è ripetuto lungo la storia con altri Concili».

Abbia il lettore la bontà di non soffermarsi all’incerta prosa del Nostro, che nell’improvvisazione “a braccio” unisce il marasma dottrinale al massacro della sintassi. Il messaggio del discorso ai catechisti precipita nella contraddizione le misericordiose parole di Fratelli tutti, costringendo a una doverosa modifica del titolo della lettera “enciclica” in Fratelli tutti, a eccezione dei cattolici. E se è verissimo e condivisibile che i Concili della Chiesa cattolica sono parte del Magistero, altrettanto non si può dire per l’unico “concilio” della nuova chiesa, il quale – come ho più volte affermato – rappresenta il più colossale inganno che sia stato compiuto dai pastori al gregge del Signore; un inganno – repetita juvant – che si è realizzato nel momento in cui una conventicola di esperti congiurati ha deciso di usare gli strumenti di governo ecclesiastico – autorità, atti magisteriali, discorsi papali, documenti delle congregazioni, testi della liturgia – con uno scopo opposto a quello che il divino Fondatore ha stabilito quando ha istituito la Santa Chiesa. Così facendo ai sudditi è stata imposta l’adesione ad una nuova religione, sempre più palesemente anticattolica e in definitiva anticristica, usurpando la sacra Autorità della vecchia, disprezzata e deprecata religione preconciliare.

Ci troviamo quindi nella grottesca situazione di sentir negare la Santissima Trinità, la divinità di Gesù Cristo, la dottrina dei suffragi per i defunti, i fini del Santo Sacrificio, la Transustanziazione, la perpetua Verginità di Maria Santissima senza incorrere in alcuna sanzione canonica (se così non fosse, quasi tutti i consultori del Vaticano II e dell’attuale curia romana sarebbero già stati scomunicati); ma «se tu non segui il Concilio o tu l’interpreti a modo tuo, come vuoi tu, tu non stai con la Chiesa». La glossa di Bergoglio a questa impegnativa condanna di qualsivoglia critica del Concilio lascia davvero increduli: «A me fa pensare tanto un gruppo di vescovi che, dopo il Vaticano I, sono andati via, un gruppo di laici, dei gruppi, per continuare la “vera dottrina” che non era quella del Vaticano I: “Noi siamo i cattolici veri”. Oggi ordinano donne».

Andrebbe notato che «un gruppo di vescovi, un gruppo di laici, dei gruppi» che rifiutarono di aderire alla dottrina definita infallibilmente dal Concilio ecumenico Vaticano I vennero immediatamente condannati e scomunicati, mentre oggi sarebbero accolti a braccia aperte «indipendentemente dalla fede»; e che i papi che allora condannarono i veterocattolici, condannerebbero oggi il Vaticano II, e sarebbero accusati da Bergoglio di «non stare con la Chiesa». D’altra parte, le lettrici e le accolite di recente invenzione non preludono a null’altro se non a quell’«oggi ordinano donne» cui invariabilmente approdano quanti abbandonano l’insegnamento di Cristo.

Curiosamente l’apertura ecumenica, il sentiero sinodale e la pachamama non impediscono di mostrarsi intolleranti nei confronti dei cattolici che hanno l’unico torto di non voler apostatare dalla Fede. Eppure, quando Bergoglio parla di «nessuna concessione a coloro che cercano di presentare una catechesi che non sia concorde al magistero della Chiesa», egli sconfessa se stesso e il presunto primato della pastorale sulla dottrina, teorizzato in Amoris lætitia come conquista di chi costruisce ponti e non muri, per usare un’espressione cara ai cortigiani di Santa Marta.

Così d’ora innanzi potremmo aggiornare l’incipit del Simbolo atanasiano: «Quicumque vult salvus esse, ante omnia opus est, ut teneat Modernistarum hæresim».

+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo

3 febbraio 2021

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