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Porta Pia, Bersaglieri e Fanti protagonisti? Ma non dimentichiamo l'Artiglieria

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Davanti a Porta Pia sorge il Monumento al Bersagliere, imponente statua del 1932 che esprime tutta la spavalda determinazione di questa nuova figura di soldato, (il Corpo fu fondato nel 1836) caratterizzato da velocità di movimento, precisione nel tiro, flessibilità e resistenza, disciplina ed estremo addestramento fisico.

Il fante piumato è infatti indissolubilmente legato a questa tappa fondamentale dell’Unità d’Italia: alle 10.10 del 20 settembre 1870 i bersaglieri del 12° battaglione avanzano al passo di carica, baionetta inastata e, incitati dalle note che il trombettiere suona per dare ancora più vigore all’assalto, superano la breccia regalandoci quell’icona risorgimentale che rimarrà impressa nell’immaginario collettivo e nei testi di Storia. Il primo a superare la breccia è il Sottotenente Federico Cocito. Passati i Bersaglieri, un boato di esultanza si leva dalle divisioni che premono dietro di essi per entrare nella Città Eterna, quella che ora sarà la capitale della nuova Italia.

Tuttavia, come spesso accade, difficilmente si serba memoria di chi svolge l’indispensabile lavoro preparatorio di un’impresa, senza il quale nulla è possibile.

Ricordiamo qui, infatti, il ruolo assolutamente fondamentale dell’Artiglieria italiana che pagò anche un tributo di sangue significativo nonostante la distanza di tiro che la separava dal bersaglio.

Novità dalla Rivista Militare

Attingiamo ancora una volta, a piene mani, dal fascicolo storico dedicato a Porta Pia pubblicato nel numero di settembre della Rivista Militare (Esercito) che offre dettagli e novità provenienti dai più qualificati studiosi militari.

Il Regio Esercito, nel 1870, era il risultato di un processo di ammodernamento cui era stato sottoposto dopo le infauste giornate di Custoza del 1866. Nonostante il quadro di scarsa disponibilità economico–finanziaria, tale sforzo riuscì a far compiere all’intero strumento militare un significativo salto di qualità, come abbiamo già visto per le armi leggere.

Qui l’approfondimento

Il ruolo chiave dell’”Arma dotta”

Tra i migliori reggimenti di fanteria, di cavalleria, del genio zappatori e pontieri, dei carabinieri e delle truppe dei servizi, una menzione speciale merita l’Arma di Artiglieria, cui si deve la rottura materiale della cinta muraria della Città Eterna e l’apertura del varco da cui irruppero le truppe di fanteria e bersaglieri. Era stato scelto un tratto delle mura sulla destra di Porta Pia perché ritenuto piuttosto debole: da alcune fonti risulta come non fosse stato rinforzato per volontà dei discendenti di Napoleone, proprietari della villa all’interno, che sempre impedirono i lavori per evitare fastidi. Infatti, la breccia non fu praticata direttamente sulla Porta Pia che era stata completamente interrata dall’abile comandante pontificio, il generale tedesco Hermann Kanzler.

Delle tre batterie della 2ª Brigata di artiglieria della Riserva, la 5ª, comandata dal Capitano Giacomo Segre fu scelta per svolgere l’azione di fuoco principale e venne schierata a poco più di 500 metri di distanza dal punto individuato per praticare lo sfondamento della cinta muraria.

Il Pincetto da cui sparavano i cannoni

Secondo una tradizione, la postazione da cui la 5ª batteria le Mura aureliane si sarebbe conservata ancor oggi. Costituisce una sorta di “Pincetto” all’interno di un grande palazzo del 1926 al civico 133 di via Nomentana: durante la costruzione dell’edificio si volle salvare il luogo storico. Attualmente i residenti si sono attivati per un riconoscimento ufficiale del sito e l’apposizione di una targa a memoria. In loco è ancora visibile la vera di un pozzo da cui, secondo una leggenda, partirebbe un passaggio sotterraneo fin dentro la Città Eterna. In un muretto di cinta è anche incastonata una grossa palla di cannone, ma di pietra, quasi certamente non coeva.

Villa Albani, la vera postazione

Un attento studio del Generale Vero Fazio, artigliere di lungo corso, racconta però un’altra storia, attraverso documenti di prim’ordine che individuano la postazione, piuttosto, nei giardini di Villa Albani. Il Maggiore Luigi Pelloux, Comandante della 2ª Brigata di Artiglieria della Riserva, afferma nel suo libro “Quelques souvenirs de ma vie”, che schierò personalmente la batteria “Segre”, nei giardini di Villa Albani a 550 m dalle Mura e le altre due più dietro, a nord di Villa Macciolini, a circa 1.000 metri. L’affermazione è confermata anche dal Generale Raffaele Cadorna (qui l’approfondimento).

Il Pincetto dista fra l’altro dalla Breccia meno di 400 m e non i 550 dichiarati dal Pelloux, Cadorna e dallo stesso Capitano Segre. Nel corso dell’azione, sulla Via Nomentana, in corrispondenza del cancello della Villa Torlonia, venne schierata, invece, una sezione della 1ª batteria della Divisione Mazè che doveva meglio battere la Porta Pia. È possibile che questi altri cannoni, in considerazione della relativa loro vicinanza al cosiddetto “Pincetto”, abbiano alimentato, falsandolo topograficamente, il ricordo degli abitanti del palazzo.

Il tributo di sangue degli artiglieri

La Batteria “Segre” doveva trovarsi pressappoco nelle vicinanze del civico 16 di Via di Villa Albani. Fu in quel luogo che caddero il Luogotenente Giulio Cesare Paoletti, i Caporali capopezzo Michele Plazzoli e Carlo Corsi. I tiri nemici provenivano da un avamposto pontificio nei pressi di Villa Patrizi. Furono così mobilitati tiratori scelti del 19° reggimento fanteria e del 34° battaglione bersaglieri che riuscirono a distogliere il fuoco diretto contro gli artiglieri. In seguito all’uccisione del proprio soldato e al ferimento di altri, il Capitano Segre, comandante della batteria, pochi minuti dopo le 5.15 dà l’ordine di aprire il fuoco.

La leggenda della scomunica e dell’ufficiale ebreo

Pio IX aveva preventivamente scomunicato qualsiasi soldato italiano che avesse sparato il primo colpo verso la Città Eterna e, secondo una tradizione, Segre venne scelto per questo compito proprio in quanto ebreo. Tuttavia, i primi colpi erano stati sparati intorno alle 5.10 dalle batterie della Divisione Angioletti contro Porta Maggiore, quindi sembra ben più probabile che Segre fosse stato scelto per il delicatissimo incarico di aprire la breccia in base alle sue capacità tecniche e all’addestramento della sua batteria piuttosto che per la sua religione. La prima palla cadde, infatti, a soli due metri dalle Mura aureliane e questo consentì di aggiustare rapidamente il tiro. I cannoni lisci pontifici disposti nella lunetta di Porta Pia furono presto silenziati dalle schegge e dalle polveri prodotte dalle cannonate italiane che impattavano sulle mura. La 5ª batteria iniziò un fuoco di demolizione con precisione chirurgica: alle 9.30 circa, la breccia era già praticata per un’ampiezza di circa 30 metri alla destra della Porta Pia. Erano state sparate più di 800 cannonate, per alcune fonti 888. Con un calcolo approssimativo, la cadenza di tiro doveva essere di poco più di tre colpi al minuto.

Le cicatrici ancora visibili

Sul punto esatto della Breccia, 25 anni dopo, fu eretto un monumento disegnato da Carlo Aureli con una colonna su cui svetta la Vittoria, opera di Giuseppe Guastalla. Le Mura aureliane vennero in gran parte perfettamente restaurate. Tuttavia, a un sguardo attento si scorgono tutt’oggi ancora diversi segni d’impatto delle cannonate. In particolare, nel tratto di fronte a via Po e a via di Santa Teresa è ancora ben visibile, incastonata su un torrione, una palla di cannone, in ferro, perfettamente conservata. Un’altra, poco più sotto, è stata purtroppo rimossa (forse rubata).

Sono particolari ai quali non si fa caso in quel tratto di strada caratterizzato da un traffico convulso e veloce. Da oggi - l’invito è rivolto ai romani e ai turisti - passando per il Muro Torto e per Corso d’Italia, gettiamo uno sguardo a quelle cicatrici e a quel sottile monumento: sono parte della nostra storia e identità.

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