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50° di Angelo Rizzoli “il Vecchio”: l'orfano di un ciabattino che divenne miliardario e conte

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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«Non fate mai debiti con le banche»: queste furono le ultime parole di Angelo Rizzoli “il Vecchio” nato nel 1889 e morto esattamente 50 anni fa, il 24 settembre 1970, nella sua Milano.  Al posto di “senior” abbiamo usato l’apposizione riservata dalla storia ai grandi personaggi, fossero fondatori di dinastie, scienziati o artisti. Il più grande editore italiano del ‘900 è stato, infatti, tutto questo: vero genio della contabilità, calcolava ancora a matita i pro e i contro degli investimenti che intraprendeva con un fiuto paragonabile a un estro creativo. E’ perfino morto nobile, come un banchiere rinascimentale, dato che nel 1967 fu nominato Conte da re Umberto II (il quale, sebbene in esilio, manteneva ancora la “fons honorum”).

Un titolo senza dubbio meritato: partito da sotto-zero, Rizzoli avrebbe lasciato ai suoi discendenti un patrimonio di 100 miliardi di lire dell’epoca - senza il minimo debito - e un nome carico di gloria associato non solo all’editoria, ma anche alle produzioni cinematografiche e all’imprenditoria immobiliare.

Figlio di un calzolaio analfabeta morto suicida prima della sua nascita, il piccolo Angelo crebbe in un orfanotrofio milanese di eccellenza come il Martinitt, fondato da S. Girolamo Emiliani nel ‘500. Con buona pace dei critici di queste antiche istituzioni, il collegio sfornò altri talenti come Leonardo Del Vecchio, fondatore di Luxottica, ed Edoardo Bianchi, della omonima industria di bici e auto. Al Martinitt si imparava un mestiere sul serio e il giovane Angelo, ritrovatosi tipografo ad appena 18 anni e lasciato l’orfanotrofio, venne assunto nella stamperia Alfieri e Lacroix. Nel 1909 decide di mettersi in proprio insieme a un altro operaio e subito ebbe l’intuizione di produrre cartoline commemorative della campagna di  Libia, (1911-’12) riscuotendo grande successo.

Un collezionista di cartoline militari, il 1° Luogotenente dell’Esercito Danilo Amato ci ha messo a disposizione una delle cartoline stampate nella tipografia Alfieri e Lacroix nella quale Rizzoli iniziò a lavorare. Raffigura un “marabut”, ovvero la tomba di un santone musulmano all’interno dell’accampamento del 36° reggimento di Fanteria presso Sidi Boasa.

Fu spedita il 17 settembre 1912, a un mese dalla fine della guerra e il testo recita: “Ti mando i più cordiali e affettuosi saluti dalle trincee di Derna. Scrivimi buone notizie. Il tuo per sempre amico Battistino”.

Anche durante la Grande Guerra, Angelo Rizzoli stampò cartoline in quantità per l’efficientissima posta del Regio Esercito. Il traffico di questi prodotti postali, durante il solo conflitto ‘15-’18 oltrepassò i 4 miliardi di pezzi con tempi record di arrivo a destinazione: due-tre giorni. Oltre a offrire conforto ai soldati permettendo loro di comunicare con le famiglie, le cartoline rivestivano un ruolo strategico fondamentale dato che, sul frontespizio, veicolavano anche una attenta e intelligente propaganda di guerra per sostenere il morale tanto dei militari al fronte quanto della popolazione civile. (La collezione del Luogotenente Amato è stata appena esposta a Roma, presso il Museo Storico dei Bersaglieri, dentro Porta Pia, in un allestimento curato dall’architetto Consuelo Mastelloni e presto la rivedremo al Museo dei Granatieri di Sardegna).

Nel ’17, tornato dal fronte, Angelo Rizzoli investì questi primi guadagni acquistando dalla Mondadori - per sole 40.000 lire (circa 80mila euro di oggi) - ben quattro riviste, prestigiose, ma economicamente al disastro, che trasformò in periodici femminili di grande successo. All’epoca, quelle pagine erano dense di contenuti istruttivi per le giovani borghesi italiane e nel ’29, mentre il mondo sta crollando sotto i colpi della crisi finanziaria, Rizzoli invade anche il mercato dei libri. Il primo grosso boccone arriva con l’Enciclopedia Treccani e poi con la felicissima intuizione delle edizioni economiche BUR, grandi classici della letteratura a prezzi ultra-modici. Ogni libro vende 30.000 copie e Rizzoli assurge al rango di gigante editoriale europeo.

Tenendosi quasi maniacalmente alla larga dalla politica, attraversa indenne il Ventennio, la guerra e l’ancor più pericoloso (per un imprenditore) dopoguerra. Nel ’56 passa al cinema e fonda la Cineriz, producendo gli immortali film di Don Camillo: non solo Carmine Gallone, ma anche Pasolini, Visconti, De Sica, Germi e Fellini si serviranno dei suoi studi. Il ragionier Romano Di Clemente, ex dipendente della casa cinematografica lo ricorda così: “Era un lavoratore instancabile, ma soprattutto sapeva circondarsi di collaboratori capacissimi ai quali lasciava il giusto margine di autonomia. Il suo segreto? Saper coniugare un lecito profitto offrendo sempre il massimo della qualità: una forma di grande rispetto e onestà verso il pubblico, che seppe ripagarlo. Secondo l’uso della buona borghesia milanese, anche i suoi figli e nipoti lavoravano per lui, ma venivano trattati senza alcun privilegio. Angelo Rizzoli non ripose mai grande fiducia nelle loro capacità amministrative, e non si ingannava, purtroppo. Dopo la sua morte, nel giro di pochi anni, la Rizzoli, nelle mani dei discendenti, decadde completamente”.

Il suo sogno sarebbe stato quello di comprare il Corriere della Sera, ma a conti fatti giudicò l’investimento troppo rischioso e compromettente con quel “palazzo” che tanto temeva. Altre storie, altri tempi, un’altra Italia dove il merito, il duro lavoro e la qualità del prodotto potevano ancora far accumulare a un imprenditore simili fortune, senza banche e senza politica.

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